XXXI, 2, 2021: L’intuizione e le sue forme. Prospettive e problemi dell’intuizionismo. A cura di Stefano Besoli e Luca Guidetti
Fin dall’antichità, il concetto di intuizione (epibolé, intuitus) indica il rapporto diretto e immediato con un oggetto qualsiasi, in modo da implicare la presenza effettiva dell’oggetto. Tale definizione, che accomuna tutte le versioni dell’intuizione, è talmente ampia da includere posizioni in apparente antitesi tra loro, a seconda di come vengano intese l’immediatezza della relazione e la presenza dell’oggetto. Se infatti si tratta di una relazione, i relati, nonostante la mancanza di intermediari, devono in ogni caso essere distinti, come avviene in tutte le concezioni che danno rilievo alla presenza dell’oggetto a una coscienza, a una facoltà o, in generale, a una proprietà e a un modo di essere del soggetto. Questa forma d’intuizione come posizione dell’oggetto di fronte alla coscienza, che corrisponde in prima istanza al carattere visivo proprio della filosofia greca classica, comporta però il paradosso secondo il quale un rap-porto intuitivo è tale nella misura in cui, almeno in parte, elimina la distinzione tra soggetto e oggetto e, così facendo, cessa di essere un rapporto per dare invece rilievo a forme di coincidenza o compenetrazione tra i termini, così com’è possibile riscontrare – ad esempio – nelle posizioni intuizionistiche di Plotino, Spinoza e Bergson. Tutto ciò dipende dal fatto che, dal punto di vista conoscitivo, una relazione immediata, nella quale si richieda al tempo stesso la presenza dell’oggetto, è per sua natura instabile, poiché tende a collassare o nel limite superiore dell’annullamento dei distinti, tipico delle concezioni idealistiche, coscienzialistiche e finanche mistiche (nelle quali l’intuizione indica una relazione interna o monadica), oppure nel limite inferiore della loro moltiplicazione discorsiva, che caratterizza invece la diluizione realistica della presenzialità oggettuale nelle varie forme dell’oggettivazione comparativa. È tuttavia evidente come tale oggettivazione implichi, in sostanza, una soppressione dello stesso concetto d’intuizione, il quale sarebbe così rimpiazzato da basi di relazioni triadiche o poliadiche del genere “A intuisce B come C” (cfr., a tal riguardo, F. Kambartel, Anschauung, in J. Mittelstraß (hrsg. von), Enzyklopädie Philosophie und Wissenschaftstheorie, Metzler, Stuttgart, 1995, Bd. 1, p. 120).
In apparenza, quindi, la soluzione più semplice alle difficoltà che sorgono dal bisogno di conciliare immediatezza e presenza dell’oggetto sembrerebbe proprio quella di eliminare l’intuizione come istanza conoscitiva, riservandola – come accade nelle più recenti correnti positivisti-che o analitiche – a forme di contatto diretto ed extralogico del soggetto con il mondo, vale a dire di tipo estetico, morale o sentimentale. Ma a parte il fatto che, in questo modo, non si risponde alla questione dell’unità e della presenza alla mente di oggetti complessi o di compagini relazionali in riferimento ai quali – accanto agli oggetti “semplici” – si sviluppa il pensiero discorsivo, la lacuna più grave di tale soluzione consiste nell’eludere la questione dei “principi”, che sempre di nuovo si ripropone all’interno di ogni ragionamento comparativo. Già Aristotele aveva evidenziato che «del principio si dà una conoscenza diversa da quella dimostrativa» (Gen. an., Il, 6, 743), poiché «tutte le altre cose vengono rese manifeste per mezzo dei principi, ma essi non sono subordinati ad altro» (Top., VIII, 3, 158 b 2). Per tale ragione, la conoscenza dei principi appare come «la più elevata» (An. post., I, 9, 76 a 21): si tratta infatti di una conoscenza intuitiva di quelle verità che non richiedono dimostrazione, essendo «impossibile dimostrare qualcosa senza cominciare dai principi che ad essa appartengono» (Top., VIII, 3, 158 a 36).
