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51. Recensione a: AA.VV., La filosofia come paideia. Contributi sul ruolo educativo degli studi filosofici, a cura di A. Acerbi, F. Fernández Labastida, G. Luise, Armando Editore, Roma 2016, pp. 256. (Marco Viscomi)

Il volume presenta un articolato e bilanciato equilibrio fra un interrogativo essenziale e un’esigenza profonda di indagine. La domanda sottesa all’intreccio dei diciassette contributi del testo si rivolge all’investigazione sullo statuto della filosofia considerata come paideia, cioè educazione. Il bisogno che viene declinato attraverso questa ricerca consiste invece nell’analisi delle modalità, seguendo le quali può svilupparsi la funzione formativa della filosofia. Ciò che correla tra loro questi due poli qui focalizzati è la problematizzazione di un concetto di ragione filosofica, che sappia mediare tra la dimensione teoretica del pensare e quella pratica del vivere. Lo sfondo costante di riferimento, tenuto presente dalle differenti voci che hanno preso parte a questo lavoro, consiste nell’unità di verità e bene. Vale a dire: il rimando fondamentale tra la consapevolezza del vero e il richiamo che il bene rivolge alla coscienza umana in cammino. Ciò che mi pare costituisca lo scopo di questo libro è, insomma, il tentativo di orientare la meditazione filosofica in direzione del Bene stesso, cioè di quel basamento essenziale che fonda il pensiero nell’evidenza del vero e nella disposizione educata al bene del singolo e della comunità.
La struttura del testo scompone in due parti la duplice direttrice di sviluppo dell’argomentazione, già brevemente accennata sopra. Una prima parte (primi dieci saggi) approfondisce le caratteristiche di alcuni modelli esemplari della filosofia intesa quale paideia. Prendendo a termini di riferimento le voci di alcune delle più importanti autorità del panorama storico filosofico, questa prima sezione traccia un duplice percorso di differenziazione tematica. Infatti, per un verso, vieni qui riproposta una successione cronologica del modo in cui l’esperienza filosofica della vita si mostra di volta in volta declinata nelle età storiche e nelle personalità più autorevoli del passato. Sull’altro versante, invece, si deve osservare come questo percorso linearmente storiografico questioni direttamente l’essenza stessa della filosofia. Ciò al fine di verificare in che termini quest’ultima possa essere realmente intesa come forma di educazione del pensiero e dell’agire umani. A fronte di tale complessità dell’itinerario tracciato da questa prima parte del testo, se ne comprende, da un lato, l’articolazione cronologica progressiva dagli antichi ai contemporanei e, dall’altra parte, si dà ragione del nucleo essenzialmente teoretico della ricerca sul concetto della filosofia come paideia.
La seconda sezione del volume (restanti sette contributi) sviluppa invece un insieme di riflessioni conseguenti alla messa in pratica dell’esercizio educativo proprio del filosofare. Quali esiti di esperienze dirette, condotte sul campo della docenza della disciplina filosofica, le proposte sintetiche qui suggerite forniscono il banco di prova delle finalità e degli auspicati sviluppi della filosofia intesa come pratica formativa. In quanto disciplina volta all’educazione dell’essere umano in direzione della propria umanità e del Bene, la filosofia viene presentata in questa parte del testo alla luce delle problematiche e delle metodologie, che ne declinano la molteplice possibilità di attuazione. Al variare dei contesti formativi, delle esigenze espressive, degli obiettivi educativi, anche il proporsi della filosofia come prassi di vita etico-morale diviene stimolo essenziale alla nascita e alla crescita dell’umanità. La precedente indagine teoretica sull’essenza della filosofia intesa quale paideia diviene in questo contesto l’humus a partire dal quale può svilupparsi non tanto l’applicazione di una disciplina scolastica all’indottrinamento dell’allievo, quanto piuttosto la proposta di una pratica di vita che non scinda la singola esistenza vissuta dai suoi bisogni di coscienza razionale e di felicità personale.
Cerchiamo di seguito di isolare brevemente i nuclei portanti delle proposte contenute in ciascuno dei saggi. Non potendo riproporre in toto la ricchezza racchiusa nel complesso dei contributi del volume, infatti, non si può far altro che limitarsi ad una sintetica ricapitolazione dei nodi nevralgici emersi dal testo.
Il testo di Franco Trabattoni riflette sulla prospettiva platonica che intende la filosofia come forma di educazione del desiderio. Educando alla conoscenza del Bene – sostiene infatti Platone, erede dell’insegnamento socratico – non solo il singolo uomo rivolge la sua esistenza alla propria felicità, ma anche il complesso etico-politico dei rapporti tra esseri umani viene indirizzato al bene comune. La qualità della comunità e delle singole persone riposa così sulla natura degli oggetti, sui quali viene da quelle riposto il desiderio e l’aspirazione, vale a dire ciò che si considera “bene” per sé e per gli altri.
