Pubblicato da Eleonora Caramelli per Carocci, il volume Poetiche del testo filosofico. Hegel, Merleau-Ponty e il linguaggio letterario si inserisce appieno nel dibattito filosofico contemporaneo in merito all’analisi della prismatica relazione tra filosofia e letteratura. Il testo, dopo un’introduzione storica e filologica al rapporto di intersezioni e distanze intessuto dalle due discipline, si dirama in due direzioni principali: mentre la prima incornicia il legame tra filosofia e letteratura nel contesto della riflessione estetica di Hegel, con particolare attenzione alla lettura del filosofo tedesco dell’Antigone di Sofocle, la seconda prende le mosse dalla filosofia di Merleau-Ponty e dal dialogo che egli instaura con autori quali Michel de Montaigne, Stendhal e Marcel Proust. Caramelli specifica sin da subito tanto l’arbitrarietà quanto la funzionalità della scelta di «scrivere un libro di filosofia con» questi autori, tanto distanti nel tempo e nello spazio (p. 36); nonostante ciò, nel corso del testo l’autrice si propone di avvicinarli, evidenziando la loro comune volontà di criticare e sperimentare il linguaggio filosofico. Grazie a questa interazione, il testo illumina numerose sfumature della filosofia come scrittura, dimostrando come il dialogo con il linguaggio letterario aiuti la filosofia a scoprire aspetti nuovi di sé stessa. Viene così avviata una disamina dell’intreccio, all’interno della testualità filosofica, tra il momento estetico, inteso come riferimento alla letteralità del testo, e il momento speculativo, legato alla genesi della trama e alla struttura argomentativa della scrittura filosofica.
Nel primo capitolo – A partire da Hegel (pp. 39-81) –, Caramelli esplora le conseguenze testuali che derivano dall’inserimento di un personaggio letterario, come quello di Antigone, all’interno di un testo filosofico. Attraverso l’analisi dell’interpretazione hegeliana dell’Antigone nelle Lezioni di estetica e nella Fenomenologia dello spirito, l’autrice evidenzia come, inizialmente, la figura di Antigone si riscopra mutata e plasmata dall’argomentare filosofico trasformandosi in una «figura di pensiero»; tuttavia, successivamente, sfuggendo abilmente dalla trappola del rigore dell’argomentazione filosofica, e «in forza della virtus irresistibile del linguaggio letterario», Antigone riesce ad «autonomizzarsi e finzionalizzarsi», rivendicando la propria indipendenza narrativa (p. 36). La figura letteraria, pur dialogando con la filosofia, mantiene una peculiare autonomia, svelando così la possibilità di incontro, ma anche l’inaspettato scontro tra le due discipline. Il loro legame si approssima nel momento in cui esse eccedono il proprio dominio, facendo esperienza di ciò che – suggerisce Caramelli usando un genitivo soggettivo – è «altro di sé» (p. 66). Richiamandosi a Berel Lang, l’autrice auspica l’elaborazione di una poetica del linguaggio filosofico, dal momento che, al pari della letteratura, anche la filosofia incorpora una propria particolare letteralità, una singolare forma di scrittura. Pertanto, si domanda l’autrice, all’interno di un’opera di genere filosofico, in questo caso la Fenomenologia dello spirito, è possibile rintracciare e produrre un momento poetico? Nella prefazione della Fenomenologia dello spirito, inserendosi nel dibattito sul rapporto tra discorso filosofico ed esperienza, Hegel si confronta con il pregiudizio che considera il linguaggio come qualcosa di prestabilito, riflettendo invece sulla sua produttività. In questa prospettiva, fare chiarezza in merito al momento espressivo significa concepire la parola come «il banco di prova della loro presa effettiva sul reale» (p. 69). Altresì in dialogo con Theodor W. Adorno, Caramelli sostiene che Hegel non si limiti a riflettere sulla testualità filosofica, ma tenti di sviluppare una vera e propria «filosofia della letteralità» (p. 84). L’inserimento di una figura letteraria come Antigone all’interno del discorso filosofico permette a Hegel di confrontarsi con i limiti del linguaggio filosofico, dimostrando che il significato non nasce dalla corrispondenza tra forma e contenuto, ma dalla loro differenza. In tal modo, non riuscendo a intrappolare Antigone nell’argomentare filosofico, la fallibilità del testo filosofico non ne mina la forza, ma anzi la rende evidente, spingendo la filosofia verso un movimento tutto creativo.
