La questione della storicità riveste uno statuto al tempo stesso centrale e ambiguo nella storia della fenomenologia. La severa condanna dello storicismo in nome dell’ideale della filosofia come scienza rigorosa pronunciata da Husserl nel 1911, così come il carattere minaccioso del problema della storia per una fenomenologia che ambisce ad essere trascendentale ed eidetica, sembravano precludere ogni relazione costruttiva tra fenomenologia e storia. Tuttavia la questione della storia non poteva infine che imporsi a Husserl come un tema inaggirabile e questo per delle ragioni di principio intrinseche allo sviluppo della fenomenologia stessa: il suo approfondimento in una direzione genetica, il rifiuto di ogni “platonismo” del senso, il rinnovamento dei concetti di trascendentale e soggettività. Inoltre la questione della storicità ha giocato, come è noto, un ruolo significativo nel confronto ovvero nella rottura tra Husserl e Heidegger, dal momento che il secondo ha rimproverato al primo una sostanziale incomprensione di questo ambito e ha fatto della storicità (dell’esserci prima e dell’essere stesso in seguito) uno dei perni della sua meditazione.
A questo campo problematico – che è del resto un capitolo della più ampia vicenda dei rapporti tra problematica trascendentale e storia – è dedicato il ricco e stimolante volume di Dominique Pradelle Généalogie de la raison. Essai sur l’historicité du sujet transcendantal de Kant à Heidegger (PUF, Paris 2013). La questione è qui affrontata a partire da precise scelte tematiche e interpretative, che assicurano al volume la sua peculiarità e il suo interesse nel campo degli studi sul tema. Richiamiamo innanzitutto alcuni elementi di carattere generale che contraddistinguono il testo. In primo luogo, Généalogie de la raison si presenta come prosecuzione di Par-delà la révolution copernicienne. Sujet transcendantal et facultés chez Kant et Husserl (PUF, Paris 2012), ed entrambi i testi provengono dalla tesi di abilitazione dell’autore. Sebbene Généalogie de la raison sia al tempo stesso un testo autonomo, grazie anche a un’utile sintesi iniziale dei risultati essenziali dell’opera precedente, la connessione tra le due opere indica immediatamente che la questione della storicità è qui affrontata in un quadro più vasto e in particolare a partire dalla questione del soggetto. Le pagine dell’Avant-propos, proprio operando la transizione tra i due testi, delineano il quadro teorico e le questioni fondamentali che guideranno le analisi successive. Husserl opererebbe per Pradelle un profondo cambiamento dei concetti di soggettività e trascendentale rispetto a Kant e la sua posizione si caratterizzerebbe proprio per una “inversione del rovesciamento copernicano” (p. 23), che implica una “dottrina non-soggettivista della soggettività pura” e una “de-antropologizzazione della ragione e delle sue strutture” (p. 25): mentre in Kant gli oggetti si devono regolare sulle strutture apriori proprie del soggetto finito, in Husserl “le essenze degli oggetti forniscono i fili conduttori trascendentali che permettono di mettere in luce le strutture costituenti del soggetto” (p. 29). Le categorie non rimandano più alle facoltà a priori di un soggetto finito (marcate dalla fatticità del loro riferimento antropologico e fissate astoricamente una volta per tutte), ma sono degli apriori oggettuali che s’impongono a un soggetto radicalmente desostanzializzato e deantropologizzato e ne prescrivono le strutture correlative essenziali. Questa tesi entra tuttavia in tensione con un altro elemento portante della fenomenologia husserliana, ossia l’idealismo trascendentale assunto nella sua portata ontologica, in virtù del quale l’ego trascendentale è fonte del senso e della validità d’essere di ogni oggetto. Ci troviamo così in un circolo ontologico, per cui l’eidos dell’oggetto prescrive le strutture regolatrici del soggetto, il quale tuttavia istituisce il senso e l’essere dell’oggetto. Non solo, ma il soggetto, in quanto instauratore del senso e quindi capace di creare nuovi tipi di oggettualità, sembrerebbe condotto a spezzare il suo ancoraggio alla legalità eidetica ed astorica dell’universo oggettuale e aprire così la possibilità di una storicità del senso e dell’essere. Da qui gli interrogativi fondamentali che guideranno il corso delle analisi: per poter rendere conto di questo circolo non è forse necessario compiere un passo al di là di Husserl e far riferimento all’idea di una “dimensione a-soggettiva o anonima” (p. 31)? Questa dimensione permette di pensare “una terza via” tra “uno storicismo privo di legalità” e un “essenzialismo” astorico? “Come può questa dimensione al tempo stesso rendere conto della plasticità storica del soggetto trascendentale e delle mutazioni correlative che congiuntamente affettano il campo degli oggetti costituibili?” (p. 33).
