martedì , 16 luglio 2024
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153. Recensione a: Edith Stein, Lettere III: Lettere a Roman Ingarden (1917-1938), a cura di A. Ales Bello e M. Paolinelli, Città Nuova, Roma 2022, pp. 426. (Teresa Schillaci)

Il volume raccoglie le lettere personali inviate da Edith Stein a Roman Ingarden tra il 1917 e il 1938, ripercorrendo gran parte del periodo di attività scientifica della fenomenologa, inclusi il lavoro dottorale sull’empatia e il progressivo interessamento pedagogico, antropologico e morale.
La traduzione della raccolta, già pubblicata in tedesco e confluita nella Edith Stein Gesamtausgabe, come Band 4: Selbstbildnis in Briefen III. Briefe an Roman Ingarden per l’editore Herder, costituisce da un lato l’occasione di una nuova esplorazione del pensiero di Edith Stein per il pubblico di lettori italiani, e dall’altro un passo ulteriore nella traduzione dell’opera completa della filosofa, del cui progetto, diretto da Angela Ales Bello e Marco Paolinelli, il volume fa parte.
Il carteggio, di cui purtroppo non è reperibile la componente delle lettere scritte da Ingarden, con l’unica eccezione della lettera 126 bis (pp. 271-275), informa non solo del forte rapporto di amicizia e stima reciproca tra i due studiosi, ma anche della stretta rete di relazioni all’interno del panorama fenomenologico. Quest’ultimo, caratterizzato da eterogeneità di prospettive e di intrecci dialettici, sembra suggerire l’idea di Emilio Baccarini che «la fenomenologia [sia] una filosofia della prospettiva più che una prospettiva filosofica». E ciò sembra indubbiamente confermato se per fenomenologia intendiamo non solo le ricerche di Husserl, ma anche quelle degli allievi più direttamente coinvolti come Alexander Pfänder, Roman Ingarden, Theodor Conrad, Hedwig Conrad-Martius, innervate da un’ambizione sempre descrittiva per il fenomeno. Come si legge nella lettera 5, Stein, citando Husserl, considera sempre l’esperienza come il principio di tutti i principi, inteso come cominciamento assoluto di ogni interrogazione filosofica (p. 16). È difficile dunque intendere quella fenomenologica come una scuola, ma piuttosto come una prospettiva variamente coniugata. D’altronde, all’interno della costellazione fenomenologica lo scambio di prospettive è centrale non solo a livello di rapporti personali, ma anche in termini di progresso scientifico. Basti pensare allo stretto legame tra Edith Stein e Hedwig Conrad-Martius, molto spesso citata nelle lettere, alla continua attività di revisione, svolta da Stein a beneficio di Ingarden, anche di opere che avrebbero avuto molta eco, come ad esempio L’opera d’arte letteraria. Oppure ancora alle varie occasioni di confronto dialettico dovute a divergenze filosofiche, come nel caso della via di una fondazione positiva della metafisica che emerge nella lettera 102 (pp. 225-227), e di cui Ingarden non comprende la scaturigine. Questo argomento peraltro è oggetto di riflessione e approfondimento nella postfazione che accompagna la raccolta di lettere e conclude il volume. In Sete di ‘metafisica’ nel carteggio Edith Stein – Roman Ingarden, Marco Paolinelli analizza l’interesse per la metafisica da parte della filosofa, evidenziando come non si tratti di un’urgenza insorta unicamente con la lettura di Tommaso d’Aquino, ma già delineata nei circoli fenomenologici in relazione alla questione dell’idealismo trascendentale husserliano. Inoltre, la sete di metafisica si configura come sete di comprensione della persona e della storia, assumendo un’accezione dunque antropologica e morale (p. 358).
