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120. Recensione a: Ludovica Neri, La logica filosofica di Karl Jaspers. Analisi del problema logico nel Nachlass jaspersiano, Mimesis, Milano-Udine 2021, pp. 178. (Giulia Castagliuolo)

Approfondire il valore di un progetto – quello della logica filosofica – che, più che inaugurare la cosiddetta terza fase del pensiero di Karl Jaspers, “restituisce in forma sistematica le principali considerazioni logiche e metodologiche che egli delinea nell’arco di tutta una vita” (p. 7), è il punto di partenza del lavoro di Ludovica Neri. Esso attraversa, infatti, in modo originale, la prospettiva filosofica del pensatore tedesco a partire dal problema della Logica filosofica, riferendosi, in particolare, al Nachlass jaspersiano. Nel far ciò, la studiosa sembra porsi al di là di ogni tipo di partizione, lasciando emergere la sistematicità e la continuità di un pensiero sempre in progress, e pertanto mai rigido, mai nettamente definito e definitivo, in cui lo Jaspers psichiatra e lo Jaspers filosofo tornano sempre, in qualche modo, a comunicare.
L’indagine portata accuratamente avanti in tale monografia, attraverso uno stile asciutto e conciso, è articolata in quattro capitoli. Nel primo paragrafo del primo capitolo si fa riferimento alla Psicopatologia generale, di cui viene analizzata, nello specifico, l’impostazione metodologica. Il tema della Psicopatologia generale, un’opera aperta per anni a continui arricchimenti tematici e che rappresenta un vero e proprio livre de chevet per molte generazioni di psichiatri, è – seguendo le dichiarazioni dello stesso Jaspers – l’uomo colto nella sua totalità e affetto da malattia psichica. Qui, non solo il filosofo parla mirabilmente della necessità di rispettare l’inesauribilità di ogni individuo e di conferire il giusto peso agli infiniti problemi dell’anima, ma accenna anche a quello stupore – riproposto nella sua Filosofia – che suscita il malato nel sano, per il quale il mondo del primo si dà come “un enorme interrogativo” (K. Jaspers, Filosofia, Libro II: Chiarificazione dell’esistenza, UTET, Torino 1978, p. 779). In opposizione al positivismo e all’idealismo, Jaspers non intende sfondare l’enigma posto da quell’enorme interrogativo, né riducendo la malattia mentale a un processo naturale, né concependola come un’espressione estranea alla realtà che va pertanto esclusa dal proprio orizzonte riflessivo. Bisogna bensì preservare quell’enigma, rendendosi conto innanzitutto del limite costitutivo della psicopatologia, la quale, al di là del lavoro di concettualizzazione e di costruzione di tipi ideali, finisce sempre per urtare contro qualcosa d’inconoscibile, che si nasconde, e che lo psicopatologo può solo sentire, presagire, ma mai afferrare o catturare. Jaspers si propone così di eliminare i concetti nebulosi, per lasciare spazio a quelli chiari e funzionali, servendosene inoltre con cautela, ovvero curandosi di vedere in essi un principio euristico solo finché il materiale empirico confermi a sufficienza la loro validità. Allo stesso tempo, ponendosi “contro la tendenza ad assolutizzare un punto di vista particolare e a racchiudere i fatti in un sistema teorico unitario, la Psicopatologia generale si delinea come una sistematica metodologica” (p. 20), volta a distinguere e a riordinare, attraverso la guida dell’idea trascendentale dell’uomo come un tutto, un abbracciante, la pluralità dei metodi scientifici e filosofici. Pertanto, il quadro così dischiuso dalla Psicopatologia generale è quello di un pluralismo metodologico, laddove molteplicità d’interpretazioni non significa arbitrarietà né indeterminatezza, ma movimento di apertura del possibile sulla via di una visione sempre più determinata. È proprio a quest’altezza, a ben vedere, che si fa strada l’idea – che diverrà centrale nella filosofia jaspersiana – dell’uomo come un infinito avvolgente, che tutto abbraccia, ovvero come una sorta di totalità sfuggente. Inoltre, nella prospettiva qui avanzata la coscienza metodologica consente da un lato di riconoscere le condizioni di possibilità e i limiti della conoscenza scientifica del mondo e, dall’altro, “apre la possibilità per una forma di riflessione che, nel volgere al di là dei limiti dell’intelletto, non porta a una conoscenza positiva della trascendenza” (p. 32).