In secondo luogo, le analisi dell’opera si concentrano quasi interamente sulla storicità della scienza, vale a dire insieme del soggetto e delle oggettualità scientifiche e di conseguenza della nozione stessa di ragione. Se la questione della possibilità di trasporre pienamente i risultati di queste analisi a tutti gli ambiti della storicità resta aperta, questa restrizione tematica permette un approfondimento incisivo dei temi affrontati: il percorso di Pradelle si fa così apprezzare per le analisi concrete e dettagliate, oltre che per la padronanza sulle questioni scientifiche richiamate, in particolare a proposito del passaggio dalla fisica moderna a quella contemporanea. Questa scelta tematica condurrà inoltre, nella parte centrale del testo, a operare un confronto tra le analisi husserliane e alcuni momenti significativi dell’epistemologia novecentesca.
Segnaliamo infine, sempre a titolo preliminare, le qualità formali ed espositive del testo, il cui stile, al prezzo di una certa lunghezza e di qualche ripetizione, si sforza costantemente di conciliare al massimo grado la precisione terminologica e il rigore concettuale con la chiarezza e la limpidezza argomentativa.
I primi tre capitoli del testo sono dedicati interamente a Husserl (soprattutto, anche se non esclusivamente, alla Crisi delle scienze europee) e analizzano i grandi passaggi epocali nella storia della scienza (e in particolare la storicità della fisica moderna: cap. 1), per poi volgersi a una “genesi e storicizzazione delle facoltà trascendentali”, indagata dapprima al livello della storia soggettiva individuale (le analisi husserliane sulla genesi dell’ego, delle sua abitualità e delle stesse facoltà trascendentali: cap. 2) e in seguito al livello della storia intersoggettiva. Quest’ultima è a sua volta analizzata attraverso due grandi casi esemplari: l’origine della ragione geometrica (cap. 2) e l’origine della ragione filosofica (cap. 3). Alcuni elementi e risultati teorici comuni emergono dall’insieme delle analisi di questi capitoli. In primo luogo, la storicità essenziale di ogni formazione di senso: anche la geometria, scienza di idealità esatte e “atemporali”, ha un’origine storica radicata nel contesto complessivo di un mondo della vita e nell’insieme delle attività intenzionali della soggettività trascendentale; le categorie kantiane dell’intelletto a loro volta non sono delle invarianti antropologiche, ma si rivelano essere il correlato di quel determinato progetto storico del sapere che è la fisica galileiana e newtoniana. Questo non significa tuttavia confinare l’analisi filosofica a un semplice relativismo o a un’indagine fattuale, dal momento che Husserl, mantenendo anche qui l’impostazione eidetica della fenomenologia, intende mettere in luce una legalità essenziale della genesi al di qua dei fatti storici empirici. Il riconoscimento di questa storicità costitutiva porta con sé il problema del rapporto continuità-discontinuità tra le diverse formazioni storiche, problema che è uno dei fili conduttori costanti di tutto il testo. Dopo aver dato una lettura “discontinuista” dei passaggi epocali che ritmano la storia della scienza, l’autore sottolinea come anche le analisi husserliane sull’origine della geometria e della filosofia implichino elementi di continuità e di discontinuità e cerca di precisarne i rispettivi ambiti di validità. Nella posizione di Pradelle, tuttavia, ci sembra in ultima analisi prevalere (qui come nel resto del volume) una visione discontinuista, che in questo particolare contesto è anche una conseguenza rigorosa della definizione husserliana della ragione come attività idealizzante, che pone compiti infiniti in una prospettiva teleologica secondo il modello dell’Idea in senso kantiano: è impossibile derivare geneticamente e in linea continua l’Idea della ragione dai gradi precedenti dell’esperienza, dal momento che l’Idea “deve la sua nascita solo a un atto d’instaurazione originaria, che è un sorgere assoluto” (p. 131), un salto non spiegabile e in questo senso “irrazionale”. Questa discontinuità non esclude peraltro un’indagine genetica sui rapporti di “motivazione” (più che di origine in senso stretto) con il mondo della vita precedente, come contesto motivazionale che ha preparato e favorito la nascita di geometria e filosofia. Un terzo risultato essenziale di questi capitoli consiste in una prima riformulazione in chiave storica del gesto anti-copernicano richiamato in apertura: la ragione non indica più semplicemente una facoltà soggettiva invariante, ma “un tipo di storicità inerente alla disciplina teoretica e riferito a una intersoggettività storica” (p. 113), la