XXIX, 2, 2019: Il problema dell’istituzione. Prospettive ontologiche, antropologiche e giuridico-politiche. A cura di Enrica Lisciani-Petrini e Massimo Adinolfi
Quando, ormai più di tre anni fa, insieme alla direzione e alla redazione di questa rivista, decidemmo di mettere in cantiere un numero sul tema dell’istituzione, non immaginavamo che, nel giro di così poco tempo, si sarebbero moltiplicate le pubblicazioni e le iniziative a riguardo. È dello scorso anno, infatti, la riedizione di un classico del pensiero giuridico italiano, L’ordinamento giuridico di Santi Romano, a cent’anni di distanza dalla prima stampa che risale al 1917-1918; così come è ancora dello scorso anno il ritorno in libreria de Il diritto dei privati di Widar Cesarini Sforza, che era stato peraltro il curatore della prima edizione italiana (1967) della Teoria dell’istituzione e della fondazione di Maurice Hauriou (1925), ora riapparsa anch’essa all’interno di una nuova collana inaugurata da Quodlibet, Jus. Per lo stesso editore, infine, sta per essere pubblicato il nuovo volume dell’“Almanacco di Filosofia e Politica”, diretto da Roberto Esposito, a sua volta sul tema: Istituzione. Filosofia, politica, storia.
Ma non è tutto. Se si guarda al di là dei nostri confini, ci si rende subito conto che un crescente interesse è in corso anche altrove. Basti pensare alla recente traduzione in inglese dello stesso Ordinamento giuridico di Romano (The Legal Order, a cura di M. Croce, Routledge, London-New York, 2017); o all’attenzione che si è riaccesa, in questi ultimi anni, in Francia, per il pensiero di Pierre Léon Duguit, Georges Renard e, appunto, Maurice Hauriou. Un simile revival è stato certo favorito dalla proposta di una nuova, sofisticata versione d’istituzionalismo giuridico (O. Weinberger, N. MacCormick) e dagli approcci neoistituzionalistici in economia (O. E. Williamson, D.C. North). Ma è evidente che esso va ben oltre l’ambito degli studi di diritto costituzionale, per investire lo spazio in costante espansione delle istituzioni economiche, sociali, politiche. Dunque, in questo improvviso e intenso riemergere del tema dell’istituzione – anche se, ovviamente, nel corso del tempo, sempre all’ordine del giorno nel dibattito giuspubblicistico, sociologico e anche filosofico – c’è qualcosa di profondo da capire e che riguarda il nostro tempo. Qualcosa che può esser colto solo dallo sguardo a largo raggio del filosofo, capace di varcare i singoli confini delle discipline in una visione d’insieme che le ricolleghi fra loro. Di qui l’importanza e persino, forse, l’urgenza di dedicare al tema dell’istituzione un fascicolo di una rivista di filosofia. Con l’auspicio che esso possa proseguire e arricchire il ricco dibattito in corso.
In effetti due sono gli assi su cui focalizzare l’attenzione – dai quali si dipartono, a domino, conseguenze rilevanti per lo scenario culturale attuale. Ciò fa del problema dell’istituzione, in questo momento storico, un epicentro paradigmatico intorno a cui si annodano molteplici questioni. Il primo riguarda il piano più propriamente storico-politico. Si tratta della vorticosa espansione globale che, nel giro di qualche decennio, ha eroso alcune delle istituzioni-cardine precedenti, presidi secolari di specifici assetti storico-sociali vigenti fino almeno alla metà dell’Ottocento, se non anche dopo: sovranità statali, peculiarità linguistiche, differenze di tradizioni e costumi, quadri economici eterogenei. Di fronte alle dinamiche della globalizzazione, che hanno travolto barriere e identità solidificate, due erano e sono state le possibili strade da percorrere. O l’invenzione d’inedite modalità istituzionali – quale è stata, pur con tutti i suoi limiti, la costruzione dell’Unione europea: un’istituzione, o un complesso di istituzioni internazionali senza precedenti nella storia dell’Occidente (basti pensare, per fare un solo esempio, alla creazione della moneta unica, pur con gli scompensi prodotti, ma al tempo stesso con l’integrazione che ne è scaturita). Una direzione che va proseguita e sviluppata. Oppure – ed è l’altra strada – la riproposizione reattiva di nuovi confini identitari, vecchie piccole patrie, barriere politiche, antropologiche, economiche, destinate a trascinare la storia all’indietro sui suoi passi. Con ciò l’effetto perverso di rovesciare in negativo quell’espansione globale, potenzialmente feconda, cristallizzandola in dispositivi economico-finanziari che ripristinano disomogeneità ed esclusioni tra i popoli europei e all’interno di ciascuno di essi. Di qui l’impellente necessità d’incrementare la riflessione proprio sul terreno dei processi istituzionali, in risposta a tali tendenze in atto, con la consapevolezza che il diritto non serve solo a legittimare norme statuite e poteri consolidati, ma possiede anche una potenza performativa, che può mutare i rapporti di forza esistenti, creando nuovi equilibri tra soggetti individuali e collettivi. A questa potenzialità innovativa si richiama il passaggio, strategico per una nuova semantica istituzionale – sotteso a tutti i testi qui presentati –, dalla conservazione statica delle istituzioni alla operatività dinamica dell’istituire.
