Il volume di Carlo Galli, dedicato a uno dei dialoghi centrali di Platone, la Repubblica, non vuole essere, per esplicita dichiarazione dell’autore, un manuale didattico o un’opera di esegesi specialistica, ma una lettura concettuale volta a far emergere alcuni dei significati e delle esigenze fondamentali che animarono Platone durante la stesura di questo dialogo.
Il primo capitolo è dedicato a una breve ricognizione delle principali letture della Repubblica e della filosofia platonica che sono state proposte nel corso della storia del pensiero occidentale: dal tentativo di Hegel di superare l’inevitabile dualismo platonico, alla critica di Nietzsche contro gli esiti – dal suo punto di vista – più deleteri di questo dualismo (e cioè la fede metafisica in un Dio-verità), fino alle interpretazioni di Heidegger, Arendt, Voegelin, Gadamer, passando per lo sforzo di appropriazione della Repubblica da parte del nazionalismo tedesco e del nazismo, le note critiche in senso antitotalitario di Popper, e la particolare tesi di Leo Strauss, che ritiene la Repubblica uno scritto volto a sottolineare l’impossibilità, se non l’insensatezza, di costruire e attuare un modello di città assolutamente perfetto. Non si tratta di una rassegna didascalica volta a ricostruire una storia esaustiva delle molteplici letture della Repubblica: il capitolo serve a ricordare come questo dialogo non sia per Galli un trattato sistematico e dogmatico che propone una soluzione definitiva e praticabile a certi problemi; si tratta, al contrario, di un’opera che solleva problemi, e che invita ad affrontarli criticamente. Per la precisione, la questione fondamentale della Repubblica è indagare la natura della politica e del potere, questione che finisce per collegarsi strettamente con il problema di descrivere la natura della filosofia e della conoscenza e, conseguentemente, con la necessità di individuare lo scopo della città e della vita del cittadino, sforzandosi di superare una realtà in cui politica, potere, filosofia, città e vita dei cittadini sono tutti subordinati alla dimensione dell’ingiustizia e, quindi, dell’infelicità.
Alla luce di ciò, Galli ripercorre l’intero impianto generale della Repubblica nel corso del secondo capitolo, individuando cinque tesi fondamentali che animano il dialogo e in relazione alle quali occorre leggere le molteplici problematiche ontologiche, epistemologiche, psicologiche, etiche e politiche della Repubblica stessa. Innanzitutto, dal dialogo emerge chiaramente 1) che per parlare di politica occorre essere filosofi: la teoria va cioè strettamente collegata alla prassi, così da trasporre l’ideale all’interno del fenomeno, vale a dire tanto all’interno della dimensione del singolo uomo quanto della città. L’indagine metafisica non è quindi per Platone una disciplina totalmente ‘assoluta’, ossia priva di legami sia con l’uomo che la studia sia con la città nella quale risiede l’uomo che si dedica a tale attività: per Platone, la metafisica possiede un aspetto pratico che rappresenta un momento fondamentale del percorso filosofico stesso. Da ciò consegue 2) che le discussioni contenute nella Repubblica costituiscono un métron per la politica, un elemento a cui fare costantemente riferimento nel momento in cui si volge all’azione ciò che si è faticosamente appreso dedicandosi alla filosofia: lo scopo della filosofia e della politica che si concretizza come pieno esercizio della filosofia è permettere all’uomo di raggiungere la felicità. Nonostante questa profonda interconnessione, la Repubblica è animata da una consapevolezza: l’esistenza 3) di una frizione tra la politica e la filosofia. Non solo per il fatto che la filosofia, nelle città del presente di Platone, viene costantemente ostacolata proprio dalla politica (queste attività sono infatti comunemente concepite come irriducibili l’una all’altra) ma anche perché la filosofia si scontra con il difficile problema dell’‘inizio’, vale a dire della fondazione della città perfetta, la cosiddetta kallípolis: se la filosofia mostra come debba essere condotta la politica, essa non illustra però come fondare la città perfetta, dove filosofia e politica, sapere e potere, vengono a coincidere. Il problema 4) di come debba essere condotta la politica viene risolto da Platone mostrando come la città sia prima di tutto uno spazio di esperienza esistenziale, volta a integrare in un tutto ben connesso e armonico – nonché perfettamente efficiente – il particolare e l’individuale, al fine di garantire la giustizia e la felicità generale: ciò non equivale a dire che la kallípolis è il regno dell’uguaglianza; anzi, la giustizia e la felicità dipendono proprio dalla diversificazione dei molteplici ruoli, nonché dalla restrizione dell’accesso