Nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario della morte di Julius Evola (19 maggio 1989-11 giugno 1974), l’editore Bietti di Milano ne ha messo in stampa un’imponente biografia, di oltre ottocento pagine, a firma di Andrea Scarabelli, filosofo di formazione, direttore editoriale della fortunata collana l’Archeometro e attuale segretario della Fondazione Julius Evola – l’ente, presieduto da Gianfranco de Turris, costituitosi col benestare dello stesso Evola il 5 maggio 1974 per assicurare una continuità alla produzione evoliana e progettarne un’edizione nazionale.
Il volume, nato dall’esame di una cospicua mole di documenti, archivi e volumi, si compone di un prologo e dieci densi capitoli, arricchiti da un centinaio di illustrazioni. Nell’introduzione, Scarabelli ammette che il testo da lui licenziato forse non sarebbe piaciuto a Evola, perché in contraddizione con la volontà – espressa dal tradizionalista romano nella sua autobiografia spirituale Il cammino del cinabro (Scheiwiller, Milano 1963) – di marginalizzare gli aspetti contingenti della propria vita, in nome della continuità di un percorso ideale assoluto e impersonale. Scarabelli prova al contrario a “drammatizzare un pensiero in divenire, in sincrono con le contingenze del periodo” (p. 10) partendo da un assunto difficile da contestare: metastorico o metafisico quanto si voglia, il pensiero di Evola ha “scommesso” sulla Storia, facendosi promotore di un’intensa iniziativa culturale e politica a misura del proprio tempo.
Senza venir meno alle proprie premesse, Scarabelli sente tuttavia la necessità di offrire al lettore una “rotta” prima di affidarlo alla corrente delle circa seicento pagine di testo (e alle rimanenti duecento di apparati) che scorrono rapide (e ripide!) sotto le dita, merito della felicità di scrittura che l’autore ha in dote. Il Prologo: 21 gennaio 1945 si apre così con una domanda di senso: «Dov’è il mio monocolo?». Sì, perché il monocolo – inforcato da Evola come segno di distinzione aristocratico e antidemocratico, anche in polemica con certe ascendenze plebee del fascismo – allude a ben altro. Rimasto semiparalizzato in seguito al bombardamento su Vienna, il filosofo si domanda quale sia il senso di quell’avvenimento (il che equivale per lui a ricordare quando ha “voluto” quel che gli è accaduto) sforzandosi di ottenere la propria guarigione in virtù di un atto anamnestico.
Il primo capitolo, La prima vita di Julius Evola (1898-1922), smentisce una serie di “sentiti dire” e “luoghi comini” circolati per decenni. Giulio Cesare Evola nasce a Roma, in via della Seggiola 13 (rione Regola), secondogenito di tre fratelli, da una famiglia di modeste condizioni: Il padre, capo d’officina, la madre, impiegata in un ufficio postale. Nessuna traccia del terzo nome Andrea, sovente attribuitogli, né di quarti di nobiltà. Già dagli anni Dieci, però, Evola si lascia chiamare Barone (e disegnerà persino l’araldica del proprio casato) forse per una blague avanguardista, ma anche per accreditarsi presso alcuni circuiti nobiliari di marca austro-tedesca frequentati tra le due guerre. Subisce il fascino di Papini, come tutta la sua generazione, e inizia a dipingere allo scoppio della prima guerra mondiale – a cui offrirà il suo contributo come ufficiale di complemento; dapprima futurista, animerà chiassosamente la scena dadaista romana, fino a consumare quello che lui stesso definì il proprio “suicidio metafisico”.
