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126. Recensione a: Andrea Pace Giannotta, Fenomenologia enattiva. Mente, coscienza e natura, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 140. (Enrico Palma)

In questo agile ma denso volume, Andrea Pace Giannotta offre non soltanto un utile spaccato in merito al dibattito sulle principali questioni di filosofia della mente ma allo stesso tempo vi si inserisce avanzando una proposta che concili le difficoltà insite nei modelli contemporanei. Uno dei punti più felici del volume mi sembra infatti l’attenzione costante da parte dell’autore verso un tipo di considerazione metafisica, che unisca al che cosa tipico dell’ontologia e dell’epistemologia il problema del fine ultimo e di una teoria integrata della realtà. Alcune delle domande a cui il testo tenta di rispondere, scandite nei vari capitoli che con stringente argomentazione delineano il percorso dell’autore, rispecchiano i problemi classici e moderni della fenomenologia, come il naturalismo, le qualità degli oggetti, la relazione mente-corpo, il colore e le perturbazioni della coscienza. La ricostruzione del dibattito su questi temi costituisce lo scheletro argomentativo di tutto il volume. Dibattito a partire dal quale l’autore inserisce e colloca il proprio punto di vista teorico. Di ciascuna posizione Pace Giannotta sottolinea saggiamente i meriti ma anche le criticità, recuperando i primi e discutendo problematicamente le seconde. In questa maniera, l’autore può preparare il terreno speculativo utile a soluzioni alternative, le quali vengono riassunte in una riflessione teorica che unisce in modo critico la fenomenologia husserliana secondo le prospettive statica e genetica, a cui è dedicato un intero capitolo, e l’enattivismo, teoria non soltanto filosofica che cerca di aprirsi anche ad altri scenari speculativi, come l’etica e soprattutto la metafisica.
L’internalismo e l’esternalismo delle qualità, vero e proprio casus belli nel dibattito filosofico sulla mente, viene infatti armonizzato dall’autore facendo ricorso a un approccio fenomenologico. Nonostante siano entrambe posizioni valide in relazione a casi specifici, mostrano comunque falle teoriche che emergono laddove l’una riesca a spiegare i fenomeni meglio dell’altra, consentendo quindi un ampio margine di manovra per chi voglia proporre un punto di vista ulteriore. Le qualità, recuperando un dibattito che rimonta addirittura al Saggiatore di Galileo, sono frutto di un’autoproduzione della mente (internalismo) oppure sono insite negli oggetti e la mente li recepisce? Una possibile conciliazione viene ravvisata in ciò che l’autore chiama naturalismo oggettivista, che tuttavia non accoglie del tutto e problematizza ulteriormente in direzione dell’enattivismo. Le qualità emergono dalla relazione, categoria metafisica fondamentale secondo Pace Giannotta, e tale connubio è appunto esemplato in prima istanza dall’incorporazione della mente, dal suo farsi corpo, che risulta alla fine il più efficace modo di intendere l’unità psicosomatica che l’umano è. La vita della mente sarebbe quindi situata in un corpo e successivamente in un ambiente, dal quale riceve stimoli e verso cui genera un rapporto di cogenerazione e coproduzione. Tuttavia, come emerge dalle discussioni e dai rimandi all’enattivismo, e benché sia considerata una teoria premiante, Pace Giannotta ne sottolinea le ambiguità, soprattutto in riferimento alla tensione metafisica che l’autore ricorda essere uno dei fari del suo studio.
La concezione enattiva va quindi precisata anche alla luce della fenomenologia husserliana: «Sosterrò come all’interno di questa prospettiva [quella appunto enattiva] sia possibile naturalizzare la coscienza e la fenomenologia senza però – e ciò è cruciale – assumere preliminarmente una concezione oggettivista della natura, ossia senza assumere una delle due forme di naturalismo oggettivista che abbiamo precedentemente considerato: ingenuo e quantitativo» (p. 63). Ma in cosa consiste tale naturalizzazione della coscienza e della fenomenologia? Bisogna difatti affermare che la coscienza non è un fantasma ideale privo di riferimenti materiali, com’è il caso delle classiche filosofie idealistiche, né che la mente è riducibile a un ente fisico soggetto a impressioni, e si pensi all’empirismo, ad esempio, di Hume. È necessario quindi individuare un ponte metafisico che mantenga entrambe le istanze, quelle cioè dell’incarnazione della mente in un corpo in una relazione attiva con l’ambiente di cui è parte, che modifica e alle cui richieste si adegua, e dell’esistenza di una coscienza che giustifichi comunque le attività interiori e un coinvolgimento attivo con il mondo. La prima istanza è quella enattiva, la seconda invece è quella husserliana. Mi sembra dunque che, con buona approssimazione, si possa parafrasare la tesi dell’autore come incarnazione fenomenologica e fenomenologia ambientata. L’ambiente è fenomenologicamente intenzionato dalla mente che lo abita e lo soggettivizza e, viceversa, la mente come idealità assoluta e intenzionale è incarnata nell’ambiente in cui è situata oggettivandolo. È nella tensione giocata da queste due spinte che a mio giudizio si pone la questione. Questo tema, «il nervo scoperto della fenomenologia» (p. 87) toccato a suo tempo da Heidegger e che costituì il principale motivo di rottura tra l’allievo e il maestro, viene comunque posto, come giustamente notato da Pace Giannotta, dallo Husserl della Crisi. L’autore però fa un’utile e necessaria precisazione: dalle formulazioni husserliane è passato anche più di un secolo, le riflessioni sono cambiate e di conseguenza anche le domande, soprattutto in considerazione del fatto che alle questioni eminentemente filosofiche si sono aggiunte, ad esempio, quelle neurobiologiche e cognitive, dalle quali, come sostengono anche i fautori della prospettiva enattiva, è impossibile prescindere.
