Cercare di comprendere l’inquieta luce che il pensiero di Nietzsche è per tutti noi implica la forza metodologica di applicare anche a lui l’energia decostruttiva con la quale questo filosofo legge il mondo e ogni sua manifestazione. E dunque «prendere posizione con Nietzsche contro Nietzsche» (p. 22). Posta tale condizione, sarà possibile intendere «la costellazione Nietzsche» come «compimento zarathustriano del pessimismo della forza prospettico» (p. 133), che ritorna all’originaria matrice del pessimismo romantico dal quale era partito dopo aver però attraversato con lucidità la finitudine umana e averne inteso l’inoltrepassabilità. Dal Dioniso greco al Dioniso zarathustriano attraverso una decostruzione dell’umano – e del vivente in genere – che ne mostra il limite costitutivo sia ontologico sia gnoseologico. La parola nietzscheana per questo limite è «prospettivismo».
Ed è infatti su tale concetto che si incentra la rigorosa lettura che Eugenio Mazzarella condusse nel 1983 della costellazione nietzscheana, oggi riproposta nella elegante veste delle edizioni Carocci.
Nietzsche parte dalla «vita», Nietzsche è (vuole essere) un apologeta della vita, ora «intesa come vita originaria che sta dietro tutti i fenomeni, ora come concetto biologico, come vita del vivente organico e, nella sua espressione più alta, come vita dell’uomo. […] Ora una metafisica della vita, dove l’arte e un pensiero misticamente orientato ne rappresentano l’organo conoscitivo, ora una riflessione sulle condizioni di possibilità della vita vivente come vita individua, e massimamente della vita umana» (p. 20).
Vita/storia/memoria poiché una delle condizioni del vivente è il gioco incessante di memoria e di oblio. Per vivere è infatti necessario ricordare, per vivere è necessario anche dimenticare. Il gioco di ricordo e oblio è parte della più ampia struttura e condizione che Mazzarella chiama «trofismo storia/vita» (p. 40), il fisiologico equilibrio tra lo stare al mondo e il pensiero dello stare al mondo, del quale è condizione, forma, espressione ed esito la piena consapevolezza della finitudine, del fatto che il vivente che c’è ora è il vivente che non c’era ed è il vivente che è destinato a non essere più. Il prospettivismo nietzscheano è per Mazzarella questa ontologia della vita «come ontologia della finitezza» (p. 62) che supera la struttura dionisiaca della Nascita della tragedia ma che in essa ricade nello Zarathustra, poema che rappresenta il coerente e insieme duplice esito dell’itinerario di Nietzsche, nel senso che ne «ripropone l’originaria polarità tra ottica della vita finita, individuata e individuale, e metafisica della vita universale», una posizione alla quale lo Zarathustra perviene «al di là delle sue stesse intenzioni, perché proprio nel luogo del massimo inasprimento nietzscheano del problema della finitezza Nietzsche non si tiene a questo, ma nell’istanza di ‘superarlo’ sostanzialmente arretra davanti ad esso» (p. 95).
E invece il trofismo storia/vita è, diventa, permane come prospettivismo della finitezza in due opere che questa lettura di Mazzarella pone giustamente in profonda reciproca relazione: la II Inattuale e il breve e fondante testo Su verità e menzogna in senso extramorale. Nell’Inattuale sull’utilità e il danno della storia per la vita si fa chiaro «il ‘congedo’ di Nietzsche da un’ontologia della vita centrata sul bisogno metafisico di un’immersione mistico-speculativa nella vita universale e l’affermarsi di un concetto della vita già sostanzialmente strutturato come prospettivisimo storico-genealogico» (p. 32); il tagliente testo su verità e menzogna «è il congedo non solo da ogni filosofia della storia teleologicamente orientata […] ma anche a veder bene la denuncia della teleologia insita nella visione tragica del mondo. […] Ora invece ‘non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana’: come ogni vita vivente, la vita storica, cioè consapevole, non ha altro che da vivere nella sua ‘forma’, cioè come raggiunta ‘individualità’ di un quantum di vita» (p. 45), fuoriuscito dal nulla degli eoni e destinato a tornare per sempre nel nulla della materia infinita.
È in questo snodo, insieme limpido e complesso, che Mazzarella individua le ragioni che inducono Heidegger a porre Nietzsche «al culmine della metafisica moderna della soggettività», ragioni che stanno proprio nell’arretramento compiuto da Nietzsche «davanti al suo stesso concetto ontologico della vita nel culmine del prospettivismo e nella superfetazione della volontà prospettica in volontà autoponentesi, autofondantesi» (p. 129, n. 52).
In realtà ciò che Mazzarella nel suo libro dedicato a Tecnica e metafisica (Carocci, Roma 2021, p. 322) definisce «l’attivo dolore di esistere» come vero e universale mestiere dell’umano, credo abbia accompagnato l’intero cammino nietzscheano, che partito dalla consapevolezza di tonalità leopardiana della nullità di tutte le cose ha cercato di riscattarla in una attiva – proprio nel senso di prassica – forma dell’esistere, della quale le diverse risposte che Nietzsche elabora lungo il suo percorso sono espressioni e tappe, diverse sì ma convergenti. Il gioco di identità e differenza, il «trofismo vitale tra identità e divenire» (p. 81), è anche gioco tra il dolore di essere venuti al mondo e l’energia con la quale il mondo va affrontato, una volta che l’esistere si è dato.
Non a caso, ma in piena coerenza, la prima delle tre Appendici che chiudono il libro di Eugenio Mazzarella è dedicata a Löwith e alla consapevolezza greca della tragicità del mondo che non inficia anzi implica la piena assunzione della finitudine costitutiva della zoé e dell’umano in essa; implica, accoglie e sancisce «la sacertà, [che] vede in ogni caso lo spazio umano come spazio del ‘mortale’» (p. 153).
Aver percorso per intero, sino in fondo e con coraggio questo spazio del Cielo e dell’Ade è parte, appunto, dell’inquieta luce che il pensiero nietzscheano rappresenta per tutti noi e che questo libro continua a indicare con il rigore che Nietzsche sempre merita.