venerdì , 22 Novembre 2024
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113. Recensione a: Simone Pollo, Manifesto per un animalismo democratico, Carocci, Roma 2021, pp. 124. (Riccardo Cravero)

Di animalismo, così come di ecologia, oggi si parla molto, spesso senza una precisa cornice teorica di riferimento. Accade così che il discorso sui temi animalisti si tramuti spesso in una serie poco edificante di radicalismi e di accuse mal fondate, imprecisioni e paragoni infamanti. Proprio contro queste derive prende posizione il recente saggio di Simone Pollo, un Manifesto per un animalismo democratico in cui il termine chiave è proprio “democratico”. Riflessione sulla politica e sulle sue istituzioni non meno che sui diritti animali, il testo si pone fin da subito come tentativo di fare chiarezza sui termini del dibattito e sulle modalità per condurlo proficuamente.
Per fare ciò, l’autore si districa tra la storia dei diritti animali, le sue radici ed i suoi antichi legami coi principi democratici, le argomentazioni dei primi animalisti e le recenti tendenze facenti capo all’antispecismo. Il filo conduttore di questo percorso è il legame che intercorre tra principi democratici e battaglie per i diritti animali, tema che nutrirà la proposta dell’autore, ovvero mostrare come nei principi che informano le nostre democrazie siano insite già le basi per una difesa dei diritti animali.
La prospettiva è ovviamente rivolta innanzitutto a chi già nutre simpatie per la causa animalista, ma il contenuto del volume è sicuramente interessante anche per chi vuole riflettere sul ruolo della critica animalista nel contesto democratico odierno, non ignorando la rilevanza e l’attualità di tali temi nella discussione politica attuale.
Il primo capitolo del libro di Pollo ripercorre alcuni mutamenti nella sensibilità morale avvenuti nel XVIII secolo, epoca impropriamente caratterizzata come “Età della Ragione”, ma in realtà culla di alcune importantissime esplorazioni degli aspetti più emotivi, istintuali e sensibili dell’umano. Proprio da questo “Illuminismo dei sentimenti” nasceranno le categorie morali di compassione e lotta alla crudeltà che, alimentate da romanzi a grande diffusione, nutriranno un’ondata di rivendicazioni umanitarie. Rivendicazioni che porteranno alla liberazione degli schiavi prima e all’animalismo poi.
Le radici antischiaviste del movimento per i diritti degli animali sono evidenti in Bentham quanto in Darwin, entrambi antischiavisti convinti ed entrambi precursori di una sensibilità animalista moderna. Mentre il filosofo utilitarista porta a compimento l’evoluzione della sensibilità sopra ricordata con il suo sensiocentrismo etico, il naturalista inglese pone a fondamento della sua ricerca scientifica l’intento etico di mostrare le somiglianze non solo tra uomo e uomo, ma anche tra ognuno degli esseri viventi unito nella grande “rete” della vita.
La rivoluzione darwinista apre la porta nel Novecento ad un processo di riconsiderazione dell’animalità, non più radicalmente opposta all’umanità ma con essa continua. Tuttavia, non tutti gli animalismi novecenteschi sono modelli di virtù, come ci ricordano le molte leggi in favore dei diritti animali promulgate da nazisti e fascisti. Vero e proprio cavallo di battaglia di molte argomentazioni velenose (quelle ricordate in apertura, bersagli polemici dell’autore), tali leggi sono però solo a prima vista delle prove di consostanzialità tra totalitarismi e animalismo. La motivazione di tali provvedimenti è prettamente politica (pur non negando una reale sensibilità per la condizione animale) ed ha come scopo l’esaltazione del buon cuore (!) ariano-germanico a fronte dell’insensibilità degli ebrei, oltre che essere organicamente inserita in una visione politica che, come è noto, esalta non solo il Sangue, ma anche il Suolo, aspirando ad una unione del popolo ariano con la natura a lui sottoposta.
Non diverso il caso del fascismo, in cui la sincera “zoofilia” mussoliniana è anche qui unita ad una ricerca di status morale superiore dei nemici, identificati non nell’ebreo dal cuore di pietra bensì nell’anglo-americano molle e sentimentalista. Insomma, la presenza di temi ambientalisti ed animalisti in tali regimi è sì attestata e non risibile per importanza, ma i suoi motivi profondi sono ben diversi da quelli che muovono i più moderni movimenti animalisti, che Pollo affronta nel successivo capitolo.
Tali movimenti si ispirano ad un principio diverso da quello del sentimentalismo umanitario o della lotta alla crudeltà, radicalizzando invece il portato della rivoluzione darwinista. Tale nuovo principio è quello dell’antispecismo, ispirato da un lato dalla critica all’antropocentrismo e dall’altro da una visione ecologica unitaria che pone l’uomo in unione e continuità con il resto dell’ambiente.
