In questo libro, uscito per Mimesis nel 2022, Eugenio Mazzarella si ritrova a indicare ancora una volta una via d’uscita contro la smoralizzazione e la smaterializzazione del mondo, ai quali si assiste con sempre troppa enfasi e troppa poca ragione, compiuta per opera delle crescenti possibilità e affabulatorie promesse offerte dall’AI (Artificial Intelligence) e dalle ICT (Information and Communication Technologies). Il lavoro pacato di Mazzarella prende le mosse dall’ennesima – difficile, anche se auspicabile, dire l’ultima – accattivante e funesta idea di Zuckerberg, Metaverso, e si impegna in una analisi generosa, perché sincera, sul mondo che si prepara a venire ma che è percorribile sin da adesso e il cui carattere identificativo consiste nella transitività. La transitività con cui è possibile accedere al mondo virtuale a partire dalla realtà vera e con cui il virtuale riesce a implementarsi nel reale accrescendo in questo modo le sue potenzialità e plasmando dunque una “realtà aumentata” nella quale l’umano può trovare conforto rispetto alla precarietà esistenziale che caratterizza il suo stare al mondo.
Il sottotitolo del libro recita: Salvare la presenza. Esso potrebbe essere anteposto al titolo e utilizzato come tale poiché la vera sfida del libro non è indicare al lettore luci e ombre del digitale, potenzialità e limiti dell’infosfera, bensì mostrare lo «“shock antropologico”, sospinto da tecnica e globalizzazione» (p. 7), non soltanto il guadagno del nuovo mondo ma anche la perdita del vecchio. Questa analitica del presente è svolta con la consueta disposizione filosofica che rende il lavoro di Mazzarella una riflessione antropologica fuori dalle corde fredde dei saperi informatici e ingegneristici, distante dalle millantate promesse e dalle sovraterrene speranze, fedele alla terra e all’umano che fin qui l’ha abitata. E quest’umano è un’entità difettiva e finita che ha tentato di compensare la propria precarietà con l’artificio della cultura che si iscrive pienamente nella naturalità dell’umano stesso, così da far dire a Mazzarella, in un altro suo libro in cui in gioco è l’interrogativo su quale sia l’etica per la bio-etica, che la nostra natura consiste nella nostra innaturalità.
Benché l’artificio sia dunque una disposizione umana, la direzione del digitale è tuttavia diventata un’altra e assai più ambiziosa rispetto a quelle alle quali siamo abituati. La tecnica «socialmente operabil[e] da noi, tenut[a] alla nostra consapevolezza e ai nostri fini» (p. 96) assiste infatti l’umano nella sua caducità ma non contrasta il suo spegnimento e «la cera del biologico che l’alimenta» (p. 29), lo sostiene ed entro la quale soltanto è possibile.
Il digitale delle AI e delle ICT desidera raggiungere una cima assai più alta: superare la difettività costitutiva dell’umano, tenere la fiamma sempre accesa o, se non è possibile, spostare questa fiamma su un supporto diverso e macchinico. Nel fare questo, tuttavia, si prepara uno scenario assai più incerto poiché nell’oltrepassare tale difettività si rischia di trascendere anche l’umano nella sua specificità ontica e quindi biologica. «La presenzialità dell’esserci, il suo essere, e i modi del suo essere, venivano da sé, dalla sua natura “data”, dal modo in cui questa ci-era, si dava a sé stessa, non dà sé stessa, un non custodito nell’intangibilità della sua biologia e della base organica della sua bio-psico-socialità; custodito dai vincoli per così dire zoologici della sua evolutività culturale specifica»; questi vincoli sono oggi messi in discussione «perché la natura è sempre più “posta”, determinata dall’artificio» (p. 109).