Ma, appunto, benché questo ampio e complesso processo storico contemporaneo possa apparire, invero solo ad uno sguardo superficiale, di ordine extra-filosofico, in realtà – ed è il secondo asse su cui focalizzare l’attenzione – esso chiama in causa direttamente la filosofia, la dimensione del pensiero. Ossia la capacità dell’uomo d’immaginare ed elaborare nuove “forme di vita”. Perciò, non solo la filosofia non ha mai smesso d’interrogarsi su questa problematica ma, anche in base alle straordinarie trasformazioni avvenute nel secolo scorso e tuttora in atto, ha orientato la propria riflessione su questo specifico snodo tematico, portando su di esso un interesse spiccatamente teoretico. E del resto – come diceva Husserl, sulla scorta della grande tradizione filosofica – una filosofia che rinunciasse ad ogni presa di posizione nel presente, non sarebbe più tale.
Si tratta allora di operare, da questo crinale ermeneutico, su un doppio versante. Da una parte, analizzare criticamente quelle forme di vita e quei paradigmi lessicali che hanno caratterizzato la modernità giungendo fino a noi, e che appaiono ormai incapaci di attivare nuovi processi istituenti. Infatti, se per una lunga stagione, quella appunto “moderna”, la stessa, geniale, istituzione del “soggetto individuale” – con tutti i suoi derivati concettuali e pratici – ha rappresentato un presidio basilare e fecondo della storia dell’Occidente, oggi palesemente non basta più a dare espressione alle dinamiche socio-culturali che investono la nostra esperienza. Dall’altra, si tratta allora di spostare – in particolare in ambito fenomenologico – l’attenzione dalle strutture trascendentali del soggetto alle forme oggettive di un processo istituente che oltrepassa i suoi confini coscienziali, mettendolo in rapporto con i bisogni, le immaginazioni, gli impulsi della comunità e del mondo della vita. Appunto perché – ed è il risultato filosoficamente qualificante – non sono i soggetti a precedere le istituzioni (come voleva la filosofia della coscienza costituente), ma è la prassi istituente a creare i soggetti che a loro volta l’attivano. Ciò significa lasciarsi alle spalle – sul piano antropologico, sociologico, politico – la tradizionale concezione katechontica dell’istituzione, per ripensarla radicalmente, insieme alla categoria di negativo ad essa inerente, come mezzo positivo di affermazione delle tendenze proprie della natura umana. Certo, da qui nasce la varietà delle istituzioni politiche, sociali, giuridiche, con il loro tratto convenzionale o artificiale. Ma questa convenzionalità o artificialità non può essere pensata come puro arbitrio, come arida tecnologia strumentale. Occorre ritrovare quel punto di raccordo, e di tensione, tra artificio e natura, storia e antropologia, vita e tecnica, che proprio nelle istituzioni continuamente si crea e si ricrea. I nomi che vengono sotto la penna – relativamente a tale raggiera di questioni – sono, oltre quelli di Arnold Gehlen e Marcel Mauss, soprattutto quelli di Maurice Merleau-Ponty, Cornelius Castoriadis, Claude Lefort, da una parte, e il giovane Gilles Deleuze ancora influenzato da Hume, dall’altra. Proprio gli autori che incontriamo nelle pagine che seguono. Non per caso in tutti loro l’istituzione, o meglio il movimento istituente, recupera un rapporto vitale col negativo in una chiave non dialettica – significativamente presente anche in Derrida – che ci appare meritevole di ulteriori studi quanto ai suoi presupposti e ai suoi esiti teorici.
