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53. Recensione a: Fulvio Papi, L’educazione imperfetta. Considerazioni filosofiche sul presente pedagogico, Ibis, Como-Pavia 2016, pp. 142. (Gianmarco Pinciroli)

Fulvio Papi raccoglie in questo volume un certo numero di scritti che intendono delineare – sviluppando a tale scopo, come recita il sottotitolo, “considerazioni filosofiche” – alcuni tratti pertinenti del presente pedagogico. La gran parte di essi è stata pubblicata sul periodico torinese Paideutika. Quaderni di formazione e cultura tra il 2007 e il 2015; inoltre, sono stati aggiunti alcuni inediti scritti appositamente per quest’edizione. Papi non è nuovo a questo tema: si ricordi infatti al riguardo Educazione (ISEDI, 1978; riproposto nel 2002 col titolo Sull’educazione, Ghibli) e, a sottolineare il costante interesse del suo pensiero per i problemi della scuola, vanno segnalate, in quanto pensate espressamente per l’insegnamento nei licei, le curatele e i propri contributi per i tipi di Zanichelli: il terzo volume del manuale Filosofie e società (1975) e, in vista di un aggiornamento degli insegnanti di filosofia, Introduzione alle scienze umane (1979) e Filosofia contemporanea (1981).
Il titolo del libro – come commenta sinteticamente Madrussan, la curatrice della raccolta – intende sottolineare il fatto che “[…] l’educazione è imperfetta in molti sensi: perché necessariamente incompiuta, perché empiricamente potenziale, perché intimamente inespressa”. Da qui, da questo sofferto e consapevole senso del limite, l’autore trova lo spunto per esercitare l’attenzione critica, al tempo stesso partecipe e disincantata, verso l’oggetto su cui intende riflettere. Papi delinea prima di tutto lo sfondo storico generale che supporta lo stato attuale del presente pedagogico, e lo fa portando in primo piano, anzitutto, il quadro complessivo del divenire sociale politico ed economico riguardante l’oggi e l’immediato ieri, in modo che, grazie ad esso, risultino coerenti e comprensibili le ricadute del contesto sul piano specifico della pratica formativa, sui modi della formazione dei giovani per come sembrano profilarsi oggi (cfr. soprattutto “Andiamo incontro al tempo come lui viene incontro a noi”, pp. 15-30 e tutto il capitolo III pp. 87-120).
Se dunque sul piano più generale vengono individuati come protagonisti concettuali negativi il neoliberismo sfrenato di questi ultimi decenni, e la forma radicalizzata che ha assunto il conseguente individualismo nella percezione del proprio esserci da parte dei singoli componenti delle collettività occidentali – individualismo, va chiarito, nutrito di sovradeterminazione tecnologica (informatica [sull’inarrestabile informatizzazione del lavoro umano cfr. “Dall’emancipazione alla competizione” pp. 105-114], internet, ‘società dello spettacolo’ di débordiana memoria ecc.) –, sul piano più propriamente legato alla formazione della gioventù si deve riconoscere – afferma Papi – un progressivo, forse irreversibile scollamento della funzione e del senso sociale della scuola, in quanto “educazione istituzionale” responsabile in prima istanza, secondo tradizione, della formazione giovanile e degli strumenti adeguati che dovrebbero consentire il passaggio all’adultità. La scuola, infatti, appare sempre più obsoleta agli occhi delle nuove generazioni (e non solo di esse), essendo considerata non al passo con le straordinarie metamorfosi degli strumenti e dei modi della comunicazione odierna e, di conseguenza, del tempo vissuto giovanile; l’autocoscienza (cfr. in particolare “Competenze e formazione della soggettività” pp. 63-69, ma il tema è presente un po’ ovunque nel testo, come una delle sue preoccupazioni primarie) e la percezione profonda del mondo, in cui le nuove generazioni si trovano a vivere, si formano altrove, all’esterno della scuola, e in una relazione ambivalente, se non contraddittoria, con l’ambiente familiare, un tempo vissuto dai giovani come tradizionalmente ostile al proprio autonomo sviluppo e ora invece paradossalmente interpretato come luogo di rifugio e di difesa proprio nei confronti della scuola stessa (cfr. nel capitolo II in particolare “I bambini e il consumo del mondo” pp. 72-74, e “Sintonia educativa e conoscenza” pp. 74-80).
L’autore, inoltre, sviluppa e articola il suo pensiero senza temere di muoversi nell’empiria del nostro presente formativo, anche talvolta necessariamente aneddotica (cfr. ad es. “Sui braccialetti dell’attenzione” pp. 69-71). D’altronde, la preoccupazione di Papi verso la complessità dei problemi mobilitati lo costringe a non formulare proposte per così dire alternative allo status quo, e a riservare invece la propria acribia critica all’analisi delle conseguenze di lungo periodo, cui danno adito certe situazioni relazionali considerate come ovvie dal senso comune (cfr. ad es. “Sulla responsabilità” pp. 51-54). Va quindi precisato che il corretto atteggiamento filosofico consiste, da ultimo, proprio nella sospensione di una fin troppo facile risoluzione (utopica?) di problemi che, di fatto, si presentano oggi connotati da una così inarrestabile metamorfosi fenomenica da rendere fatalmente necessario pedinarne con pazienza gli sviluppi, piuttosto che sorvolarli approdando così a gratificanti (perché più immediate, malgrado la loro sostanziale irrealizzabilità) risoluzioni astratte: il presente, per dirla forse in modo un po’ troppo semplice, è in continua trasformazione, anche a causa della mancanza di forti riferimenti teoretici interpretativi in coloro (i ‘politici’ di turno) che si fanno carico in sede decisionale delle cose riguardanti la scuola, cosicché quella che Papi chiama “educazione spontanea” (la formula, elaborata nel testo del ’72 da Papi, è utilizzata un po’ ovunque nel libro che stiamo esaminando: cfr. ad es. “Qualche considerazione in generale sulla precarizzazione del sapere” pp. 55-63) finisce per prevalere inesorabilmente sull’educazione istituzionale, demandata secondo tradizione – come si ricordava in precedenza – agli enti, come la scuola e la stessa famiglia, che anche oggi vorrebbero comunque farsene carico.
Il fallimento essenziale di un’educazione istituzionale non deve però consentire per forza – quasi fosse una sorta di risarcimento compensativo sul piano psicologico – la demonizzazione degli agenti formativi dell’“educazione spontanea” per così dire sostitutivi, come dimostra sempre più di essere, nella sua ‘naturale’, neutra ambivalenza (e per questo tanto più pericolosa e richiedente sorveglianza in sede pedagogica) la rete, il web, da intendersi almeno nelle sue articolazioni più diffuse che una scuola priva di pregiudizi metodologici potrebbe utilizzare. Secondo Papi, occorre essere oggi più che mai consapevoli della necessità – e non solo da parte dei giovani – d’interagire con la mobilità, apparentemente inafferrabile, della rete (scrive Papi: ”Non sottovaluterei affatto la dimensione comunicativa di Internet che […] è una straordinaria rete di relazioni inimmaginabili nel nostro circuito quotidiano” p. 45), e di rendere quindi le maglie dell’istituzione-scuola quanto più larghe possibile in modo da poterne risultare fecondamente coinvolta, e smontarne il potenziale negativo. In fin dei conti, il compito rimane sempre quello di aiutare le giovani generazioni a diventare adulte, senza sacrificare la “spontaneità” offerta dagli stimoli del mondo virtuale, ma anche, e soprattutto, senza lasciar cadere nell’insignificanza l’organizzazione di senso sociale egualitario che la scuola deve pur sempre essere in grado di rappresentare.

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