indiscriminato a essi. Infine, da tutto ciò emerge chiaramente 5) che lo scopo dell’esercizio della politica non è assicurare la piena libertà, ma la felicità. Da qui l’efficace espressione di Galli della politica filosofica di Platone – incentrata sull’assegnazione dall’alto di specifici ruoli solo a determinati individui – non come male necessario per raggiungere il benessere (così potrebbe definirla un membro della società occidentale contemporanea) ma come «bene necessario». Si comprende, dunque, il motivo per il quale Platone critichi aspramente coloro che esaltano il particolare (i Sofisti), che ritengono lo spazio politico il dominio della sopraffazione da parte dei più forti (il personaggio di Trasimaco), che prediligono l’individualismo (gli aristocratici pro-oligarchia), che favoriscono un’uguaglianza di facciata in realtà profondamente ingiusta e inefficiente (i democratici), o che guardano all’arte come a un divertimento fine a se stesso: ogni cosa deve essere sapientemente ricondotta a un universale che armonizza le diversità in un tutto ben connesso, giusto e garante della felicità perché sottomesso all’abile guida dei filosofi-politici. Pertanto, l’ordine della città perfetta di Platone non è tanto un kósmos, vale a dire un’armonia che nasce spontaneamente: è, piuttosto, una táxis, ossia un ordine imposto artificialmente.
Il terzo capitolo considera la genesi del dialogo Repubblica, individuata nella crisi di civiltà che colpì il mondo ateniese a partire dalla Guerra del Peloponneso. Dopo tale evento, venne a costituirsi una società nella quale, secondo il punto di vista di Platone, prevaleva la spregiudicatezza, l’individualismo, la competitività, il dinamismo intellettuale ed economico ai limiti del cinismo: posizioni echeggiate dalle opinioni e dall’attitudine del personaggio di Trasimaco nei confronti della politica e della giustizia, definita l’utile del più forte, in altre parole la manifestazione delle volontà di quella base che si trova al potere. Si tratta di una visione che Platone vuole sconfiggere, precisamente attraverso l’intera Repubblica e la tesi del filosofo come politico abile nonché benevolo e benefico verso tutta quanta la cittadinanza. È assolutamente fondamentale che l’individualità venga ricondotta nella collettività sotto la guida e le disposizioni della nuova e rivoluzionaria – secondo l’ottica ateniese – figura del filosofo-politico.
Il quarto capitolo è dedicato proprio all’analisi della figura del filosofo come garante della giustizia. Galli si concentra soprattutto sui libri VI e VII, dai quali emerge chiaramente che l’economico, l’utile, il politico, l’arte, la cultura, e le opinioni sono tutti subordinati alla filosofia, che delimita i loro campi e li guida. La stessa filosofia non è però autonoma, non è un’attività contemplativa fine a se stessa, ma permea la politica fondendosi con essa, trovando anzi in essa il suo terreno di estrinsecazione principale e preferibile: la politica rappresenta, cioè, lo spazio in cui l’ideale conosciuto e padroneggiato dalla filosofia viene calato nel particolare, il quale viene, così, indirizzato verso la disposizione migliore. Il filosofo è costantemente ritratto come un governatore o un re, ma esso è tale soltanto all’interno della città perfetta: Platone non illustra il modo esatto tramite cui mettere in moto la kallípolis, fondarla, darle origine; la città perfetta descritta da Platone è un «paradigma in cielo» nella misura in cui rappresenta uno sforzo a cui le realtà attuali devono tendere e uniformarsi. Ciò non equivale a dire che la Repubblica è solamente un’utopia: il dialogo costituisce una ‘scintilla’ per il pensiero, uno sprone a rendere pratica la filosofia, a confrontarsi con l’immediato e a tentare di armonizzarlo. Per questo motivo vi è un momento distruttivo della filosofia, l’eliminazione delle falsità e delle apparenze che permeano la vita di quelle città non rette da un governo filosofico, e un momento costruttivo, appunto la delineazione della costituzione migliore. Da qui la necessità di legittimare il governo dei filosofi attraverso la descrizione del contenuto della loro conoscenza, che offre le basi fondamentali per gestire il potere: questo sapere votato alla prassi non ha un contenuto meramente tecnico, è invece una metafisica e un’ontologia. Le celebri immagini della linea e della caverna ribadiscono la natura gnoseologico-ontologica della filosofia e il suo lato pratico-politico: da entrambe si evince come il filosofo sia destinato alla città e viceversa; senza l’intervento dei filosofi, né questi individui straordinari né gli altri cittadini potranno mai raggiungere la piena felicità; tutti saranno invece vittime dell’ingiustizia e del volere dei più forti.
