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Discipline Filosofiche XXXII, 1, 2022: The Experience of Pain. Epistemological, Hermeneutical and Ontological Aspects, edited by Luca Vanzago

XXXII, 1, 2022: The Experience of Pain. Epistemological, Hermeneutical and Ontological Aspects. Edited by Luca Vanzago

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copertina-2016-1-fronteIl dolore è un fenomeno complesso. Lo studio dell’esperienza in generale, e di quella del dolore in particolare, rappresenta un caso esemplare per quanto riguarda la questione se l’indeterminazione sia una mancanza o debba essere intesa diversamente. La descrizione e la comprensione del dolore infatti pongono due tipi di problemi diversi anche se interconnessi: per un verso, infatti, si tratta di decidere se il fenomeno sia in linea di principio determinabile, e quindi la sua indeterminatezza derivi da una mancanza o insufficienza epistemica; per altro verso, si tratta di comprendere se il dolore sia di per sé un fenomeno semplice oppure no, e in questo caso si tratta allora piuttosto di una questione ontologica. A questi due ordini di considerazioni si deve però, a mio avviso, aggiungerne un altro che è trasversale rispetto ad essi: ci si può cioè chiedere anche se il dilemma relativo alla determinatezza o indeterminatezza dell’esperienza del dolore, sia piuttosto da riformulare in termini di sovradeterminazione. Si tratta in questo caso di ammettere la plausibilità di una pluralità di linee di comprensione o spiegazione relative all’esperienza del dolore, che potrebbe permettere una diversa formulazione della questione.
In altri termini la problematica può essere così riassunta preliminarmente: innanzi tutto si tratta di capire se l’esperienza del dolore, la più comune e probabilmente universale esperienza che si possa fare, sia relativa a fenomeni semplici o complessi; se si accetta l’ipotesi che si tratti di fenomeni complessi, si tratta di decidere se tale complessità sia epistemica o ontologica, e per entrambe le alternative si può prevedere che tale complessità possa essere intesa o in termini di mancanza di una spiegazione definitiva che però si può sperare di ottenere in futuro, oppure in termini di una mancanza intrinseca, cioè in altri termini di una indeterminazione positiva. Se si optasse per tale scelta, si potrebbe allora suggerire ulteriormente che tale indeterminazione positiva debba essere compresa in termini di sovradeterminazione. Che cosa si debba intendere con sovradeterminazione è a sua volta una questione aperta. Per il momento mi limito a ricordare che tale termine è stato utilizzato da Freud, che in vari luoghi parla di Übereinstimmung in termini di condizione di ciò che è determinato da una pluralità di fattori, come alcuni fenomeni dell’inconscio, in particolare i sogni (ma anche i lapsus, gli atti mancati ecc.) nei quali, a causa della condensazione, un’immagine manifesta si compone di più contenuti latenti che l’interpretazione corretta deve cercare di ricostruire.
Per delineare più precisamente le problematiche insite in un tipo di esperienza apparentemente così semplice e banale come il dolore fisico, può essere utile partire dalla definizione datane dalla IASP nel 1979. La International Association for the Study of Pain, che pubblica l’importante rivista internazionale Pain, è stata fondata nel 1973 e ora vede al proprio interno più di 7000 membri provenienti da 133 nazioni, ha 90 sedi nazionali, e 20 gruppi di interesse speciale, dedicati ad altrettanti temi rilevanti connessi alla ricerca generale sul dolore. Nella definizione originale del 1979 il dolore è definito come «an unpleasant sensory and emotional experience associated with actual or potential tissue damage, or described in terms of such damage».
Nel proporre questa definizione, la IASP ha aggiunto delle note di accompagnamento, in cui si dice quanto segue: «l’incapacità di comunicare verbalmente non nega la possibilità che un individuo provi dolore e abbia bisogno di un adeguato trattamento antidolorifico. Il dolore è sempre soggettivo. Ogni individuo impara l’applicazione della parola attraverso esperienze relative a lesioni nella prima infanzia. I biologi riconoscono che quegli stimoli che causano dolore possono danneggiare i tessuti. Di conseguenza, il dolore è quell’esperienza che associamo al danno tissutale reale o potenziale. È senza dubbio una sensazione in una o più parti del corpo, ma è anche sempre spiacevole e quindi anche un’esperienza emotiva. Le esperienze che assomigliano al dolore ma che non sono spiacevoli, ad esempio la puntura, non dovrebbero essere chiamate dolore. Le esperienze anormali spiacevoli (disestesie) possono anche essere dolorose ma non sono necessariamente tali perché, soggettivamente, potrebbero non avere le qualità sensoriali usuali del dolore. Molte persone segnalano dolore in assenza di danni ai tessuti o qualsiasi probabile causa patofisiologica [sic]; di solito questo accade per motivi psicologici. Normalmente non c’è modo di distinguere la loro esperienza da quella dovuta al danno tissutale se prendiamo la direzione della relazione soggettiva. Se costoro considerano la loro esperienza come dolore e se la riportano allo stesso modo del dolore causato da un danno tissutale, essa dovrebbe essere accettata come dolore. Questa definizione evita di legare il dolore allo stimolo. L’attività indotta nei nocicettori e nei percorsi nocicettivi da uno stimolo nocivo non è il dolore, che è sempre uno stato psicologico, anche se possiamo considerare che il dolore ha spesso una causa fisica prossima».
Come si può vedere, le note forniscono numerosi chiarimenti relativamente a una definizione che, altrimenti, potrebbe essere considerata piuttosto decisamente riduzionistica. Nondimeno, tale definizione non è priva di controversie e questo ha condotto la IASP, lo scorso 7 agosto 2019, a proporre una nuova definizione, chiedendo pubblicamente a chiunque sia interessato e studi questo fenomeno di suggerire commenti a una task force composta da studiosi di varie nazioni, mandando il proprio contributo entro il giorno 11 settembre. Non sono ancora stati pubblicati i commenti, né tanto meno la valutazione che di essi è stata data, o sarà data, dalla task force. La nuova formulazione è la seguente: «an aversive sensory and emotional experience typically caused by, or resembling that caused by, actual or potential tissue injury».