Le ripercussioni di questo cambio di paradigma sono importanti e senza di esso sarebbe impensabile la moderna etica ecologica o dei diritti animali, ma a fronte di tanto impatto intellettuale non si è assistito ad un uguale impatto politico. L’autore ripercorre perciò alcuni dei percorsi che hanno portato all’affermazione della democrazia liberale moderna, figlia di una visione contrattualistica del potere e di una idea di società come arena di valutazione, confronto e critica dei vari “esperimenti di vita”. Proprio come uno di questi esperimenti di vita andrebbe inteso l’animalismo, proposta etica e politica volta a ridefinire eticamente le relazioni tra noi e gli animali. Essendo inserita in una cornice liberale, tale proposta deve essere oggetto di alcune garanzie politiche e legali, come quelle garantite alle religioni ed ai culti: possibilità di esprimere le proprie convinzioni in una discussione critica, di vedersi riconosciuti come attori politici e di non essere oggetto di rappresentazioni discriminanti nei media.
Emerge qui il fulcro della proposta politica di Simone Pollo, incentrata su un superamento dell’approccio top-down alle questioni politiche (accomunato dall’autore all’ingegneria sociale) in favore di una visione radicalmente democratica, “dal basso” (grassroot, direbbero gli anglosassoni). In questa cornice, sono le spontanee discussioni tra i cittadini, alimentate dalle questioni di attualità, a portare nell’ambito della politica i temi animalisti. Per fare ciò occorrono sensibilità ed immaginazione, intese come strategie per mettere in relazione le forme di violenza e di discriminazione contro gli umani e quelle rivolte agli animali, ovviamente tenendo conto delle debite differenze. Uno Stato liberale dovrebbe insomma garantire ai suoi cittadini la possibilità di argomentare pubblicamente in favore dell’animalismo, fintanto che essi portano argomentazioni accettabili in un dibattito democratico. Nei capitoli centrali del libro saranno proprio tali argomentazioni il focus dell’autore.
Uno dei temi cruciali del dibattito animalista verte sulla sperimentazione su animali e sulla sua liceità, a cui l’autore dedica una trattazione molto moderata. Pollo avanza due richieste di moderazione, vere e proprie clausole da accettare. Da un lato il critico della sperimentazione deve accettarne l’importanza, la rilevanza per la scienza e la società, dall’altra lo sperimentatore non può però ricorrere a futili esempi iperbolici (“salveresti un ratto o tua figlia?”), che polverizzano la complessità delle concrete situazioni in nome di semplificazioni da esperimento mentale. Se è utopico al momento abolire la sperimentazione su animali in molti campi di ricerca in cui essa è fondamentale, allo stesso tempo essa deve essere permessa solo dopo molti caveat e dopo una valutazione caso per caso della sua utilità e liceità.
Altro tema rilevante è quello della relazione tra possesso di animali e schiavitù, dominato spesso dalla prospettiva abolizionista di Francione, che equipara la proprietà di un animale ad un atto di schiavismo. Contro questa posizione di estrema condanna si schiera il moderato e liberale Pollo, che accetta le istanze liberatorie solo in alcuni casi, come circhi ed allevamenti di specie a rischio di problemi di salute a causa della selezione artificiale di razze particolari, per separare proprietà e schiavismo nei casi degli animali domestici che traggono beneficio ed affetto dal rapporto con l’uomo.
Similmente, anche la gestione della convivenza tra animali e uomo in territori urbani e non urbani dovrà risolversi in una maggiore considerazione dei diritti animali, senza condanne tranchant dei programmi di disinfestazione e di controllo delle popolazioni ma allo stesso tempo attento a non lasciarsi sedurre dalla retorica della “tutela del decoro”, spesso usata per giustificare intolleranza e rifiuto della convivenza legittima. Nel dibattito sulla proprietà e in quello sulla gestione della coesistenza sul territorio andranno dunque superate le barriere che negano il benessere degli animali, ma non tramite posizioni deontologiche ed universalistiche. In ambo i casi, la posizione di Pollo è improntata ad una liberale pluralità di beni democratici, secondo una linea d’azione che inserisce nel dibattito i diritti animali ma lo fa commisurandone l’estensione ad altre legittime istanze morali la cui tutela è importante per una società democratica.