Come accennato, la liaison che da Hegel raggiunge Merleau-Ponty è riscontrabile nel desiderio, che entrambi condividono, di mettere in questione il linguaggio filosofico attraverso critica e sperimentazione. L’autrice sottolinea la grande rilevanza del linguaggio letterario nei lavori merleau-pontiani, e richiamandosi al celebre testo di René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, ne esplora due tematiche fondamentali: se mediante le voci di Proust e Michel de Montaigne il filosofo francese si propone di rilevare una verità che nasce a partire dall’apparenza, è con Stendhal e ancora una volta con Proust che Merleau-Ponty smaschera e condanna la menzogna romantica, in virtù di una verità romanzesca. In questo contesto, Caramelli richiama un celebre passo in cui, nella Fenomenologia della percezione, Merleau-Ponty assimila la fenomenologia al lavoro di scrittori e artisti come Balzac, Proust, Valéry e Cézanne. Tutti questi autori sono accomunati dallo stesso desiderio, ovvero quello di «cogliere il senso del mondo o della storia allo stato nascente» (p. 97). Tale legame evidenzia la vicinanza tra filosofia e letteratura, nonché tra filosofia e arte. L’autrice si concentra sul caso specifico ed emblematico del movimento circolare della Recherche proustiana, indicata come comune alla produttività della fenomenologia, la quale «tornando sui suoi passi, intende altrimenti ciò che la costruzione intellettualistica oblitera proiettandovi ex post la propria lunga ombra» (p. 97). La letteratura, con la sua forma peculiare, permette alla filosofia di sovvertire la concezione tradizionale del proprio rapporto con la parola. Così, con Merleau-Ponty, la filosofia riflette criticamente su sé stessa: la ricerca filosofica del vero inciampa nell’esperienza, e andando in direzione contraria a quella prestabilita – come il linguaggio poetico lavora e trasforma quello ordinario – lascia da parte il proprio vizio di sicurezza, e si affida al momento dell’esperienza estetica, riscoprendo la propria fallibilità come occasione di riflessione, più che di sconfitta. La possibilità di mettere in atto una critica al testo, alla parola, alla scrittura con cui la disciplina si esprime, permette al pensiero filosofico di scongiurare le – talvolta – pericolose derive ideologiche e metafisiche, abbracciando invece un grado di persuasività maggiore, sempre a patto che essa accetti la propria discutibilità.
In conclusione, tale volume si impegna a dimostrare come il rapporto tra filosofia e letteratura non solo possa essere produttivo, ma addirittura fondamentale per la stessa sopravvivenza critica della disciplina filosofica. Attraverso il confronto con la letteratura, la filosofia è spinta a un esame profondo dei propri presupposti, delle proprie strutture linguistiche e dei mezzi attraverso cui si esprime. Questo confronto stimola una riflessione che consente alla filosofia di riconoscere i propri limiti, la propria fallibilità, e di evitare le trappole insidiose di ideologie rigide e posizioni metafisiche dogmatiche. Il testo pone l’accento sull’importanza di una filosofia capace di rimettere continuamente in discussione sé stessa, aperta al dialogo e alla revisione critica delle proprie convinzioni. Solo attraverso questo esercizio di autocritica, resa possibile anche grazie alla vicinanza con il linguaggio letterario, la filosofia può aspirare a una maggiore persuasività e a una comprensione più profonda, in quanto essa stessa accetta di essere discussa, di non possedere verità assolute e di essere sempre in divenire. Questo atteggiamento critico diventa quindi il mezzo con cui la filosofia può abbracciare una dimensione più dinamica e plastica, che la renda più autentica e attuale nel suo dialogo con il mondo.
(28 agosto 2024)