Ci sono due mutamenti sostanziali tra la prima e la seconda definizione. L’aggettivo “unpleasant” è stato sostituito da “aversive”. Spiacevole viene cioè sostituito con avverso. Inoltre, quanto nella prima definizione veniva reso in termini di associazione tra esperienza e danno tissutale attuale o potenziale ora viene invece descritto in termini di una esperienza sensoriale ed emotiva in genere causata o simile a quella causata da una lesione tissutale effettiva o potenziale. Anche in questo caso la IASP fornisce delle note di accompagnamento: «il dolore è sempre un’esperienza soggettiva che è influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali.
Il dolore e la nocicezione sono fenomeni diversi: l’esperienza del dolore non può essere ridotta all’attività nei percorsi sensoriali.
Attraverso le loro esperienze di vita, gli individui imparano il concetto di dolore e le sue applicazioni.
Il rapporto di una persona su un’esperienza come il dolore dovrebbe essere accettato come tale e rispettato.
Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattativo, può avere effetti negativi sulla funzione e sul benessere sociale e psicologico.
La descrizione verbale è solo uno dei numerosi comportamenti per esprimere dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un animale umano o non umano provi dolore».
Come si può intuire, queste note sono soprattutto spunti di riflessione in attesa dei commenti. Si possono però subito individuare alcune questioni particolarmente significative. Il dolore viene innanzi tutto considerato come esperienza influenzata da fattori diversi e concorrenti, cioè biologici, psicologici e sociali. Qui sembra di capire che il residuo di riduzionismo fisicalistico ancora implicito nella definizione originaria sia stato attenuato. Tale attenuazione viene ribadita dalla seconda proposizione, che sottolinea come la nozione di nocicezione, comune in neurologia, non possa coprire tutto lo spettro semantico che quella di dolore rappresenta. Quando si parla di percorsi sensoriali si fa esplicito riferimento alla tesi per cui il dolore sia sostanzialmente un evento di tipo neurologico connesso al sistema nervoso centrale e a quello periferico, alle strutture afferenti ed efferenti, e quindi alla comunicazione di segnali chimico-elettrici. Questa tesi è stata ripresa in filosofia in particolare dalla corrente nota come eliminativismo, di cui Paul e Patricia Churchland sono tra gli esponenti più noti.
La terza proposizione enfatizza il ruolo dell’apprendimento, il che significa sostanzialmente sia che il dolore si trasforma nell’arco della vita di ogni persona, sia che esso può variare culturalmente. Questa tesi apre al problema del relativismo, in quanto in linea di principio sembra permettere l’inclusione di definizioni diverse se non contrastanti relativamente a ciò che ognuno intende con dolore.
La quarta proposizione in qualche modo rafforza la precedente, perché chiede di ammettere che l’affermazione da parte di qualcuno di star provando dolore non debba essere contrastata, confutata o rifiutata. In effetti, sino a tempi relativamente recenti il dolore veniva considerato in medicina semplicemente come effetto collaterale inevitabile e come tale estraneo alla cura. Oggi sempre più spesso invece il dolore è inteso come vera e propria forma di patologia in sé. Ciò non dipende esclusivamente dal fatto che il dolore cronico è una delle più diffuse forme di esperienza debilitante in un mondo di persone che arrivano a raggiungere età un tempo impensabili. Oltre a questo, che comunque è un rilevantissimo problema sia per motivi sociali che economici, si delinea in effetti anche una questione teorica significativa, poiché esige di chiedere che tipo di connessione esista tra dolore e coscienza, nonché di esaminare il modo con cui la coscienza può modificare se stessa ed eventualmente nascondere a se stessa le cause o motivazioni del dolore. Tale questione emerge solo se si ammette che il dolore fisico non sia un evento puramente neurologico e quindi come tale indipendente dalla coscienza.
La quinta proposizione interviene sul tema complesso del ruolo del dolore nella configurazione evolutiva dell’esperienza soggettiva, sia a livello della storia individuale sia anche in prospettiva collettiva. Senza dolore non è possibile alcuna crescita emotiva e cognitiva personale, ma questo non significa che ogni singolo dolore abbia un senso virtuoso. Al contrario, vi sono esperienze dolorose totalmente debilitanti e inutili, capaci solo di distruggere l’integrità soggettiva di una persona e quindi anche la convivenza e in generale le relazioni intersoggettive di questa persona.
La sesta proposizione è tra le più innovative poiché pone due questioni diverse anche se interconnesse: innanzi tutto tende ad aprire l’espressione del dolore a una gamma di possibilità che eccedono quelle linguistiche; ciò in secondo luogo si connette anche alla tematica relativa all’animalità e ai diritti animali. Si tratta indubbiamente di una apertura significativa rispetto alle posizioni tenute da molti studiosi fino a tempi molto recenti e in alcuni casi sostenute tuttora. La connessione tra le due questioni emerge naturalmente se si considera il problema di come comprendere il dolore altrui. La manifestazione del dolore è infatti uno degli aspetti più controversi del complesso di problemi che si stanno delineando.
In definitiva, si tratta però di esaminare la questione se il dolore sia una esperienza riconducibile a basi organiche oppure richieda un approccio diverso. Il dilemma è qui dunque rappresentato dalla possibilità di attuare un approccio riduzionistico o anti-riduzionistico, e la scelta tra i due modelli dipende sia da considerazioni epistemiche sia da questioni più propriamente ontologiche.
Chiaramente la questione della comprensione del dolore riapre un capitolo del più generale dibattito su cosa sia l’esperienza, e in particolare se la coscienza abbia un ruolo oppure no. Ma, come si diceva, va tenuto in conto anche l’aspetto della comunicazione, non necessariamente linguistica, dell’esperienza dolorosa. In effetti molti questionari usati dai medici per la comprensione del dolore provato dai propri pazienti propongono una valutazione delle espressioni facciali o dei comportamenti gestuali, quando non sia ad es. possibile ottenere uno scambio verbale significativo con la persona sofferente. In questo senso il corpo “parla” anche se non utilizza il linguaggio.
Questi due problemi sono chiaramente interconnessi e aprono a un dibattito epistemologico che chiama in causa la più generale problematica relativa a cosa sia l’esperienza e in particolare come si debba comprendere l’aspetto fenomenico, in questo caso connesso alla sofferenza, rispetto a un più o meno chiaramente concepito sostrato corporeo o materiale. In definitiva l’esperienza del dolore riapre il vaso di pandora del contrasto tra dualismo e monismo e dunque la grande questione del rapporto tra mente e corpo. Forse però l’indagine sul dolore può offrire uno sguardo diverso su questi temi tradizionali.