Con la stessa semplicità con cui tale mondo si mostra all’occhio attento del filosofo, Mazzarella mostra come dietro l’artificio digitale e la fascinazione che riesce a ottenere si nasconda e si rinnovi l’«antica guerra dello spirito» che spinge l’umano a volere trascendere se stesso, «la sua ambizione all’eterno, alla sua sempiternità modellata sulla presenza a sé della coscienza […] contro la materia biologica corruttibile di cui deve subire l’accompagnamento esistenziale» (pp. 27-28). A questa guerra si aggiunge il tentativo di fuga dalla mondanità, l’apertura verso esperienze inedite e aumentate, la ricerca di nuovi spazi vitali nei quali trovare un senso, un impegno che distragga dalle difficoltà esistenziali ben note a ciascuna vita individuata e chiusa nel limite fatto di carne che è il corpo. Questo corpo che è wetware del quale bisogna liberarsi e dal quale tuttavia transitano i baci, le carezze, gli abbracci, la ritensione delle esperienze passate e la loro elaborazione nello spazio della memoria. Il morire che anche nell’orizzonte ri-ontologizzato della tecnica rimane «il vero argine all’umano non “telematico”, il pegno di corpo vivo di spirito che siamo» (p. 67); l’invalicabile limite nell’accettazione del quale l’umano continuerà, come scrive l’autore, «a prescrivere a se stesso di essere uomo, di diventarlo e di restarlo» (E. Mazzarella, Sacralità e vita. Quale etica per la bioetica?, Guida, Napoli 1998, p. 9).
Nel rivolgersi alla tendenza che in questo libro Mazzarella chiama tecno-gnostica, ma che si potrebbe altresì definire di “abbuiamento gnostico” con riferimento a un’espressione che l’autore rivolge rispetto a un altro terreno filosofico di indagine – mi riferisco a Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri (Neri Pozza, Vicenza 2018) –, il filosofo parla di spaesamento e di sradicamento. Due termini con i quali Heidegger ha voluto indicare lo spaesamento dall’essere e lo sradicamento dal fondamento che per l’umano è un fondamento anche biologico: «il bio-etico, il nostro radicamento organico-vitale, come dimensione di emergenza del noetico; radicamento da cui questo non può mai spogliarsi, anche se vuole “eternarsi” – sempre che non voglia diventare altra cosa da quello che sa da sempre di essere, cioè “mortale”. Una condizione, la mortalità, da cui il nostro esserci reale non può mai redimersi» (p. 32).
Lo spaesamento, lo sradicamento, la smaterializzazione è il luogo in cui l’onlife si afferma e l’off-life si dissipa. È noto il paradiso terrestre che il futuro onlife ha in serbo per noi. Siamo però assai meno consapevoli del contrappasso previsto per l’umano che in questo mondo vuole rimanere. In gioco c’è «il modo in cui l’esserci umano ci-è a sé stesso, agli altri e al mondo, e cioè vincolato alla realtà come presenza di sé e delle cose» (pp. 109-110). La ri-ontologizzazione del reale che è in corso non incide soltanto sull’intorno mediante il quale il Sé si costruisce e ambisce a vivere in modo più appagante ma modifica prima di tutto lo stesso Sé nella sua essenza che anziché mantenere la propria centratura diventa protesi di una realtà che non gli appartiene più, dalla quale sarà agito senza tuttavia deliberare la propria azione nell’orizzonte di possibilità finite che la sua natura gli consente. L’esito di tutto questo, è il caso di dirlo, non è il trionfo della nostra specie ma la sua estinzione dalle ceneri della quale nascerà una nuova specie senza più carne, senza più l’interiorità, senza più vita incarnata, vissuta, scolpita di ricordi e incisa dalle ferite che l’esistere stesso, consumandosi, provoca e in cui consiste, nonostante tutto, la natura più propria del nostro esserci.
Oltre ogni Iperuranio virtuale nei cieli dell’infosfera, l’auriga deve dirigere la biga verso il mondo sensibile. A indicare la strada sarà quel cavallo nero a cui si attribuisce ciò che Mazzarella chiama l’anima bassa sensitiva e volitiva. «La nostra umanità relazionale sarà salvata dall’incomprimibilità espressiva dei corpi, dell’anima bassa. È il miracolo della vita, della nostra vita, che così – quando sogna di essere salvata tutta e fino in fondo – ha sempre sognato di essere salvata: come cioè è, e si scopre in presenza di sé stessa come viva coscienza presente a sé nella sua carne, vivente spirito incarnato» (p. 66). Non si tratta di rimanere nella caverna delle ombre e di non voltarsi verso le idee, ma di accettare gli spazi angusti e limitati di questa esistenza; di imparare ad abitare il tempo nel suo accadere unidirezionale e nel suo durare finito; di ritornare alla materia calda e corruttibile di cui sono fatti i corpi. Di farsene carico nell’enigma del nostro stare. Mazzarella chiude – o quasi – con la musicalità delle parole di Rilke per un battesimo della presenza che lasci accesa la candela del tempo che siamo nel suo fare luce, illuminare e infine spegnersi.
(14 giugno 2024)