Il possesso immediato dei principi non si sottrae, dunque, alla necessità di una loro demarcazione rispetto agli atti e alle strutture della “coscienza” (in qualsiasi modo essa possa essere concepita) e, dall’altro lato, l’articolazione dei diversi momenti, in cui consiste tale demarcazione, richiede che a fondamento dei processi mediati si ponga un’unità non mediata, in grado di mostrare il senso di ogni articolazione discorsiva. Il problema dell’intuizione si gioca tutto all’interno di questa particolare figura della complementarità, secondo la quale la conoscenza intuitiva stabilisce, effettivamente, una relazione intima tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, ma, nel momento in cui essa si esprime, richiede sempre un certo grado di oggettivazione e, quindi, di contrapposizione dell’oggetto al soggetto, persino nel caso della conoscenza di sé.
In altri termini, l’intuizione viene rappresentata o espressa attraverso la mediazione e, a sua volta, la mediazione si realizza o si esegue attraverso l’intuizione. In ogni autentico concetto d’intuizione, che emerge nel periodo che intercorre dalla tradizione greca classica alla fine dell’Ottocento, i due aspetti – statico e dinamico – manifestano una continua tensione dialettica, ma il rilevo che assume il lato statico può occultare o indebolire quello dinamico e viceversa. Così, per l’intuizione sensibile kantiana l’emergenza del dato, nella sua statica ricettività, attenua il carattere dinamico della sensazione che richiede, come complemento esprimibile ma non eseguibile, l’intuizione archetipica o creatrice dell’intelletto. Dal rovesciamento complementare del kantismo trae origine l’intuizione intellettuale della prima fase dell’idealismo classico tedesco, in particolare in Fichte e Schelling. Qui l’intuizione si presenta come quel principio, eseguibile ma mai del tutto esprimibile, che fa da sfondo agli atti di una coscienza rivolta alla natura. Tale polarità risulta ancora all’opera nell’intuizionismo di Brouwer, in cui l’aspetto dinamico dell’“intuizione per costruzione” confina l’“intuizione per evidenza”, tipica della logica classica e del concetto ingenuo di numero, a un momento solo parziale, come istante o prodotto della mente, all’interno delle procedure del calcolo e della generazione degli enti matematici. Dall’altro lato, la fenomenologia husserliana, attraverso il tema del costituirsi dell’esperienza, affida alla “visione d’essenza” un compito nuovo e per molti versi inedito. Per essa, si tratta infatti di superare la polarità tra evidenza e costruzione, ponendo in rilievo la connessione originaria tra datità sensibile e universalità categoriale negli atti di riempimento dell’intenzione conoscitiva. L’intuizione perde così la qualificazione meramente funzionale che spetta al “criterio” o alla “facoltà più elevata” di determinazione dei principi, per assumere invece il carattere fungente della correlazione che, fin dall’inizio, s’istituisce tra la coscienza e il mondo.
D’altronde, l’evidenza, come il «darsi di qualcosa in sé» (E. Husserl, Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft (1929), in Hua XVII, P. Janssen (hrsg. von), Nijhoff, Den Haag, 1974, trad. it. di G.D. Neri, con prefazione di E. Paci, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari, 1966, p. 198, trad. modif.), come manifestarsi delle cose nel loro originario modo d’essere, non è per Husserl né un criterio né un fatto, ma è dotata di una sua gradualità, di un’«universale struttura teleologica» che si estende alla coscienza nella misura in cui intenzionalità ed evidenza sono concetti «che si co-appartengono essenzialmente» (ivi, p. 199, trad. modif.). In quanto «modo universale dell’intenzionalità», l’evidenza non costituisce il contrassegno statico di una certezza conoscitiva d’impronta psicologica, che prescinde dall’interrogarsi sul senso dell’essere che ne sta alla base, bensì – nella centralità che essa riveste all’interno della problematica intenzionale – l’evidenza costituisce il titolo problematico dell’intera questione dell’essere affrontata dalla fenomenologia, giacché come carattere ostensivo di tutto ciò di cui abbiamo esperienza essa rende chiaro che il