Il contributo di David Torrijos-Castrillejo si concentra sulla dimensione comunitaria che assume la formazione filosofico aristotelica. Ciò che viene in particolare richiamato alla memoria, è il fatto che l’attuazione di un ideale filosofico di vita necessiti di un contesto specifico. Vale a dire: la vita in comune, condotta secondo la direttrice dell’amicizia e in vista della verità.
Nella ricostruzione del senso della filosofia in Clemente Alessandrino esposta da Juan José Sanguineti, invece, si mostra quell’originale forma di eclettismo dell’opera Stromati, nella quale tutta l’esperienza sapienziale dell’antichità viene ricondotta alla Rivelazione cristiana. La filosofia è qui considerata come “regina” delle discipline scientifiche e di quelle umanistiche, nella misura in cui però “signora” della filosofia stessa è la sapienza. Quest’ultima coincide in Clemente con la scienza di Cristo e non con un’impersonale aspirazione alla conoscenza o al sapere.
Con la proposta di Antonio Petagine, viene toccata la riflessione di Tommaso d’Aquino. In questo contesto si sostiene che la filosofia non costituisca semplicemente un mezzo per raggiungere la vera sapienza, fatta coincidere col sapere teologico, quanto piuttosto un certo livello della sapienza medesima. In tal senso, la filosofia servirebbe la teologia costituendo un momento iniziale e un accesso importante alla sapienza autentica, cioè quella che attiene a Dio. Riguardando solo l’inizio del percorso umano verso la propria felicità e il suo bene, i quali risiedono e si radicano in Dio solo, la filosofia sarebbe inizio ma non compimento del fine umano: in maniera propedeutica, quindi, la filosofia educa l’uomo alla realizzazione di sé, insieme ai fratelli, nel Padre.
Il saggio di Gennaro Luise analizza l’idea kantiana di università, leggendo approfonditamente il saggio su Il conflitto delle Facoltà. All’interno del delicato equilibrio fra Facoltà universitarie e in rapporto al fine sociale delle università in genere, la filosofia si propone il compito di educare a quel corretto uso della ragione che, implicito in ogni agire e pensare umani, riverbera tanto nell’uso pratico della riflessione, quanto nel bilanciamento delle relazioni conflittuali fra le singole Facoltà universitarie.
Paolo Pagani indaga i principi della paideia secondo Rosmini. Ciò a cui si rivolgono ultimamente tali termini educativi consiste nel rendere consapevoli dell’orizzonte su cui si apre l’infinità dell’intelletto. Una prospettiva, quest’ultima, che non attiene al mero superamento del finito o all’indeterminato ripetersi della finitezza in una successione potenzialmente infinita. L’intelletto si riferisce infatti immediatamente alla realtà nella sua continua aspirazione al sapere e all’essere, cioè al conoscere secondo verità e all’esistere secondo felicità. Questo è appunto l’orizzonte infinito sul quale si dischiude la coscienza, educata filosoficamente a esistere e a muoversi nella realtà effettiva dell’essere reale.
Nel contributo di Giuseppe Bonvegna viene ricostruita la proposta filosofico-educativa di J.H. Newman, estrapolata attraverso la personale esperienza di vita del pensatore inglese. Ciò che emerge dalla riflessione riguarda un particolare dialogo fra il valore educativo della filosofia e il ruolo svolto dalla fede sia nella formazione delle singole persone, sia nella configurazione complessiva dell’assetto sociale.
Il saggio di Jaime Nubiola considera l’iniziativa metodologico-filosofica di C.S. Peirce. Essa si struttura come una vera e propria educazione dell’approccio di ricerca, condivisibile da tutti quanti gli ambiti di studio. Questi ultimi, qualora vengano educati nello stile di vita che abbia a cura l’interdisciplinarietà e le relazioni tra colleghi alla luce di una “ragionevolezza agapica” (agapastic reasonableness), possono mostrarsi effettivamente instradati sulla via della verità. In quest’ordine di consapevolezza filosofica, il vero non coincide più semplicemente con la scoperta di formule o con la trasmissione di nozioni, ma piuttosto con la fraterna relazione dei ricercatori nel comune spirito di amicizia che anima l’insegnamento e l’educazione reciproca.
Nel testo di Maria Teresa Russo si può leggere la proposta filosofica che accomuna le riflessioni della Arendt e della Zambrano. Entrambe le due filosofe concordano infatti nel sottolineare come la filosofia sia educazione al pensiero, mentre la capacità di dar forma al pensare non costituisca nient’altro che l’abilità di dare vita all’esistenza attraverso il pensare. Infatti, la filosofia “seduce” alla verità, fa sì che il vero conduca a se stessa la vita degli esseri umani pensanti, cosicché questi possano educarsi all’autenticità del loro esistere, attraverso la coscienza riflessiva del pensiero. Così come quest’ultima presa di consapevolezza dà vita all’esistenza significativa dei singoli, allo stesso modo il pensare rimanda costantemente al senso originario del vivere medesimo.
