Benché sia innegabile un crescente interesse nel nostro tempo per discipline come la bioetica e la filosofia della medicina, attraverso un rinnovato questionare concetti quali “salute”, “malattia” e “cura”, la figura di Juan Rof Carballo (1905-94), medico e filosofo galiziano, è in Italia poco nota. Nunzio Bombaci, dottore di ricerca presso l’Università di Macerata, già autore di numerosi articoli, monografie e traduzioni concernenti autori afferenti al personalismo, al pensiero dialogico e alla filosofia spagnola del Novecento, vi dedica il presente volume, offrendocene il primo studio comprensivo disponibile in Italia. Un testo pionieristico, il suo, che, snodandosi in sei capitoli, risulta nondimeno agilmente accessibile.
Addentrandoci nella lettura del medesimo, è possibile cogliere la portata dell’epiteto con cui Bombaci presenta l’internista galiziano: “medico e filosofo”. Autori come Buber e Heidegger, Keats e Rilke, o, ancora, Jung, Dewey e Ortega y Gasset costituiscono figure decisive nella formazione di Rof Carballo, nel cui pensiero e nella cui prassi medica confluiscono nondimeno, al tempo stesso, costituendo così un doppio binario, la tradizione dei medici umanistici spagnoli, la nascente medicina psicosomatica di Viktor von Weizsäcker, e, soprattutto, un serrato e protratto confronto con la psicanalisi. Rof Carballo si dimostra attento conoscitore di questa, dagli esordi freudiani fino agli sviluppi a lui coevi. Si rendono così visibili gli influssi e le prese di posizione dell’internista galiziano su psicoanalisti quali Michael Balint e Ludwig Binswanger; Paul Christian e Melanie Klein; Heinz Kohut e Abraham Maslow; Gardner Murphy e Donald Winnicott.
“Medico e filosofo”: comprendere la portata dell’endiadi è il presupposto irrinunciabile per accedere al pensiero di Rof Carballo. L’arte medica, è questo un suo assunto da cui occorre partire, non deve esaurirsi in un’esecuzione di prassi, di operazioni, di terapie volte al ripristino o al mantenimento della salute, ma è qualcosa che s’istituisce coinvolgendo due persone reciprocamente in presenza l’una dell’altra, nelle proprie e specifiche unicità, legate da un vincolo di cura che Rof Carballo chiama, con consapevole carattere ossimorico, “amorosa oggettività”. Questa, senza che venga meno il rigore scientifico da parte del diagnosta, ha il carattere della solidarietà interumana, propria di chi sa di coappartenersi. Nell’auspicio rofiano, il colloquio medico-paziente non si esaurisce, quindi, nel darsi di due ruoli precostituiti (“il medico”, “il paziente”), ma sa schiudere a entrambi un fatto universale e necessario: quello per cui l’essere nel mondo è in quanto tale ricerca di senso che passa attraverso l’esperienza del dolore – una ricerca che, però, non avviene mai in solitudine. Di qui, la possibilità di definire l’impresa rofiana come “medicina dialogica”.