forma di storicità teleologicamente orientata su scopi posti all’infinito. Al rapporto tra ragione e teleologia sono dedicate le profonde pagine finali del terzo capitolo, che, sulla scorta di indicazioni dello stesso Husserl, mettono in luce come la soggettività trascendentale, origine costituente di ogni senso, sia “tuttavia precostituita da un a priori teleologico innato che la abita come una pulsione istintiva e di cui essa non è l’origine produttrice” (p. 146). Il che conduce a una questione “alla quale la chiarificazione trascendentale di tipo husserliano difficilmente sembra in grado di rispondere: se l’essenza metafisica dell’uomo non è instaurata dal soggetto trascendentale, a partire da quale dimensione – necessariamente non soggettiva – una simile instaurazione si lascia pensare?” (p. 146).
Nella parte centrale del testo (capp. 4, 5, 6), come anticipato, il filo conduttore tematico della storicità del soggetto e degli oggetti scientifici conduce Pradelle a far interagire le analisi di Husserl con quelle di diversi esponenti dell’epistemologia novecentesca e in particolare con la linea dell’“epistemologia storica” francese: Cavaillès (per le sue riflessioni sulla storicità della matematica), Metzger (sulle “mentalità” che stanno al fondo delle teorie scientifiche), Koyré (per i suoi studi storici sul passaggio dalla fisica antica a quella moderna), Bachelard (di cui vengono analizzati i concetti fondamentali che formano la sua epistemologia e la visione storico-discontinuista); a questo percorso “francese” si aggiunge un confronto con Kuhn e il suo concetto di paradigma (di cui vengono tuttavia segnalate le ambiguità e oscillazioni). Non potendo ricostruire qui il dettaglio dei confronti con ciascun autore, ci limitiamo a indicare che il risultato teorico di questi capitoli consiste nell’operare alcuni passi decisivi oltre la posizione di Husserl (di cui tuttavia vengono ancora valorizzate diverse analisi) per mettere in luce più radicalmente la storicità essenziale della ragione scientifica. Risultato teorico che a sua volta si articola in alcune tesi fondamentali: 1) contro la concezione kantiana di un soggetto caratterizzato astoricamente da determinate facoltà distinte per essenza, si tratta di pensare una “relativizzazione genetica delle facoltà trascendentali” (titolo del cap. 4) non solo nell’esperienza soggettiva, ma anche e soprattutto nell’ambito della storia: sensibilità, intuizione, immaginazione, intelletto non sono caratteristiche invarianti di un soggetto pre-costituito, ma sono determinate a ritroso dai campi di oggetti a cui il soggetto è di volta in volta aperto e che sono caratterizzati da una storicità intrinseca. Secondo una formula che scandisce a più riprese le analisi di Pradelle, e che costituisce in un certo senso la formulazione più radicale di quell’inversione del rovesciamento copernicano da cui il percorso ha preso le mosse, il soggetto appare così come “il prodotto dei suoi prodotti”: “la storia è dunque più vecchia della coscienza […] la coscienza non ha una struttura antropologica invariante, ma è il prodotto dei suoi prodotti” (p. 188). 2) Se a parte subiecti ci troviamo così di fronte a un soggetto costituito storicamente, a parte obiecti la storicità intrinseca e discontinua dei campi scientifici implica l’abbandono di due elementi essenziali della concezione di Husserl: il modello strutturale e continuista in virtù del quale ogni nuovo ambito oggettuale si edifica per stratificazioni successive su quelli precedenti, a partire dal terreno delle singolarità percettive; l’idea per la quale la delimitazione degli ambiti del sapere scientifico si regolerebbe sulla struttura eidetica invariante degli strati del mondo pre-scientifico. L’instaurazione della teoria e della generalità come suo tema è infatti un salto discontinuo e, una volta formatasi, “la struttura degli oggetti del sapere è da parte a parte investita dalla storicità ed è resa plastica dalla logica dei contenuti” (p. 248). 3) Ma se queste tesi di Husserl e, a fortiori, ogni concezione positivistica, induttivistica e cumulativa della scienza si rivelano in ultima analisi insostenibili, è per una ragione essenziale e più profonda, introdotta attraverso gli studi storici di Koyré e approfondita grazie alle analisi di Bachelard: il sapere scientifico è preceduto e reso possibile da un “a priori storico” non solo formale (come quello di cui parla Husserl) ma anche contenutistico, vale a dire da un’ontologia, da “a priori epocali” (p. 238) ontologici che implicano una certa pre-comprensione dell’essere della natura e sono presupposti dai cambiamenti delle teorie scientifiche.