Ovviamente, dedicare un fascicolo a questo tema, a questi autori, non vuol dire pretendere di fornire una risposta assertoria, e tanto meno definitiva, alla domanda: “Che cos’è l’istituzione?”. Neppure si tratta, però, di praticare una mera rinuncia scettica, o di limitarsi a prendere atto della molteplicità di prospettive teoriche e di stili di ricerca che si confrontano al riguardo. Ci si deve piuttosto misurare col fatto, esso stesso bisognoso di spiegazione, che sotto il medesimo termine si raccolgono fenomeni diversi, difficilmente riconducibili ad un’essenza comune. Nell’allestire questo fascicolo, ci siamo dunque convinti che non è necessario risolvere complessi problemi di classificazione, o avere una compiuta proposta ordinativa, secondo rigide partizioni categoriali, ma che è maggiormente proficua un’esplorazione a più voci, capace di mostrare i punti di raccordo, le zone di indiscernibilità, le somiglianze di famiglia. Siamo anzi convinti che proprio nella frequentazione di simili territori di confine e di tali procedure transdisciplinari – come fanno tutti i saggi qui raccolti – trovi il massimo profitto una ricerca orientata in tal senso.
Insomma, porre a tema l’istituzione vuole dire più cose. In primo luogo, individuare un “oggetto” che, per i cambiamenti intervenuti nel diritto, nella società e nella storia, richiede una disponibilità a percorrere sentieri nuovi, senza dimenticare l’ampio retroterra storico di provenienza. Del resto – ed è l’altro esito fondamentale di una riflessione filosofica sull’istituzione – elemento decisivo del paradigma istituzionalista è un recupero di storicità – non di storicismo – in grado di riconnettere passato e presente in una relazione dinamica con quanto già si è elaborato precedentemente. Il pensiero stesso, la filosofia stessa, da questo punto di vista, è un’istituzione “ricorsiva” – destinata a “riattivare” e rilanciare nel futuro segmenti di riflessione sedimentati nel passato. Come sostiene Hauriou, le idee, più che crearsi ex novo, si trovano e si rielaborano entro nuovi blocchi semantici (per fare un esempio, antiche istituzioni religiose appaiono rifluire, quasi come per un sotterraneo processo carsico, dentro dispositivi finanziari odierni). In secondo luogo, indicare linee critiche lungo le quali talune tradizionali opposizioni concettuali – come storia/natura, diritto/giustizia, sociale/politico – assumono una nuova, e più complessa, articolazione. Offrire, in terzo luogo, motivi per una resistenza a programmi di ricerca che si appiattiscono su un solo versante del problema, in forme di razionalismo e scientismo chiusi nella propria pretesa di autosufficienza, da cui già Husserl aveva preso risolute distanze; e, per converso, mostrare l’efficacia euristica di un pensiero o di un modo di fare filosofia capace di strategie più mosse e meno squadrate.
Infine si noterà, nei materiali qui raccolti, una prevalente attenzione per il pensiero francese. Rispetto ad altre tradizioni, è in quell’area culturale – dagli studi di antropologia ed etnologia fino a quelli giuridici e filosofici – che in effetti si è affermata più nettamente l’esigenza di reagire alla crisi del lessico politico moderno, nei termini di quel vitalisme social che lo stesso Hauriou riconosceva nelle istituzioni presenti, così come in quelle da immaginare per il futuro. È una tale immaginazione che ci auguriamo di nutrire e stimolare, con i saggi di questo numero di “Discipline Filosofiche”.
Indice
(cliccando sul titolo si può leggere l’abstract)
Enrica Lisciani-Petrini, Massimo Adinolfi, Introduction
Roberto Esposito, Per un pensiero istituente
Marco Pavanini, L’istituzione come proprio dell’umano. Un approccio antropo-tecnologico
Enrico Redaelli, L’istituzione come espressione e sistema differenziale: Marcel Mauss da Durkheim a Lévi-Strauss
Enrica Lisciani-Petrini, Merleau-Ponty: potenza dell’istituzione
Mattia Di Pierro, Il concetto di istituzione in Claude Lefort
Alfredo Ferrarin, La prassi, l’istituzione, l’immaginario in Castoriadis
Massimo Adinolfi, Performatività, contesto, istituzione in Jacques Derrida
Giacomo Pezzano, Una specie sovraumana. Istituzioni e natura umana secondo Deleuze
Paolo Napoli, Une institution administrative. Le feedback à 360 degrés
Frédéric Worms, Les institutions vitales, de la violation à la démocratie