La messa in rilievo da parte di Neri della configurazione della coscienza metodologica come “critica dei limiti e delle possibilità della conoscenza” (p. 23) e l’accostamento del concetto dell’abbracciante all’idea regolativa kantiana sembrano segnalare – per dirla con Enzo Melandri – “il continuo ritorno all’insegnamento di Kant” (E. Melandri, Esistenzialismo, in Filosofia, a cura di G. Preti, vol. XIV dell’Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Feltrinelli, Milano 1966, p. 50) come cifra essenziale della formulazione delle questioni jaspersiane fondamentali. Nel secondo paragrafo, facendo riferimento all’Introduzione a Filosofia, si approfondisce, in particolare, il metodo filosofico del trascendere – e quindi la distinzione tra quello vero e quello falso – e, contemporaneamente, viene tracciato il modo in cui Jaspers comincia a delineare un metodo marcatamente filosofico.
Scorrendo il primo capitolo, si giunge infine al terzo paragrafo, dedicato alle Lezioni di Groningen, intitolate Ragione ed esistenza (che vanno a costituire il primo documento pubblicato in vita dal pensatore tedesco sul progetto della logica filosofica). Qui, la logica filosofica, detta anche “alogica razionale”, la cui articolazione sistematica è chiamata “periecontologia” o “filosofia dell’abbracciante”, si configura come il pieno compimento del problema del trascendimento metodico già presente negli scritti anteriori. Infatti, con essa si delinea una forma di razionalità caratterizzata soprattutto dalla capacità di “spezzare la logica dell’intelletto”, in modo da riuscire a comprendere pure ciò che è alogico e irrazionale.
Nel secondo capitolo, l’autrice tenta di restituire una visione d’insieme dei principali presupposti filosofico-teoretici del problema della logica filosofica, per come esso viene presentato in Della Verità. Nei piani di Jaspers, quest’opera, in quanto “logica del prelogico”, avrebbe dovuto costituire la prima parte di una logica filosofica o “logica della comunicazione”, cui – almeno idealmente – sarebbe dovuta seguire una “logica del logico”, che invece, purtroppo, ritroviamo solo parzialmente nel Nachlass. Partendo – nel primo paragrafo – dall’approfondimento della centralità del tema della verità, intesa come una “via” che si compie nella finitezza della situazione storica ed esistenziale, Neri affronta, nel secondo paragrafo, la questione del modo in cui la logica filosofica si delinea come organon dell’autocoscienza della ragione. Infine, nel terzo, viene rivolta particolare attenzione al tema della chiarificazione delle origini: quell’articolazione metodica e sistematica dell’autocoscienza razionale, per la quale l’essere è un abbracciante che si articola in una molteplicità di spazi inoggettivabili od origini.
Dal terzo capitolo comincia il vero e proprio lavoro di scavo nel lascito jaspersiano. Innanzitutto, viene preso in considerazione il capitolo introduttivo della Dottrina delle categorie, la quale si presenta come uno strumento della logica filosofica, atto a orientare la coscienza nella molteplicità delle sue forme categoriali. In particolare, viene evidenziato in che modo, nel corso della chiarificazione logica della ragione, le categorie possano essere riqualificate nel loro significato autenticamente filosofico e trascendente. Inoltre, il senso “pluridimensionale” delle categorie, ovvero la loro capacità di rendere comprensibili i molteplici spazi dell’abbracciante a seconda del punto di vista assunto da chi pensa, è compreso a partire dall’esame dettagliato della suddivisione di queste secondo le loro origini nell’abbracciante.
L’ultimo capitolo è dedicato al secondo volume del Nachlass: la Dottrina del metodo. Anch’essa si configura come un mezzo della logica filosofica, volto a chiarire la molteplicità dei metodi della coscienza. Si giunge così all’idea secondo cui i metodi filosofici non sono effettivamente tali in senso stretto, dato che non consentono di conoscere la realtà né fanno capo a un principio particolare. Si tratta bensì di “vie” attraverso cui è possibile chiarificare la molteplicità delle operazioni del nostro sapere al fine di trascenderle.
L’attenzione che Ludovica Neri, attraverso il suo studio, ha deciso di rivolgere al problema della logica filosofica (la cui elaborazione – ci ricorda l’autrice – copre quasi tutta la produzione scientifica e filosofica del pensatore tedesco) costituisce un valido tentativo di preservare la continuità e l’unitarietà della riflessione di Jaspers. Tale tentativo è ulteriormente rafforzato dall’esame accurato delle testimonianze presenti nel Nachlass circa l’intento – che, del resto, questo studio sembra restituire pienamente come un vero e proprio fil rouge dell’intera filosofia jaspersiana – “di rendere ragione del rapporto che intercorre tra il pensiero e la vita, tra il razionale e l’irrazionale, allo scopo di realizzare una logica comprendente e universale capace di porre le basi per una forma di comunicazione filosofica ed esistenziale” (p. 17).

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