L’epistolario rende evidente una scrittura schietta e diretta, che corre parallela alla convinzione steiniana di una ricerca filosofica sempre intrapresa dialetticamente, nello sforzo congiunto, teso prima di tutto alla descrizione del fenomeno, e conseguentemente, all’ancoraggio teoretico, morale e pedagogico alla Verità. Emerge inoltre, sia nei confronti di Ingarden, sia nei confronti dell’ambiente universitario di Gottinga e Friburgo una netta inclinazione pedagogica. Quest’ultima si ravvisa almeno in due elementi: la cura nella conoscenza dell’opera di Ingarden, della quale a Stein è sempre riservata la revisione, e la coltivazione dell’interesse fenomenologico anche didattico degli allievi di Husserl a cui si riferisce ironicamente come «asilo filosofico» (p. 20). La linea pedagogica, d’altronde, prosegue nell’itinerario di Edith Stein e confluisce nell’interesse antropologico e morale per la persona.
Il testo traduce per la prima volta in italiano materiale fondamentale per la ricostruzione biografica di Edith Stein, come considerazioni politiche e personali (pp. 9, 10, 11, 16, 17), e manifesta il cambiamento di interesse filosofico nel corso della conversione (pp. 164-167, 212-213) e infine con l’ingresso al Carmelo (pp. 333-334). La vera novità, tuttavia, riguarda i rapporti tra gli allievi di Husserl. Stein sembra rappresentare un punto di riferimento di più persone legate professionalmente a Husserl, anche in virtù della sua attività di assistente, intrapresa fino al 1917. In riferimento a questo ruolo, in effetti, dal carteggio emerge una certa fiducia – se non dipendenza – dell’attività di ricerca di Husserl nei confronti degli studi di Stein, come emerge per esempio nella lettera 17: «[…] l’attività di assistente mi occupa talmente tanto che è difficile pensare a un lavoro diverso, intenso e tranquillo – d’altra parte non posso pensare di rinunciarvi in un prossimo futuro perché sono sicura che il Maestro da solo non sarebbe in grado di pubblicare più nulla e io considero la pubblicazione delle sue opere più importante di qualsiasi prodotto io possa eventualmente mettere al mondo» (p. 41).
A ciò si aggiunga una forma di continua mediazione tra Ingarden e Husserl, operata da Stein. L’aspetto fondamentale per comprendere i rapporti tra gli allievi e il maestro è proprio l’idealismo trascendentale, sul quale Ingarden assume una posizione avversa al maestro. A questo proposito, Stein condivide in parte la critica all’idealismo, ma, anche in virtù della stretta vicinanza con Husserl, sembra particolarmente consapevole che l’intenzione di Husserl sia quella di ancorare la conoscenza al soggetto, senza assolutizzarlo, procedendo oltre l’idealismo trascendentale kantiano (pp. 25-28). Come sostiene Raffaella Pozzi, la posizione di Stein nei confronti dell’idealismo muta. Si individua un’istanza di fondazione della conoscenza, che conduce a quella sete di metafisica richiamata da Marco Paolinelli nella postfazione. In relazione all’idealismo Stein parla effettivamente di conversione: «io stessa mi sono convertita all’idealismo e credo lo si possa comprendere in modo tale da essere soddisfacente anche sotto il profilo metafisico. Però, mi sembra che molto di ciò che si trova nelle Idee, debba essere concepito in modo diverso e precisamente nel significato di Husserl, se egli soltanto considera insieme tutto ciò che ha e nel momento decisivo non trascura ciò che appartiene in modo necessario alla cosa (Sache)» (p. 86). E tuttavia, dal carteggio con Ingarden si spiega la svolta idealistica husserliana – intesa dal fenomenologo come necessaria prosecuzione della sua linea teorica e non discontinua interruzione del metodo delle ricerche. Stein offre un’interessante interpretazione delle Wendungen delle Idee, sostenendo che l’idealismo trascendentale si sviluppi al livello del problema della costituzione, e abbia a che fare più con una scelta che non con un’inevitabile conclusione argomentativa.