Una volta riconosciuti questi a priori ontologici epocali, è possibile pensare, articolare ed enunciare qualcosa a proposito della dimensione in cui avvengono i cambiamenti della razionalità? O siamo allora confinati alla semplice constatazione di questi mutamenti e a un relativismo storico completo? È possibile trovare una risposta a questi interrogativi nell’impostazione di Husserl? Il cap. 7 opera così un ultimo affondo nel cuore stesso della fenomenologia husserliana della storicità, considerata qui in quelle che sono al tempo stesso le sue ambizioni più elevate e le sue difficoltà più grandi: il metodo della variazione eidetica, la teleologia, l’idealismo trascendentale “applicato” alla storicità. Se i primi due elementi mostrano tutti i loro limiti, e anche i loro effetti riduzionistici, di fronte alla fatticità e molteplicità irriducibili della storia, il terzo punto è ciò che conduce Husserl a identificare nella soggettività trascendentale la dimensione a partire dalla quale può disvelarsi la storicità come tale. Tesi che si rivela problematica nel momento in cui se ne valutano i corollari: ogni fenomeno storico-culturale si ridurrebbe a una produzione di senso valido dell’intersoggettività trascendentale in quanto origine assoluta del divenire storico; nell’Urstiftung la soggettività sarebbe l’istanza produttrice dell’Idea storica; inoltre essa rimarrebbe di diritto capace di riattivare completamente ogni senso storico anche occultato.
“Bisogna dunque attingere a un’altra dimensione”, “più vecchia di ogni coscienza e di ogni soggettività” (p. 321), a partire dalla quale sia possibile rendere conto dei giochi di velamento e disvelamento della storia e del determinarsi della soggettività stessa. Attentamente preparato dalle analisi precedenti, il passaggio a Heidegger operato dagli ultimi capitoli costituisce così lo sbocco coerente del percorso. Quel che è preso in considerazione è il cosiddetto “secondo” Heidegger, vale a dire le riflessioni sulla “storia dell’essere” condotte a partire dagli anni Trenta e in particolare sulla provenienza storica della scienza e della tecnica. E dal punto di vista dell’approccio generale non si può che apprezzare lo sforzo di articolare concettualmente e di restituire intelligibilità a questi testi di Heidegger, spesso sottoposti a trascrizioni “evocative”, ponendo anche questa fase del pensiero heideggeriano in dialogo con la tradizione del pensiero trascendentale e con i suoi problemi aperti. Il riferimento privilegiato del cap. 8 è rappresentato dal corso heideggeriano del 1935-36, La questione della cosa, che permette di dare la formulazione teorica più rigorosa alle acquisizioni precedenti. Heidegger mette infatti in luce come il passaggio dalla fisica aristotelica a quella galileiana e newtoniana non possa assolutamente essere spiegato con semplici considerazioni metodiche o strettamente epistemologiche, ma rinvii in ultima analisi a un mutamento epocale nel rapporto stesso dell’uomo all’essere dell’ente: i mutamenti della razionalità scientifica hanno le loro radici nei mutamenti delle posizioni fondamentali dell’uomo rispetto all’essere dell’ente in totalità o, in altri termini, ogni fisica è preceduta da un’ontologia dell’ente naturale e da un più generale progetto sull’essere dell’ente. Il rapporto tra strutture della cosa e strutture discorsive noetiche, tra caratteri oggettivi e facoltà soggettive è possibile non in virtù di un primato di uno dei due poli sull’altro, ma grazie al fatto che entrambi si collocano in una dimensione più originaria che ne assicura la relazione e lo spazio-di-gioco epocale.