Indice
(cliccando sul titolo si può leggere l’abstract)

Luca Vanzago, Introduction
Rudolf Bernet, I limiti della libertà in relazione a dolore e sofferenza
Françoise Dastur, Souffrance, douleur, deuil et condition humaine
Roberta Lanfredini, Letizia Cipriani, Esperienza ed espressione del dolore. Un’indagine preliminare tra fenomenologia ed ermeneutica
Philippe Cabestan, Exister, souffrir, mourir. Esquisse d’une phénoménologie existentielle de la souffrance
Luca Vanzago, The Sense of Pain. Some Phenomenological Remarks
Michela Summa, Pain Memory and Actualization. Opening and Foreclosing Possibilities
Pilar Fernández Beites, Atención e interés en las estrategias de afrontamiento del dolor
Francesco Saverio Trincia, L’esperienza del dolore in Sigmund Freud
Mª Carmen López Sáenz, Conciencia verdadera del dolor sentido y sentidos del dolor. Estudio fenomenológico
Deborah De Rosa, Realtà virtuale e dolore fantasma. Uno sguardo fenomenologico
Natalie Depraz, Le viol : épreuve de soi, épreuve du corps, épreuve de l’autre, épreuve du collectif. Comment en sortir, et comment s’en sortir ?
Elena Alessiato, Del corpo, dell’anima o dell’esistenza? Ambiguità e pluralità del dolore nel contributo di Karl Jaspers
Andrea Calandrelli, Alessandra Nicolini, Il dolore nella fibromialgia. Dal sintomo alla dialettica corpo-mondo

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