Ultimo testo della prima sezione del volume, il contributo di Francisco Fernández Labastida su H.-G. Gadamer approfondisce il concetto di formazione (Bildung) tra esperienza e tradizione. Nella prospettiva fornita dal pensatore tedesco, il processo educativo della filosofia consiste di un percorso a doppio senso: da un lato, ci si muove dall’esperienza personale verso la concettualizzazione, cioè in direzione della tradizione, in cui troviamo i riferimenti imprescindibili per la codificazione del nostro sapere; dall’altro lato, si ritorna dall’alveo generale delle conoscenze astratte all’orizzonte specifico in cui ciascuno di noi esiste come individualità personale, pensante e desiderante. In questa accezione ermeneutica della formazione, la filosofia è educazione a quella modalità del vivere, che alimenta l’interazione tra la particolarità del singolo e l’universalità della sapienza.
Primo testo della seconda sezione è quello María G. Amilburu sulle metafore dell’educazione e sulle loro implicazioni. In particolare, sono qui identificate le quattro prospettive classiche, che intendono l’educazione come produzione, guida, crescita e iniziazione. Tale differenziazione intende sottolineare come ciascuna di queste prospettive sia sostenuta da una differente teoria pedagogica, vale a dire, rispettivamente, quelle meccanicistica, umanistica, empiristica e culturale. Ciò contro cui mette in guardia l’autrice è la nascita odierna di un nuovo paradigma, vale a dire la riduzione del linguaggio e dell’essenza stessa dell’educazione alle logiche economicistiche dell’impresa.
Si associa a quest’ultimo allarme anche lo studio di Giuseppe Mari. L’autore accusa il fatto che la crisi moderna nell’ambito educativo sia dovuta a un eccesso di cognitività, a cui corrisponde una crescente incapacità di agire bene. Una simile caduta viene ridotta a quella particolare forma di intellettualismo etico, che pare ora affermarsi nell’ambiguità del termine “competenze”. Se infatti quest’ultimo non viene rivolto all’educazione di qualcosa come la phronesis aristotelica – questa la tesi di fondo di Mari – la deriva utilitaristico-funzionale dell’educazione rischia di divenire una realtà insuperabile e schiacciante.
A fare da diretto interlocutore alle critiche di Amilburu e Mari, si pone lo studio di Alessandra Modugno sulla questione delle competenze. Per evitare che la formazione di tali competenze divenga una mera uniformazione degli studenti alle impersonali direttrici ministeriali e governative, l’autrice richiama alla necessità di due punti. L’uno riguarda una concezione metafisica della persona e della realtà, che faccia da sfondo filosofico ad ogni impegno educativo; l’altro consiste nel ripensamento dei modelli formativi operanti nella scuola, con la finalità di volgere i discenti verso un’educazione alla consapevolezza e all’integrazione dei saperi.
La riflessione di Giacomo Samek Lodovici prende invece le mosse dall’analisi problematica dell’emozionalismo, del relativismo e del nichilismo, al fine di proporre una riflessione sulla docenza della filosofia nelle scuole. In particolare, viene qui sostenuta l’utilità educativa della quale deve rivestirsi la filosofia: spronare cioè gli studenti al raziocinio e alla riflessione, ponendo innanzi alle loro giovani prospettive di vita i fini nobili ed elevati della libertà, della felicità e della verità.
Il contributo di Adelino Cattani si presenta come una ricognizione critica dei risultati ottenuti dall’attività di formazione al dibattito, sviluppata nell’Università di Padova con la finalità di insegnare ad argomentare attraverso il corretto uso del pensiero. Lo scopo che si cerca di promuovere in quest’iniziativa, e che implicitamente si propone col presentarla come forma di paideia filosofica, riguarda la formazione di persone che sappiano dar ragione delle proprie convinzioni e scelte, riuscendo a muoversi attraverso il vaglio critico delle altre voci polemiche.
Paolo Monti sviluppa una considerazione specifica sul ruolo delle capacità riflessive applicate all’ambito dell’azione cooperativa e manageriale. Ciò che emerge da questo contributo è l’accorgimento per il quale gli studi umanistici non rappresentino qualcosa di estraneo alla pratica professionale e d’impresa, costituendo essi piuttosto un’esigenza intrinseca all’articolazione dei rapporti interni al tessuto lavorativo e relazionale. La dinamica tra pratica professionale e istituzioni lavorative può infatti essere adeguatamente mediata – si sostiene nell’articolo – solo in virtù di una consapevolezza umanistica, la quale consenta lo sviluppo di una relazione appropriatamente educata alla pratica dialogante e democratica.
Infine, il saggio di Benedetta Giovanola richiama e approfondisce ulteriormente le questioni sollevate da Monti. L’autrice propone lo sviluppo di una modalità manageriale particolare, denominata humanistic management. Essa consiste nello sviluppo di quelle specifiche capacità umane che, insite in ogni persona esistente, debbono essere fatte valere come termini imprescindibili, a partire dai quali viene a strutturarsi ogni relazione umanamente feconda, ivi compresa quella economica. Ciò che si propone consiste insomma in un ripensamento del contesto antropologico, in cui viene posta e trova fondamento la pratica e la coscienza lavorativa delle singole persone e delle collettività umane.

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