manifestarsi di ogni singola datità oggettuale, nel contesto di un ambito di senso determinato, non può mai di principio costituirne la datità assoluta. In tale congiuntura di pensiero, l’intuizione – non importa se nel ruolo di Anschauung o di Intuition (cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, in Hua III/1 e III/2, K. Schuhmann (hrsg. von), Nijhoff, Den Haag, 1976, trad. it. a cura di V. Costa con introduzione di E. Franzini, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino, 2002, vol. 1, § 24, p. 52 sg.), d’intuizione categoriale o d’essenza – diviene il manifesto di una riflessione filosofica che, per suo peculiare statuto, non ambisce ad operare uno strappo con la trama articolata dell’esperienza, ma anzi mira a ricavare in questo solco la natura dell’a priori materiale e della sua intrinseca contingenza (cfr. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., 6, pp. 35 sgg.; Formale und transzendentale Logik, cit., Ergänzender Text V (1920-1921), pp. 379 sgg.). Come lo stesso Heidegger ha finito per riconoscere, la scoperta husserliana dell’intuizione categoriale ha permesso di fare dell’a priori un «titolo dell’essere» (M. Heidegger, Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriffs (SS 1925), GA 20, P. Jaeger (hrsg. von) 1979, trad. it. e cura di R. Cristin e A. Marini, Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, il melangolo, Genova, p. 93), giacché la conoscenza a priori, non più basata su un modello di ragione discorsiva, opera in senso intuitivo, individuando delle essenze che possono dirsi materiali in quanto provviste di un determinato contenuto, non essendo cioè delle mere tipicità empiriche, ma nemmeno delle forme categoriali di stampo kantiano. Vi è dunque, per la fenomenologia husserliana, una necessità che ha fondamento nella particolarità essenziale dei contenuti, non potendo tradursi in un a priori formale quale espressione di condizioni analitiche di natura puramente soggettiva, ma dovendo appunto affidarsi all’impronta mereologica della struttura esperienziale. Ne consegue che il pensiero intuitivo s’ispira a una dialettica che lega astratto e concreto nella necessità di una sintesi che non prevede la presenza di datità assolute o di contenuti del tutto indipendenti, non rendendo con ciò attuale che l’esito di ogni intuizione d’essenza o astrazione ideante possa, in termini d’irrelazionalità, bastare a se stesso, proprio perché soggetto a un rapporto di fondazione.
Indice
(cliccando sul titolo si può leggere l’abstract)
Stefano Besoli, Luca Guidetti, Premessa
Marwan Rashed, Hisam ibn al-Hakam et SulaHišām ibn al-Ḥakam et Sulaymān ibn Ǧarīr entre stoïcisme et kalām : de la négation du tiers-exclu à la distinction entre « chose » et « existant »
Aldo L’Erario, Rethinking Aristotelian Intuition after the Downfall of the Intuitionist Reading
Matthias Koßler, Von der göttlichen Schau zur Erfahrungserkenntnis: Intuition im Hoch- und Spätmittelalter
Gennaro Luise, Matteo Negro, Antonio Giovanni Pesce, L’intuizione intellettuale nel tomismo
Riccardo Chiaradonna, La terza meditazione di Plotino
Frédéric de Buzon, Le primat de l’intuition dans les débuts de la philosophie moderne. Structure et usage d’un acte de l’esprit chez Descartes
Simone Guidi, Acies mentis. Il progetto cartesiano di un’epistemologia dell’intuitus e il suo ripensamento metafisico
Stefan Klingner, Kant and the Rationalist Myth of the Given
Ives Radrizzani, Place et fonction de l’intuition dans la philosophie fichtéenne
Erik Eschmann, Ästhetische Kontemplation als besonnene Intuition. Wie intuitive Erkenntnis bei Schopenhauer interesselos sein kann
Rocco Ronchi, Che cosa è reale? Il metodo bergsoniano della intuizione alla prova della relatività einsteiniana
Gerhard Heinzmann, L’Intuition épistémique
Francesco Allegri, W.D. Ross e l’intuizionismo in etica
Ernesto V. Garcia, Intuitions in 21st-Century Moral Philosophy: Why Ethical Intuitionism and Reflective Equilibrium Need Each Other
Luca Guidetti, Moritz Schlick e il problema dell’intuizione nel Neopositivismo
Stefano Besoli, Esercitare lo sguardo: intuizione categoriale e complessità del vedere nel mutare della fenomenologia da Husserl a Heidegger