Nel quinto capitolo, Galli indaga la figura dei politici quando essa è a-filosofica, ossia quando l’attività politica non è ricondotta nella dimensione della filosofia: è il caso delle città del presente di Platone e delle molteplici forme di governo che possono essere riscontrate in esse. Nel libro VIII della Repubblica Platone illustra le vicende che interessano la fine della città perfetta, e che aprono alla nascita di altri tipi di costituzione: non per ricostruire un effettivo processo storico, ma per indicare un metro tramite il quale giudicare quanto una città sia lontana dal paradigma in cielo. È così che timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide rappresentano diversi esempi di città in cui i politici non sono filosofi e, quindi, diversi modi di esperire ingiustizia e infelicità. In un certo senso, tutte queste forme di governo rispecchiano le parole e le convinzioni di Trasimaco, contro la cui sfida l’intera Repubblica è diretta: in queste costituzioni, la giustizia coincide con l’utile del più forte, con la base politica al comando, che agisce semplicemente per il proprio tornaconto priva di quella guida fondamentale, il sapere filosofico, che indirizza se stessi e gli altri cittadini sempre verso il meglio, il giusto, la felicità. Per tale motivo, il tiranno e la tirannide vengono presentati da Platone come una sorta di male assoluto: si tratta del modello di vita e di costituzione più lontano dal genere di vita tipico del filosofo e dalla costituzione della kallípolis; la figura del filosofo-politico o, meglio, del filosofo-re emerge allora in tutta la sua bontà ed efficienza, caratteristiche che si ripercuotono tanto su se stesso quanto sull’intera città. Nonostante l’aspra svalutazione, è nel tiranno che Platone intravede una ‘scorciatoia’ per dare origine alla kallípolis, nel caso in cui il tiranno sia convertito dal filosofo all’esercizio del sapere corretto e, dunque, del potere giusto. Ciò rappresenta sia un’eco al primo viaggio, fallimentare, di Platone alla corte del tiranno di Siracusa (dopo il quale venne redatta la Repubblica), sia un’apertura ai successivi viaggi, altrettanto fallimentari: in questo modo, la Repubblica finisce per ammantarsi, in un certo senso, di toni tragici.
Chiudono il volume le parole stesse di Platone contenute nei libri VII (514a-517a) e VIII (543a-569c) della Repubblica, volte, rispettivamente, a delineare il celebre paragone della caverna e la degenerazione delle costituzioni a partire dalla fine della kallípolis. Si tratta di due tra i momenti di riflessione più importanti per la Repubblica di Platone secondo Galli: da una parte, la descrizione della natura dei filosofi e la loro missione, contemplativa e attiva allo stesso tempo; dall’altra parte, lo iato che sussiste tra la filosofia-politica di Platone e la politica a-filosofica – e per questo profondamente ingiusta – delle città del suo presente, scissione che trova la sua più spietata espressione nella parole di Trasimaco.
La lucida analisi di Galli restituisce dunque una Repubblica la cui dimensione è fortemente problematica e in parte aporetica: nel pieno spirito di Platone, si tratta di un dialogo aperto, che suscita interrogativi tuttora non risolti, che mostra come la posizione di Trasimaco sia lungi dall’essere sconfitta, e che proprio per questo invita alla lotta continua contro l’ingiustizia politica e l’individualismo del (suo, ma anche nostro) presente attraverso la ricomposizione tra filosofia e politica, tra sapere e potere, tra universale e particolare, in vista del benessere collettivo.