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67. Recensione a: Ludwig Klages, Espressione e creatività, a cura di Davide Di Maio, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2015, pp. 200. (Valeria Maggiore)


Ognuno di noi sa che la scrittura è qualcosa di “personale” e “distintivo”: ci capita quotidianamente di avere fra le mani un foglio di appunti, una lettera o un documento non firmato e di riuscire facilmente a risalire all’autore di quest’ultimo riconoscendo la grafia di una persona cara. È un fatto evidente che, superate le fasi iniziali dell’apprendimento, la scrittura diventi un processo automatico, assolutamente peculiare e inimitabile; meno manifesta è, invece, la consapevolezza che proprio dall’analisi del modo di scrivere di un individuo si possano trarre interessanti indicazioni sul suo stato d’animo e sul suo carattere: analizzando la leggerezza o la pesantezza del tratto, la configurazione più o meno curvilinea delle lettere, la loro inclinazione o le sbavature d’inchiostro presenti nello scritto, il grafologo riesce a interpretare le emozioni più profonde dell’autore, a tracciare il profilo di personalità dello scrivente e persino a cogliere lo stato di spontaneità o meno di quest’ultimo, che tenta talvolta di mascherare il proprio essere imitando un modello o cercando di fornire per mezzo della scrittura un’immagine alterata di sé.
I film polizieschi ci hanno abituato a considerare tali analisi come un utile ausilio alla ricerca investigativa, consentendo ai periti di tracciare l’identikit di un criminale e di velocizzare le ricerche del possibile sospetto; tuttavia, al di là dalle loro applicazioni pratiche, le indagini grafologiche si rivelano di grande interesse anche dal punto di vista filosofico e antropologico.
Se ne era reso conto già Ludwig Klages (1872-1956), filosofo e psicologo tedesco originario di Hannover, fondatore nel 1897 a Monaco con lo scultore Hans Busse e Georg Meyer della Deutsche Graphologische Gesellschaft (destinata a sciogliersi nel 1908) e redattore del Graphologische Hefte. Pensatore vicino al poeta Stefan George (1868-1933), influenzato dalla filosofia della vita (Lebensphilosophie) di Friedrich Nietzsche e dalle teorie dell’antropologo svizzero Johann Jakob Bachofen, Klages è considerato il padre della grafologia filosofica e uno dei massimi esponenti della caratterologia tedesca, la disciplina psicologica che si propone di studiare i tratti caratteriali dell’individuo. Rimasto a lungo al margine del dibattito filosofico novecentesco, osteggiato già da suoi contemporanei per le sue posizioni anti-moderniste e l’impostazione non accademica e a-sistematica delle sue ricerche, egli rappresenta una delle figure intellettuali di maggiore rilievo del Ventesimo secolo. Ci auguriamo pertanto che la prima traduzione italiana del saggio Ausdrucksbewegung und Gestaltungskraft (1921) – pubblicata da Christian Marinotti Edizioni per la collana “Percezioni. Estetica & Fenomenologia”, ben tradotta e curata da Davide Di Maio, alla cui Introduzione rinviamo per un approfondimento tematico – rappresenti un passo significativo verso la riscoperta di quest’autore, il cui pensiero eccede l’ambito specialistico della grafologia e si apre a una riflessione di carattere estetico sul ruolo dell’immagine come estrinsecazione dello stato vitale e sull’importanza di una considerazione unitaria del vivente.
È Klages stesso nella Premessa all’opera ad affermare che le perizie grafiche e, più in generale, l’attento studio delle regolarità nella scrittura a mano libera sono, infatti, solo un “espediente speculativo” per affrontare temi di ben altro spessore, temi che costituiscono un importante riferimento speculativo per il percorso di riscoperta del rapporto fra forma e vita, fra corporeità e sfera affettiva che contraddistingue l’indagine estetica contemporanea. Più che la grafologia, il vero nucleo teorico della sua opera è invero la “scienza universale dell’espressione”, una scienza che proprio Klages contribuisce a fondare.