Filosofia, esoterismo e politica (1923-1926) traccia un bilancio delle frequentazioni avute dal giovane Evola negli ambienti esoterici romani, la Lega Teosofica Indipendente di via Gregoriana, i circoli kremmerziani, ma soprattutto l’incontro-scontro con Arturo Reghini, direttore della rivista «Atanòr» che lo introduce all’opera di Guénon. Evola, che ha interrotto gli studi universitari in ingegneria, si dedica al giornalismo freelance approdando alle colonne del quotidiano antifascista (!) «Il Mondo», diretto da Giovanni Amendola – il quotidiano su cui sarebbe apparso il manifesto crociano degli intellettuali antifascisti (!). Nel 1925 escono i Saggi sull’idealismo magico, una critica all’idealismo gentiliano, incapace di realizzare nella pratica quell’assolutezza dell’Io che esso celebrava in sede teorica. Faranno seguito una Teoria e una Fenomenologia dell’Individuo assoluto (1927 e 1930), esposizione compiuta del suo sistema filosofico. Tra le varie relazioni amorose avute in quegli anni, ne intreccia una con la scrittrice Sibilla Aleramo che in Amo, dunque sono (1927) gli attribuirà le sembianze misogine di Bruno Tellegra.
Il capitolo terzo, Cronache di un anno fatidico (1927-1929), ripercorre l’avventura di «Ur», la rivista nata dall’iniziativa di Evola, Reghini e Giulio Parise per offrire ai cultori delle “scienze dello spirito” una rassegna di metodi, tecniche e discipline magiche (tra cui le famose “catene” che turbarono anche il sonno di Mussolini), cronache di esperienze vissute dagli operatori, documenti sapienziali rari d’Oriente e Occidente, e infine veri e propri “fenomeni di frontiera”. Intanto infuria la polemica, fomentata dal massone Reghini, con gli ambienti cattolici che stigmatizzano l’operato della rivista, polemica nella quale Evola si getta a corpo libero licenziando nel 1928 Imperialismo pagano in cui esalta la “tradizione mediterranea” contro il pericolo “euro-cristiano”. La lite con Reghini, che pur avendo eterodiretto la bagarre accusa Evola di “plagio”, porta alla chiusura di «Ur». Una ventina di giorni prima della stipula dei Patti Lateranensi, Evola lancia la nuova rivista «Krur».
Si apre un periodo di Interregno (1930-1934). Sorvegliato dall’OVRA, Evola – che non prenderà mai la tessera del Partito Nazionale Fascista (si ridurrà a chiederla, senza successo, nel 1941 per poter partecipare alla Campagna di Russia col suo grado di ufficiale) – inaugura «La Torre» proponendosi di esercitare una influenza sulle correnti politiche e culturali del tempo. Dopo soli dieci numeri, l’esperienza chiude i battenti non prima però che Evola abbia subito le aggressioni degli squadristi, da lui irrisi, tanto da guadagnarsi la fama di “antifascista” presso la Questura. Nel 1931 esce per l’editore Laterza, grazie ai “buoni uffici” di Benedetto Croce, La tradizione ermetica. Evola si apre a nuovi orizzonti e si infittiscono le sue relazioni col mondo mitteleuropeo e germanofono, in un connubio tra tradizione mediterranea e imperialismo polare che trova in Vienna e Capri, “l’isola pagana”, il suo asse magico. Nel 1934 esce per Hoepli Rivolta contro il mondo moderno “grandiosa morfologia della storia e della civiltà” (p. 269) che vale al Nostro l’appellativo di “Spengler italiano”.
Nel quinto capitolo, Un Ordine segreto europeo (1935-1939), Scarabelli ricorda che mentre in Italia si comincia a elaborare una dottrina della razza, “il Nostro si oppone all’antisemitismo più paranoico, che vede nell’ebreo l’origine di tutti i mali del mondo” (p. 307). Come corrispondente del «Regime Fascista» di Farinacci incontrerà a Bucarest Corneliu Zelea Codreanu, il carismatico “capitano” della Guardia di Ferro romena. Nel corso dei suoi soggiorni in Germania entrerà in contatto con gli ambienti dell’Ahnenerbe, la sezione esoterica delle SS di Heinrich Himmler. Sogna un ordine segreto europeo che si faccia interprete di quell’“imperialismo ghibellino” di cui ha composto la mitopoiesi ne Il mistero del Graal e la tradizione ghibellina dell’Impero (1937). Al netto delle affinità culturali, Evola contesta la vocazione populista e bolscevica del nazionalsocialismo, il suo razzismo biologico e materialista, condividendo la critica che i rivoluzionar-conservatori fanno dell’hitlerismo “da destra”. Alla proletaria Berlino preferirà sempre l’aristocratica Vienna.
