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30. Recensione a: Igor Pelgreffi, La scrittura dell’autos. Derrida e l’autobiografia, Galaad, Giulianova, 2015, pp. 490. (Francesco Ferrari)

lascritturadellautos-325x487Lo studio di Igor Pelgreffi, dottore di ricerca in filosofia che collabora attualmente con le università di Verona e di Bologna, affronta un nodo cruciale per la decostruzione: quello tra Derrida e l’autobiografia, ovvero il tema dell’autobiografia nel pensiero del filosofo franco-algerino. Lo fa attraverso un corposo volume, rielaborazione della sua tesi di dottorato, che si articola in sei capitoli, discontinui nell’ampiezza, ma strettamente concatenati nei contenuti: l’autobiografia come problema (pp. 11-54); autobiografia: concetto (pp. 55-158); autobiografia: scrittura (pp. 159-324); tra concetto e scrittura: l’autos (pp. 325-348); animale autobiografico (pp. 349-376); la scrittura dell’autos (pp. 377-479).
Mettere in questione Derrida e la scrittura dell’autos significa per Pelgreffi interrogarsi su almeno due piani, disgiunti solo apparentemente. Il primo è quello della riflessione derridiana sull’autobiografico, ovvero sul nesso autosbios-scrittura alla luce della decostruzione. Un autos tutt’altro che trasparente a se medesimo, un bios che chiede d’essere attinto al di là della differenza umano/animale, un graphein che è segno, e quindi traccia, cosa del pensiero derridiana se ve n’è una, sono vagliati con infaticabile solerzia dall’autore. Questo, non senza fecondi riferimenti a fonti, interlocutori e interpreti di Derrida, da Nietzsche ad Artaud, attraverso Merleau-Ponty e Nancy, per arrivare a Sloterdijk e Žižek. Il secondo piano della problematica è invece quello di una scrittura, quella del filosofo franco-algerino, che si svolge in modo crescente come pratica autobiografica, segnato da una cura nietzschiana per il Persönliches, come numerosi testi mostrano, da Glas (1974) a Circonfessione (1991), fino agli ultimissimi scritti del pensatore, tra cui Come non tremare? (2004). Derrida, che mai scrisse un’autobiografia in senso stretto (leggendo la monografia si comprende anche il perché) ha contemporaneamente al suo attivo, nondimeno, una vasta messe di testi autobiografici, tracce di un autobiografismo parcellizzato, disseminato e multiforme che si sviluppa attraverso narrazioni talora minime, veri e propri autobiografemi inseriti in suoi testi che assumono così un insospettato clinamen autobiografico.
Porre Derrida e la scrittura dell’autos all’attenzione di una monografia è dunque impresa non scevra di paradossi, particolarmente insidiosa, se consideriamo come l’operare della decostruzione avvenga scardinando la compattezza e la supposta autotrasparenza di ogni modello identitario di soggetto. Le epistemi, gli autori, i nessi problematici in gioco sono qui molteplici e complessi. Pelgreffi si dimostra all’altezza del compito, e affronta in maniera radicale la spinosa questione di come sia possibile la scrittura del soggetto alla luce della decostruzione (evento che, in quanto tale, si produce al di là di un soggetto deliberante). Egli non ignora come l’autos deputato alla scrittura dell’autobiografia sia infatti parte in causa del processo della decostruzione: “il soggetto-decostruente risulta preso nel campo magnetico decostruttivo. In questo modo, il soggetto diviene soggetto-decostruito” (p. 48). In questo senso, l’autore può proficuamente insistere su come l’autobiografia sia già e sempre “l’autobiografia dell’altro”, ovvero auto-etero-grafia, scrittura dell’altro-in-me, nella différance non solo temporale che sussiste tra chi-vive e chi-firma. Con la presente monografia, infine, Igor Pelgreffi ci rammenta come la decostruzione non debba essere confusa con una frettolosa cancellazione del soggetto, bensì sia occasione di ripensare e dislocare il soggetto medesimo, attuando una lisi delle sue pretese egemoniche e di sovranità da un lato, riconsiderandolo nel suo essere “corpo” e “segreto”, dall’altro.

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