«Se come materia da porre sotto osservazione abbiamo preferito la grafia», avverte a tal proposito il filosofo tedesco, «ciò non è avvenuto né con l’intenzione di perseguire scopi grafologici, né per il fatto che ci siamo già occupati principalmente di questa materia, ma per ragioni di altra natura» (p. 19): “movimento espressivo” (Ausdrucksbewegung) e “forza formatrice” (Gestaltungskraft) sono infatti i fondamenti di una fisiognomica cosmica che si pone l’obiettivo di indagare i caratteri manifestativi del reale. Non a caso Klages sceglie proprio la dizione Grundlegung der Wissenschaft vom Ausdruck (Fondazione della scienza dell’espressione) come sottotitolo del saggio oggetto della nostra analisi, opera in cui trovano nuova sistemazione le riflessioni di caratterologia e grafologia già elaborate dal filosofo in alcune opere precedenti – quali, ad esempio, Prinzipielles bei Lavater (I principi di Lavater, 1901), Die Probleme der Graphologie (I problemi della grafologia, 1910) e Die Ausdrucksbewegung und ihre diagnostiche Verwertung (Il movimento espressivo e il suo utilizzo diagnostico, 1913) –, nonché in numerosi saggi dedicati all’analisi della grafia di personalità di rilievo del mondo filosofico e politico dell’epoca, pubblicati già a partire dal 1904 e raccolti in italiano nel volume Perizie grafologiche su casi illustri curato da Giampiero Moretti e pubblicato nel 1994 dalla casa editrice Adelphi. Tali riflessioni, riprese nell’opera oggetto della nostra analisi, furono poi ulteriormente approfondite dall’autore e culminarono nella pubblicazione, tredici anni dopo, del saggio Grundlegung der Wissenschaft vom Ausdruck (1936), omonimo del sottotitolo dell’opera del 1921 ma caratterizzato da una strutturazione del tutto differente.
Il percorso che Klages propone al lettore nel saggio da noi analizzato costituisce dunque un riferimento importante per iniziare un confronto con il pensiero del nostro autore e per comprenderne gli sviluppi interni e le successive evoluzioni.
Esso si rivela per noi di particolare interesse per due ordini di ragioni. In primo luogo perché testimonia una continuità teorica con la concezione dinamica del rapporto uomo-mondo elaborata dal romanticismo tedesco e ripresa nel XX secolo anche dalla Neue Phänomenologie, in particolare da pensatori come Erich Rothacker (1988-1965), Hermann Schmitz (1928-) e Gernot Böhme (1937-). Con tali autori Klages condivide l’esigenza di riportare il corpo e il sentire al centro della riflessione estetica, qualificandosi quindi a buon diritto come uno dei riferimenti teorici essenziali della Fenomenologia della percezione e dell’Atmosferologia italiana. In secondo luogo, l’opera del 1921 si rivela fondamentale per la comprensione del pensiero klagesiano poiché conferma, forse più di ogni altro saggio del nostro autore, la volontà di trovare un punto di contatto con le indagini psicanalitiche dei primi del Novecento e di rintracciare proprio nella visibilità della forma scritta le leggi dell’espressione (Ausdrucksgesetzen), un fondamento scientifico in grado di collegare l’atto di scrivere alla manifestazione di sentimenti interiori.
Dal romanticismo di matrice tedesca e, in particolare, dalla lettura di autori come Johan Wolfgang Goethe (1749-1832), Carl Gustav Carus (1789-1869), Novalis (1759-1801) e Friedrich Schiller (1759-1805), Klages riprende, infatti, la convinzione che il vivente non possa essere indagato adottando una “prospettiva analitica”. Quest’ultima, essendo focalizzata sull’analisi di particolari aspetti fisici o caratteriali, non ci consente di comprendere l’uomo nella sua più intima essenza (Wesen); è perciò necessario adottare uno sguardo contemplativo dell’intero, una “visione globale e unitaria”. Egli è convinto che ognuno di noi sia dominato da una determinata tonalità emotiva, un sostrato che traspare in ogni nostro gesto e che «lega la serie dei ricordi nel medesimo modo in cui il fondo invisibile dell’oceano tiene unite le isole che emergono dall’acqua» (p. 29). Tale sostrato costituisce l’“arena” della personalità umana, il campo di battaglia fra due forze opposte che se ne disputano il predominio: l’Anima (die Seele) e lo Spirito (der Geist). Cadremmo in errore se considerassimo la prima un’entità puramente spirituale: l’Anima è, infatti, per Klages la “vita per eccellenza”, il fluire delle esperienze e delle emozioni, e può quindi essere intesa come l’insieme delle attività istintive e spontanee di un soggetto. Essa si contrappone allo Spirito che mostra la tendenza a razionalizzare e scomporre e rappresenta pertanto il complesso delle attività intellettive dell’individuo. Il risultato dello scontro di queste due forze è la costituzione del carattere, formato in ciascuno di noi da una peculiare proporzione di Anima e Spirito e che si dà a vedere nel corpo (der Leib), il terzo elemento di tale triade. Come sottolinea il pensatore tedesco, quest’ultimo rappresenta il naturale contrappunto dell’Anima: per quanto lo Spirito cerchi di dominarlo e di “razionalizzarlo”, il corpo si rivela sempre infatti un “segno” dell’Anima che trova proprio nella corporeità l’accesso alla realtà fisica («il corpo proprio è manifestazione dell’anima, l’anima il senso del corpo proprio vivente», p. 36).