Legame, vincolo, coappartenenza: sono questi i vettori che ci conducono all’epicentro teoretico, vero nucleo originale del pensiero di Rof Carballo: la nozione di urdimbre. Mediante questo termine, traducibile in italiano come intreccio, ordito, rete, Rof Carballo individua il fatto fondamentale della conditio humana nell’interconnessione. La nostra esistenza non è un apparire isolato, ma si esplica all’interno di una trama (urdimbre, appunto) che, dalla nascita alla morte, avvolge ciascuno di noi, attraverso diverse figure, a partire da quelle della madre, del padre, della terra natia, fino a reti via via più complesse e capillari che vengono tessute, spezzate e reintrecciate sempre e di nuovo, dando forma così alla vita adulta. Particolare rilevanza per la capacità di tenuta dell’urdimbre medesima è assegnata all’amore, che Rof Carballo (in consonanza con diversi autori del pensiero occidentale da Empedocle a Max Scheler) coglie quale insuperabile potenza di legame, sola forza che sa fare dell’individuo una persona compiuta. L’amore è la forza decisiva che permette alla persona di tessere una urdimbre solida, ovvero, di vivere una vita armoniosa. Specularmente, Rof Carballo, che attesta qui la sua vicinanza alla psicosomatica di Weizsäcker, identifica nella mancanza d’amore la causa di una scarsa coesione dell’urdimbre, rivenendo nelle dinamiche affettive l’eziologia di diversi processi morbosi. La riflessione rofiana sa dunque cogliere l’uomo in quanto con-esserci, sicché l’apertura all’altro non è fatto accidentale, ma tratto costitutivo e originario del medesimo. Coerentemente, la sua può essere concepita come un’indagine biopsicosociale e come un’antropologia all’insegna della complessità (nel senso à la Morin del termine). Il suo principio filosofico fondamentale è la determinazione dell’uomo come nodo all’interno di una rete: a esso corrisponde il telos di un sé come tutto-integrato. Non meno olistica è la comprensione rofiana della realtà. A tale proposito, Bombaci riscontra come l’internista galiziano fosse non meno al corrente delle evoluzioni in simile direzione da parte della fisica, dal principio d’indeterminazione di Heisenberg alla teoria del caos di Prigogine fino ai più recenti sviluppi quantistici.
L’auspicio etico di Rof Carballo si espleta in un umanesimo medico, causa particolarmente stringente nell’età-della-tecnica in cui viviamo, un tempo sempre più solipsistico e alessitimico, che ha perduto, nell’assolutizzazione del pensiero calcolante, la propria apertura al mito (inteso come processo poietico e creativo), la capacità di comprendere e attuare la vocazione personale del singolo (sempre più inaccolta, qualora scarsamente compatibile con le aspettative sociali), e la propria disponibilità a farsi carico del quesito della ricerca di senso (soppiantato dalla costruzione ad hoc di immagini di sé). Tutto questo avrebbe condotto, secondo Rof Carballo (con il quale Bombaci concorda e incalza, nelle conclusioni del volume, volgendosi alla situazione spirituale del mondo odierno) non solo a un indebolimento (per non dire imbarbarimento) del sentire, come già aveva colto Maria Zambrano, ma a una vera e propria incapacità di sperare (diselpidia). Scienza e umanesimo, animus e anima, cervello sinistro e cervello destro devono ritrovare la loro urdimbre: a tal fine, sottolinea l’autore in consonanza con il pensatore iberico, occorre un “reincantamento del mondo”, non dimentico della complessità del medesimo e del carattere fallace di ogni dualità, cominciando da quella soggetto-oggetto. Dal momento che non si vive se non irretiti nelle maglie dell’urdimbre, la realtà è relazione, ed è dunque unità. A essa deve corrispondere una medicina del hombre entero, basata sulla tesi per cui la salute nient’altro è che il dispiegarsi di una “intelligenza senziente” (bella endiadi che Rof Carballo prende in prestito dall’amico Xavier Zubiri), ovvero una sinergia tra le attività cognitive e la vita affettiva dell’uomo.
Chiudendo il libro, forte è la riconoscenza verso l’autore per averci avvicinati a una figura ricca e complessa, pressoché inedita alle nostre latitudini. Non meno intenso è il desiderio di conoscere più a fondo le copiose figure adunate da Bombaci attorno a quella di Rof Carballo (si potrebbe dire, l’urdimbre costituita dai maestri e dai compagni da questi incontrati entro il suo cammino di pensiero). Non meno potente è infine il desiderio di addentrarsi ulteriormente nella nozione rofiana di urdimbre, le cui complesse implicazioni il presente volume lascia ancora presagire. In tal senso è imminente la pubblicazione, per mano del medesimo Bombaci, di In principio è la tenerezza. La urdimbre nel pensiero di Juan Rof Carballo presso l’editore Morcelliana.