Da qui, la via steiniana si lascia interrogare dal mutamento di prospettiva del maestro e trova nelle letture cristiane, e in particolar modo in Tommaso d’Aquino, il fondamento per l’edificazione di una nuova antropologia filosofica e la via di una visione credente dell’esperienza fenomenologica (lettera 53, pp. 110-114).
La prospettiva di una soluzione steiniana al problema della costituzione rappresenta una delle linee di ricerca che il volume apre, e non a caso la postfazione indugia esattamente su questo aspetto. Non sorprende che l’epistolario tra Ingarden e Stein offra un’occasione di approfondimento proprio in relazione a quel terreno di attrito fenomenologico rappresentato dalla spinosa questione dell’idealismo, e della separazione tra Husserl e i suoi allievi. La “sete di metafisica” si riverbera con particolare rilievo nella lettera 78, che Stein scrive in occasione degli auguri di compleanno da parte dell’amico (pp. 169-171). Qui annuncia l’ingresso nella Chiesa cattolica, decisione mai compresa pienamente da Ingarden. A livello di ricerca filosofica, la conversione influenza decisamente lo studio, vista la naturale continuità sempre sostenuta da Stein tra filosofia e vicende personali. Scrive a Ingarden: «i miei lavori sono sempre e soltanto il frutto di ciò che mi ha occupato nella vita, perché sono fatta così: devo riflettere», intendendo che la svolta personale rappresenti anche un rinnovamento in termini di ricerca filosofica. Questo momento della vita di Stein è segnato anche dalla difficoltà di aver condiviso la scelta della conversione e dell’ingresso al Carmelo con la madre, ebrea, molto addolorata dalla notizia. D’altra parte, però, la consapevolezza di una fede salda consente a Stein di riflettere sul periodo di ricerca a Friburgo come un momento di grande stimolo filosofico e parimenti di «desolante situazione interiore» (p. 213).
Altra linea di ricerca che il volume consente di aprire riguarda più direttamente il rapporto tra Ingarden e Stein. Una così intensa attività epistolare lascia intendere uno stretto legame di amicizia, rafforzato anche da un confronto dialettico sul campo della fenomenologia. Pressoché tutti i lavori di Ingarden sono stati letti da Stein, ed è presumibile anche l’inverso. Dall’estrema fiducia e stima che si evince dalla raccolta, è possibile avanzare l’ipotesi di un’influenza del lavoro di Stein su quello di Ingarden, non solo su questioni di ontologia e metafisica, ma anche su questioni estetiche. L’opera d’arte letteraria, la più conosciuta e riuscita opera di Ingarden, è oggetto d’indagine da parte di Stein nella lettera 134, dove la fenomenologa commenta puntualmente dei passi, fornendo pareri linguistici e filosofici, e suggerendo anche una modifica al titolo (pp. 287-289). La traccia di un influsso steiniano su Ingarden potrebbe trovare una conferma nel progressivo interessamento del filosofo polacco per il momento della fruizione dell’opera, dal punto di vista dell’emozione estetica. La comprensione ingardeniana dell’opera d’arte in fondo rientra in una struttura relazionale dell’esperienza, affine a quella che emerge nel Problema dell’empatia di Stein. Ciò non deve dare luogo necessariamente a un giudizio di continuità tra le due ricerche, senz’altro affrettato, ma a un’affinità di vedute da un punto di vista epistemologico, nell’ambito della quale si può parlare di influssi steiniani su Ingarden.
In conclusione, la traduzione italiana della raccolta di lettere presenta utili spunti di riflessione non solo per la ricostruzione biografica di Stein e Ingarden, ma anche per una ricognizione sull’intero movimento fenomenologico, di cui si può apprezzare l’eterogeneità e la complessità. Il lavoro, anche per il ricchissimo apparato di note e per la prefazione e la postfazione estremamente puntuali, si presenta molto accessibile, ed è sicuramente un utile strumento di ricerca per la riconduzione della fenomenologia di Edith Stein entro il suo originale luogo di ispirazione, ma oltre la fenomenologia husserliana.

(26 luglio 2023)

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