Nel mondo greco il tempo, come l’essere, si dice in molti modi: aion, come eternità che non indica però un immobilismo fuori dal tempo bensì il permanere dell’essere nell’impermanenza delle parti in cui si eventua; kairos, come attimo, grazia e pienezza dell’adesso; chronos, infine, come tempo che diviene secondo il prima e il poi e in questo fluire fa sì che ad alcuni enti se ne sostituiscano altri.
È questo terzo significato che dà forma e movimento all’ultimo libro di Alberto Giovanni Biuso: Chronos. Scritti di storia della filosofia. Il testo segue infatti un andamento storico-filosofico dai pensatori delle origini fino alle metafisiche contemporanee raccogliendo i saggi che l’autore ha pubblicato soprattutto negli ultimi vent’anni e adesso qui riproposti secondo un particolare criterio teoretico ed ermeneutico a cui si può applicare la formula che Giovanni Gentile utilizza per descrivere la filosofia come storia e come sistema.
Come storia il libro si articola in sei parti, a ciascuna delle quali corrisponde un periodo storico determinato o uno specifico pensatore nonché la trattazione ordinata e rigorosa delle sue opere; come sistema Chronos è, sì, una storia della filosofia ma «nell’atto del filosofare» e cioè non «scolastica compiutezza enciclopedica delle sue parti» ma «logica sistematicità dei concetti in cui essa si realizza» (G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, in Id., L’attualismo, Bompiani, Milano 2014, p. 267). Si tratta, come chiarisce nella nota al testo l’autore, di «presentare non una collezione di saggi ma un percorso nella storia della filosofia volto a mostrare la perennità delle questioni metafisiche […] e la loro fecondità per il presente e per il futuro» (p. 409). Le questioni sono quelle che riguardano l’essere, la verità e il tempo, il percorso ermeneutico è quello che procedendo da Eschilo a Nietzsche, da Plotino a Severino, da Leopardi a Mazzarella, da Machiavelli a Heidegger, dalla metafisica greca a quelle contemporanee, attraverso metafisiche analitiche e plurali, mostra e conferma prima di tutto e al di là di tutto la necessità e la perennità della metafisica – così Biuso intitola gli ultimi due paragrafi del saggio conclusivo, che possono fungere da premessa e conclusione dell’intero libro – non come dimenticanza della differenza ontologica, non come fatto linguistico, non come mera rappresentazione di ciò che appare, non come discorso sull’ente, ma come «domandare che cerca le ragioni perenni del contingente» e in questo domandare e cercare comprende «l’ininterrotto eventuarsi in cui mondo, materia e umanità consistono» (p. 386).
Mondo, materia e umanità nella teoresi di Biuso consistono di tempo. Sono tempo. Se allora la metafisica, per parafrasare Armstrong, è tornata a essere un sapere rispettabile, lo è diventata non però alla maniera neo-eleatica descritta da Severino che osserva nell’Occidente – iniziato con i Greci – la stagione del tramonto e del nichilismo del pensare l’essere, bensì proprio alla maniera dei Greci, per i quali enti, eventi e processi si inseriscono nella trama del divenire e per questo vengono ad esistenza, durano un poco e poi cessano di esistere. L’essere di Severino consiste infatti nella stasi e non nel movimento, nell’immutabile e non nel mutamento, esso nega la nascita come venire dal nulla e il morire come suo ritorno a favore di un apparire e sparire degli eterni. Dove tutto è eterno, il tempo, alla maniera di Plotino prima e di Agostino poi, diventa distensio animi, uno strumento della mente incapace di cogliere tutta insieme la perfezione dell’essere eterno nella sua identità e che per questo introduce la differenza.
In questo modo, mentre per Severino – e, sia pur in modo diverso, per Plotino – il tempo «“è l’essenza stessa dell’alienazione. E l’essenza dell’alienazione è l’alienazione essenziale” […]. È l’alienazione che, ancora una volta, separando l’ente dal suo essere lo precipita nel nulla, alienandogli appunto la sua vera natura che è eterna» (p. 351), per Biuso il tempo è questa differenza, è ciò che separa l’ente dall’essere per sostanziarlo e non per precipitarlo nel nulla e la metafisica è la comprensione di tutto questo, e cioè della trama temporale che intesse gli enti ma che agli enti non si riduce. Certo, il tempo è anche coscienza del tempo, come impressione originaria, ritenzione e protensione, ma non come suo strumento bensì come sua dinamica, struttura e possibilità.
Nella metafisica dell’identico di Plotino e di Severino c’è tuttavia una metafora che descrive anche la metafisica della differenza dell’autore. Questa è la metafora della luce. Per il filosofo neoplatonico il concetto di emanazione può infatti accostarsi al meccanismo di rifrazione della luce per cui l’Uno/Essere è la luce e l’irradiamento, «la dinamica ontologica più profonda e universale», la quale fa sì che «le potenze derivate dall’Essere superiore sono differenti e diventano inferiori e più oscure, come una luce che, emanando da un’altra luce si affievolisce» (p. 97).