Nell’articolazione del percorso teorico tracciato da Klages, la scrittura occupa un ruolo fondamentale: in quanto movimento espressivo, essa si fa testimonianza del principio d’indifferenza psico-fisica qui delineato e della prevalenza delle spinte liberatorie dell’Anima sulle istanze repressive e costrittive dello Spirito.
Per chiarire tale concetto, è forse opportuno fare riferimento alla distinzione fra “movimento espressivo” e “movimento volontario” cui Klages dedica il secondo capitolo della sua opera e che era già stata formulata da Friedrich Schiller (1759-1805) nel celebre saggio Über Anmut und Würde (Grazia e Dignità, 1793). In quest’opera il filosofo romantico aveva, infatti, distinto i movimenti volontari o finalizzati dai movimenti involontari o simpatetici: ai primi, afferma Schiller, appartengono tutti i movimenti prescritti dal soggetto al corpo a seguito di una decisione consapevole; i secondi hanno, invece, luogo senza il concorso della volontà e sono guidati dalle emozioni che Klages denomina, in gergo scientifico, moti dell’animo o affetti (Affekte), cioè i sentimenti intesi in rapporto alla loro forma impulsiva (cfr. pp. 49 sgg.).
Il filosofo di Hannover prende le mosse dalla distinzione introdotta da Schiller e ripresa, in ambito psicologico dal fisiologo Wilhelm Wundt (1832-1920) nell’opera Grundzüge der physiologischen Psychologie (Fondamenti di psicologia fisiologica, 1874), ma la fa esplodere dall’interno, affermando fin dalle prime pagine del saggio che ogni nostro movimento è ancorato al substrato corporeo e che nessun moto si rivela pertanto volontario: è «impossibile controllare il più piccolo movimento nel suo intero svolgimento»; ne consegue che «ogni azione mostra dei tratti espressivi e in essi l’unità di colui il quale agisce» (p. 21).
La scrittura, secondo Klages è quindi «il principale mezzo di prova» (p. 24) dell’indistinzione fra movimenti volontari e involontari: nell’atto di scrivere, infatti, il cervello guida i movimenti della mano mediante la trasmissione d’impulsi nervosi; tuttavia, un’attività di tal tipo, tanto complessa dal punto di vista neurologico, partecipa delle nostre emozioni ed è condizionata anche dal nostro umore, trasformando il gesto grafico in un gesto che esprime tutto il nostro essere. Questa considerazione è alla base della legge fondamentale dell’espressione, alla quale l’autore dedica il primo capitolo del saggio e che costituisce, come abbiamo già accennato, il leit motiv dell’intera opera: «i movimenti espressivi con il medesimo scopo in persone diverse hanno luogo in modo diverso da personalità a personalità» (p. 22) perché il modo in cui usiamo la penna per tracciare segni sulla carta rivela, per mezzo dell’immagine, il ritmo fondamentale della persona, il timbro del movimento (Bewegungstimbre) che trasmette il “colore” o la “tonalità emotiva” dell’individuo.
Da qui la convinzione che «l’espressione fisico-corporea di ogni stato vitale sia fatta in modo tale che la sua immagine sia in grado di rievocarlo» (p. 35, citazione modificata). Il segno grafico si fa quindi eminente manifestazione del Formniveau, del livello formale del soggetto, perché quello fra interiorità ed esteriorità del vivente non può essere considerato un rapporto di subordinazione del corpo allo Spirito: «il corpo è qualcosa di più e di diverso da una lamina di rivestimento dello spirito e questo, di contro», scrive Klages, «non è un Prassitele che fa del corpo il simbolo mutevole delle tonalità emotive» (pp. 41-42).
È su tale legge che il filosofo tedesco costruisce il suo sistema grafologico, una struttura teorica che presuppone una rinnovata visione dell’essere umano e che si propone, come mette in luce Davide Di Maio nella sua approfondita Introduzione all’opera, «di indagare il sostrato più profondo, “animico”, dell’uomo, e quello “iconico” della realtà fenomenica, edificando su queste basi una metafisica delle “essenze”» (p. 7).

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