Questa dimensione più originaria è infine identificata (cap. 9) con quel che l’ultimo Heidegger chiama Ereignis (spesso tradotto in italiano con “evento” o “evento appropriante”). L’Ereignis è l’ambito di questa coappartenenza tra essere e uomo che si dà sempre in una certa modalità storica e costituisce quindi anche lo spazio-di-gioco delle diverse epoche dell’essere: esso rappresenta pertanto la ricercata dimensione asoggettiva e non-antropologica a partire da cui ripensare la storicità, ossia tanto il rapporto storico tra soggetto e oggetti quanto la legalità che regola i rapporti tra le diverse epoche. L’articolazione delle epoche storiche è qui indagata in riferimento alle tre grandi modalità in cui per Heidegger l’essere dell’ente si manifesta (Herstand, Gegenstand, Bestand): il pensiero della storia dell’essere, nella sua distinzione da ogni narrazione storiografica, deve permettere di pensare la “genealogia d’essenza (Wesensgenealogie)” di queste epoche, conciliando la loro differenza fondamentale e la loro parentela quanto alla provenienza essenziale. Quest’interpretazione si attua in una paradossale inversione dei rapporti cronologici, per cui quel che è all’inizio continua ancor oggi a dispiegare la sua essenza e che quel che oggi domina esplicitamente regnava già occultamente al principio – inversione nella quale, tuttavia, per parte nostra non saremmo sicuri di non vedere più alcuna traccia “dialettica”. Conducendo dal dominio del soggetto all’Ereignis come ambito della storia dell’essere, il pensiero di Heidegger permette così di portare a pieno compimento quella de-antropologizzazione del soggetto e quella de-soggettivazione della storia perseguite dalle analisi precedenti e Pradelle, con un’operazione indubbiamente audace dal punto di vista ermeneutico, può vedere in questi ultimi esiti heideggeriani “una radicalizzazione del gesto anti-copernicano di Husserl”: “qualsiasi rappresentazione di un polo antropologico invariante e portatore di proprietà stabili si dissolve nel pensiero che pensa a partire dall’Ereignis” (p. 393; cfr. anche, nelle Conclusioni, pp. 416 e sgg.), dal momento che anche l’essenza dell’uomo si determina storicamente come risposta all’appello di una certa configurazione epocale dell’essere.
In un originale percorso teorico il testo, in modo sempre rigorosamente argomentato, conduce così dalla critica husserliana del soggetto kantiano al primato heideggeriano dell’Ereignis e della storia dell’essere, facendo apparire la piena e rigorosa assunzione della questione della storicità come l’esito ultimo di quell’opera di de-soggettivazione della fenomenologia e di de-sostanzializzazione del soggetto perseguita da Pradelle nell’insieme dei suoi due volumi. Questi importanti risultati aprono evidentemente a loro volta nuovi campi di indagine, che dovrebbero articolare ulteriormente l’analisi effettiva della storicità (e si può forse vedere l’indicazione di nuove direzioni di ricerca nell’abbozzo di confronto tra Heidegger e Foucault che chiude il volume). In questo senso vorremmo terminare indicando almeno un problema che la prospettiva heideggeriana, con cui il testo di Pradelle conclude il proprio percorso, ci sembra sollevare, problema che è un altro versante della questione del rapporto tra trascendentale e storia: qual è la relazione tra l’accadere epocale dell’essere e i singoli eventi storici? Se, come sembrerebbe, questi ultimi sono sempre esclusi dalla considerazione heideggeriana, in quanto eventi intramondani non significativi che presuppongono (senza poterla con-costituire) l’apertura storica dell’essere, la posizione di Heidegger non mantiene una forte connotazione “trascendentale” in un altro senso del termine, vale a dire nel senso di una distinzione rigida e non reversibile tra la condizione e il condizionato? Si può allora parlare propriamente di “genealogia” a proposito delle analisi di Heidegger? Quel che si troverebbe così rimosso è l’idea di una contaminazione dell’empirico e del trascendentale, che sarebbe invece forse potenzialmente contenuta nel concetto di Urstiftung, a patto di svilupparlo al di là dell’interpretazione (eidetica e soggettivistica, come mette in luce Pradelle) che ne ha dato Husserl.