Anche il filosofo neoeleatico, a proposito dell’ontologia heideggeriana, da lui pienamente iscritta nella stagione nichilistica occidentale, parla di «luce dell’essere» mediante la quale soltanto si può cogliere l’orizzonte del sacro. Esattamente questa è la dinamica di identità e differenza che accompagna il percorso teoretico di Biuso: «L’essere non è un ente, l’essere è l’ogni volta ripetuto venire alla luce della dinamica di identità e differenza che è il tempo, il quale consiste nell’identità della linea generata dagli eventi e nella differenza degli eventi generati. Come la luce si rende visibile negli enti che illumina, così l’essere si rende pensabile nella delimitazione spaziotemporale dell’istante-qui» (p. 211).
Proprio perché «per Heidegger l’essere è il tempo» mentre «per Severino il tempo è nell’essere come sua eterna e insieme effimera parvenza» (p. 351); proprio perché per quest’ultimo il divenire nasce con i Greci, tanto a Heidegger quanto ai pensatori delle origini Chronos dedica rispettivamente due delle sei sezioni che compongono l’intero libro, a conferma della metafisica temporale, ontologica e immanente del suo autore.
In Biuso il tempo è l’altro nome dell’essere. Dire tempo e materia equivale infatti a dire tempo è materia, non come appiattimento dell’essere agli enti, bensì come suo fondamento – per usare un’espressione di Fava – “indisponibile”, non perché posto in un qualsiasi “Altrove”, bensì perché è dell’essere il suo svelarsi nascondendosi (physis kryptesthai philei): «La physis si apre, si dispiega e si squaderna nell’apparenza, la quale è quindi la sostanza stessa di cui la realtà è fatta. L’apparenza non è il contrario dell’essere ma è il modo in cui l’essere si rende visibile ed è» (p. 210).
L’indisponibilità, tuttavia, non è soltanto dell’essere bensì anche dell’ente che sull’essere si interroga, il quale ha obliato la differenza ontologica perdendo così di vista la propria dimora (Heimat), il «luogo nel quale una volta l’umano abitava e che però ha perduto diventando Unheimlichste, il più inquieto degli enti perché il più lontano dalla propria origine, da lui perduta» e verso la quale ora «nutre una costante nostalgia» (p. 213). Anche tale perdizione ha contribuito alla festa antropocentrica che ha portato una parte dell’intero a sentirsi privilegiata sulle altre, a definirsi sapiens perché capace di “cultura”, non considerando però che la cultura – come si legge nelle pagine dedicate a Machiavelli, Gehlen e Mazzarella – è il modo di essere (natura) dell’animalità umana il cui tentativo di esistere ancora e sempre sta avendo come esito l’anticipazione della sua comunque inevitabile distruzione.
Con le parole di Buchanan, infatti, l’autore constata che come animali umani, osservati non dal punto di vista ontico bensì ontologico, siamo già sostanzialmente estinti. Nell’ermeneutica di Biuso, l’uomo che deve rimanere passa proprio per il recupero di questa differenza ontologica e dell’identità con gli altri enti: «Il dispositivo heideggeriano mostra di costituire non soltanto uno dei fondamenti dell’ecologia profonda ma anche una delle condizioni del superamento del dominio antropocentrico. Sia l’analitica esistenziale (Essere e tempo) sia il pensiero successivo al tornante ontologico (Kehre) dislocano infatti Homo sapiens dai dualismi sui quali la guerra contro gli animali si fonda – umano/divino; soggetto/oggetto; anima/corpo; meccanicismo/finalismo – lo gettano oltre la coscienza – sia essa morale o gnoseologica, agostiniana o cartesiana, cognitivistica o husserliana –, per collocare l’umano come ogni altro ente, vivente o no nella struttura e funzione che accomuna l’intero: il tempo» (p. 254).
Rispetto a questi dualismi, nella prospettiva dell’autore sacra/divina è soltanto la materia che è ciò che deve essere, in essa non c’è bene e non c’è male, non si dà giustizia né ingiustizia; il soggetto si dissolve alla stessa maniera con cui si trasfigura l’identità di Nietzsche nei Wahnbriefe che secondo Biuso si inscrivono pienamente – non dunque come segno di follia – nel pensare del filosofo inattuale; l’anima/mente individua soltanto il modo di chiamare la materia autoconsapevole di sé e il finalismo che illude così tanto la specie umana su un progresso verso il meglio si risolve invece nella necessità del tempo e della materia, l’accettazione della quale è detta amor fati: «Amor fati è acconsentire alla perfezione del necessario, qualunque sia la sua origine e modalità» (p. 177). Amor fati sarà quindi acconsentire alla propria finitudine nell’eterno divenire della materia; Amor fati sarà acconsentire che dolore, angoscia e pianto appartengano soltanto a una parte, ma non all’intero. Acconsentire a tutto questo significa, in una parola, acconsentire all’essere. Riconciliarsi dunque con il proprio tempo finito rispetto all’infinito durare della materia.
La metafisica di Biuso è dunque «Einklang, è l’armonia del gioco ontologico dei contrastanti, è la scienza dell’identità e della differenza» e il suo interrogare diventa «dunque “una domanda completamente diversa. Essa non interroga l’essere in quanto determina l’ente come ente: interroga l’essere in quanto essere”. La metafisica diventa così ciò che è da sempre: la filosofia stessa» (p. 238), lungo un percorso che ripercorre la storia della metafisica ma non è storia della metafisica, bensì metafisica – per ritornare all’autore idealista citato all’inizio di questa riflessione – in atto.
(8 maggio 2023)