Pace Giannotta passa allora in rassegna alcuni concetti topici della concezione husserliana, dalla continua ricerca dell’assoluto che avrebbe dovuto costituire il punto inamovibile della fenomenologia trascendentale, ma rimasto equivoco forse persino allo stesso Husserl, alla temporalità della coscienza, per poi concludere con un affaccio sulle impressioni e sull’autocoscienza preriflessiva. Secondo l’autore, l’esito solipsistico della fenomenologia husserliana, anche a parere di molti interpreti, sarebbe comunque difficile da negare, o quantomeno è ben presente nei testi, soprattutto quelli inediti e continuamente rimaneggiati dal pensatore austro-tedesco: essa consiste nella possibilità, insita nella fenomenologia, di intendere la coscienza come fautrice della natura, e quindi lontana sideralmente da ogni concezione realista e, come nelle intenzioni dell’autore, naturalistica, tenendo conto come già accennato della situatività della coscienza nel mondo.
Questa difficoltà viene però sciolta dall’autore analizzando più da vicino un altro grande tema husserliano, che pare da questo punto di vista fugare ogni perplessità, e cioè la distinzione tra Körper (il corpo organico) e Leib (il corpo vivente), letta da Pace Giannotta come una premessa all’integrazione in senso enattivo della fenomenologia stessa. «Ciò vuol dire che “il flusso assoluto dei vissuti” si fonda concretamente su un flusso di sensazioni, che sono i modi in cui il corpo vivo è autoaffetto, ossia: i modi in cui il corpo vivo senziente si automanifesta e si apre all’alterità dello stesso corpo vivo, del mondo e degli altri soggetti incarnati» (p. 105). Ripercorrendo il celebre argomento delle due mani che si toccano proposto anche da Merleau-Ponty, per cui le due mani possono essere allo stesso tempo mani che toccano e mani toccate, l’autore afferma che il corpo è quel dispositivo che patisce il mondo percependolo e che lo crea, ma non in maniera meramente rappresentazionale (come voleva dimostrare l’internalismo), bensì correlazionale. È nel concetto di correlazione e nel rapporto di scambio reciproco tra soggetto e oggetto e tra mente e mondo, mediati dal corpo così inteso, che Pace Giannotta intravvede una possibile soluzione alle difficoltà teoriche poste all’inizio.
Per risolvere la vexata quaestio delle qualità, Pace Giannotta introduce, alla luce delle riflessioni sviluppate sulla fenomenologia, il concetto di relazionismo qualitativo: «Chiamo quindi relazionismo qualitativo la prospettiva secondo cui i due poli della relazione soggetto-oggetto e mente-mondo sono essenzialmente legati l’uno all’altro (relazionismo) in un processo di costituzione reciproca a partire da un flusso qualitativo fondamentale (relazionismo qualitativo). Tale concezione costituisce un’alternativa sia all’internalismo che all’esternalismo delle qualità e consegue dall’indagine della struttura temporale profonda della coscienza, individuandone alla base un flusso di qualità fondamentali» (p. 110). Il senso della vita della mente, facendo un passo teoretico che l’autore tuttavia lascia sottinteso o da intendere, è dunque il risultato di una relazione profondamente radicata nel corpo e nel mondo, una relazione che è intesa altresì in chiave eminentemente temporale, com’era del resto nelle intenzioni husserliane.
Il volume si conclude con la precisazione decisiva dei nessi tra fenomenologia ed enattivismo, con un’attenzione al corpo in quanto ente che si automanifesta e a una metafisica della carne che possa dare contezza di due caratteristiche fondamentali, l’essere sensibile e senziente dell’unità corpomentale, non ignorando comunque i «vincoli reciproci tra le analisi fenomenologiche della struttura dell’esperienza e le loro controparti nelle scienze cognitive» (p. 119, corsivo nel testo), queste ultime assolutamente imprescindibili per un’analisi accurata della coscienza e del nesso che la lega al mondo. La vita della mente, e quindi di ciò che siamo, per Pace Giannotta è da concepire «nei termini della persistenza di un processo e non della permanenza della sostanza» (p. 124, corsivi nel testo). Inoltre, raccogliendo le fila di quanto detto a proposito di ontologia e metafisica in sede di premessa: «La fenomenologia enattiva si articola infatti in una metafisica – che concepisce il flusso di qualità fondamentali come realtà “ultima” – ed una ontologia, che indaga i diversi domini oggettuali emergenti nella relazione conoscitiva» (p. 125). Mi sembra dunque che l’autore individui metafisicamente quel punto estremo tanto caro a Husserl nel processo impermanente e temporale delle qualità che è la coscienza, senza dimenticare gli oggetti che derivano dalla relazione situata tra soggetto e mondo, concetti che in ultima analisi possono contribuire a spiegare la natura della mente e infine la Natura in generale.

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