Le ultime sezioni del saggio sono dedicate a questioni più squisitamente politico-filosofiche. Innanzitutto, la questione complessa della rappresentanza animale, problematica perché ambisce a farsi carico dei diritti di chi non può esprimersi, ma non così diversa da altre situazioni comuni nel dibattito democratico, dalla tutela dei disabili non autosufficienti a quella della lotta per i diritti delle minoranze senza voce portata avanti da gruppi meno subalterni. Inoltre, la mancanza di espressione degli animali è ben lontana dall’essere totale: per chi ne sa interpretare i gesti e le azioni, l’animale ben esprime gioia, biasimo, dolore, curiosità, soddisfazione, desiderio e felicità. Ciò ovviamente non lo rende assimilabile a gruppi politici capaci di parlare per sé, ma di sicuro ci ricorda che non si deve cedere alla tentazione di abituarci a parlare in nome degli animali al punto da considerarci unici rappresentanti ufficiali dei loro diritti.
L’altra questione politica affrontata dall’autore tratta della questione del dissenso in democrazia e del “diritto all’offesa” non violento che è al cuore del dibattito democratico. La libertà di espressione, ad esempio, riconosce al non-vegetariano il diritto di mangiare carne ma anche il diritto degli attivisti di usare immagini scioccanti per sensibilizzare alla tutela dei diritti animali, nel rispetto del dibattito non violento (che ovviamente non vuol dire non conflittuale). Diverso è il caso delle azioni dirette di sabotaggio e di liberazione di animali per vie illegali: non ammessa a priori, essa è per l’animalismo democratico permessa a posteriori in quei casi in cui se ne può constatare il carattere morale positivo di impedimento di una ingiustizia o di una crudeltà. Ciononostante, il canale privilegiato delle lotte e delle rivendicazioni è e rimane il dialogo democratico, unito alle manifestazioni di dissenso e alle azioni di protesta.
Giungiamo ora alle conclusioni dell’autore. Alla fine di questo scritto breve e nervoso (come evocava già il titolo, che lo qualifica come “manifesto”), l’autore mostra come la pandemia attuale sia solo una delle tante spie che segnalano un’emergenza ambientale, che renderà verosimilmente sempre più centrali nel dibattito pubblico le questioni animaliste (soprattutto considerata l’origine animale del virus). Ma a fronte di questa emergenza, la posizione di Pollo assomiglia più ad un invito alla calma ed alla moderazione che ad una apocalittica chiamata alla rivoluzione, come quelle di alcuni pensatori postumanisti (l’autore in particolare si distanzia da Haraway e Caffo), i cui programmi di rinnovamento (post)antropologico radicale poco si adattano alle esigenze di un serio e progressivo dibattito democratico e che all’autore sembrano più rivolti a compiacimenti elitari che all’azione politica democratica. In conclusione, l’autore ribadisce infatti la centralità dell’argomentazione filosofica, in questo caso applicata alla discussione democratica, nell’affrontare la questione animale, consapevole del fatto che essa è la migliore alternativa a nostra disposizione.
Avendo letto il testo di Simone Pollo non si può non riconoscere un chiarissimo progetto unitario di fondo nell’opera. Esso risiede in una riformulazione delle questioni etiche dell’animalismo alla luce del pluralismo etico della tradizione liberale, volto alla creazione di compromessi tra valori plurali, compromessi dipendenti dalla discussione argomentata in sede di decisione politica. Il risultato della riconsiderazione di Pollo è un sistema equilibrato e moderato, con una attenzione al pluralismo dei valori che non sarebbe dispiaciuta a Max Weber o Isaiah Berlin e una enfasi sulla discussione razionale che si ritrova facilmente in un John Stuart Mill o in Popper.
Un animalismo liberale fino in fondo, dunque, non solo nel suo appello ad un inserimento dell’animalismo in un quadro politico retto dalle regole della discussione democratica, ma anche in molte delle trattazioni delle specifiche questioni morali. Questo con tutte le prevedibili conseguenze di una posizione moderata, prima tra tutte una certa insoddisfazione delle frange più deontologiste ed assolutiste dell’etica animale, meno propene al compromesso. Insoddisfazione di cui l’autore è consapevole, ma che viene respinta implicitamente rivendicando una maggiore spendibilità politica rispetto a posizioni di sicuro più intransigenti ma altrettanto sicuramente poco adatte ad una discussione politica e al compromesso.
Vale insomma anche per l’animalismo di Pollo ciò che spesso avviene per molte etiche ecologiche, dove una certa purezza di principi (valori intrinseci nella natura, diritti assoluti, non-antropocentrismo) viene spesso a trovare resistenze maggiori nella sua concreta applicazione rispetto a certe soluzioni aperte al compromesso, magari meno soddisfacenti (persino Isaiah Berlin ammetteva che il compromesso è sempre meno soddisfacente della “ricerca dell’ideale”) ma più efficaci ed attuabili. Questa la consapevole proposta di Simone Pollo, che accetta di scendere a compromessi non in nome di mali necessari o di strumentali utilità politiche, ma in virtù di una sua liberalissima apertura al pluralismo dei valori, che abbraccia senz’altro i diritti animali ma non si esaurisce in essi.

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