Con Fine di un mondo (1940-1943) Scarabelli ci introduce negli anni del conflitto che corrispondono, per il filosofo, ai primi riconoscimenti da parte del regime fascista. Benito Mussolini incontra Evola a Palazzo Venezia rimanendo conquistato da Sintesi di dottrina della razza (1941), in cui il pensatore tradizionalista espone i principi della sua teoria spirituale delle razze, una concezione gerarchica dello Stato più vicina a Platone che al razzismo di Interlandi e Almirante («La difesa della Razza») e di «Civiltà Cattolica» (!). A chiosa del fuoco incrociato che si scatena sul filosofo, Scarabelli riporta queste righe, indirizzate nel 1942 da un giovane e insospettabile Italo Calvino a un ancor più giovane e altrettanto insospettabile Eugenio Scalfari, futuro direttore di «Repubblica», allora firma di «Roma fascista»: «dimmi quel che sai e quel che pensi di Evola e delle sue balle del pensiero ariano» (p. 386). Nel 1943 spedisce a Laterza le ultime bozze de La dottrina del risveglio in cui elabora una concezione virile e guerriera del buddismo.
Da un’Italia all’altra (1943-1948) ricostruisce le vicende che seguono alla caduta del regime. Insieme a Pavolini e Farinacci, Evola raggiunge Rastenburg, il nascondiglio di Hitler, dove anche Mussolini viene condotto dopo essere stato liberato dalla prigionia del Gran Sasso. È l’inizio della Repubblica Sociale Italiana. Evola, che continua a professarsi monarchico, apprezza il combattentismo repubblichino ma non ne condivide lo spirito né l’ideologia. Rientrato a Roma, collabora con il servizio di sicurezza delle SS e sfugge all’arresto del controspionaggio americano. Risale lo stivale e raggiunge Vienna dove domenica 21 gennaio 1945 il suo fato si compie: mentre i B-17 americani infuriano sulla capitale asburgica, Evola esce di casa – che verrà rasa al suolo – e lo spostamento d’aria provocato da una bomba lo scaglia contro la statua di Schwarzenberg. Ricoverato in una clinica viennese, ancora in grado di camminare, sarà sottoposto a vari ricoveri, in diverse località, nel corso dei quali le sue condizioni peggioreranno fino alla paralisi quasi completa agli arti inferiori.
Nell’ottavo capitolo, Vacanze forzate (1949-1958), Evola, appena rientrato a Roma, viene arrestato con l’accusa di essere l’ideologo dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria, responsabili di una serie di attentati nella capitale e a Milano. In aula si difende dell’accusa di “apologia di fascismo” facendo osservare che se “monocrazia”, “gerarchia” e “aristocrazia” sono idee fasciste, allora Aristotele, Platone, Dante sarebbero da considerarsi illustri coimputati… Il reato è amnistiato e il processo si chiude. Riallaccia nel frattempo rapporti, non sempre lineari, con gli intellettuali frequentati prima della guerra, tra cui Eliade, Schmitt, Jünger. In Gli uomini e le rovine rivendica posizioni antidemocratiche e reazionarie, “termine tabù come pochi, tanto a destra quanto a sinistra” (p. 483). Nel novembre del ’53 si stabilisce definitivamente a Roma, nell’appartamento di Corso Vittorio 187, a cui faranno visita negli anni a venire decine di giovani e intellettuali di destra. Nel 1958 pubblica Metafisica del sesso, il suo libro tuttora più letto sia in Italia che all’estero.
La seconda vita di Julius Evola (1959-1968) inizia con Evola che, dopo aver pubblicato saggi con Laterza e Hoepli, ora fatica a trovare un editore per Cavalcare la tigre, il libro per l’“uomo differenziato”, custode dei principi della Tradizione nell’età oscura del Kali Yuga. Sarà l’anticonformista Scheiwiller a spezzare la “congiura del silenzio” e a eludere “il cordone sanitario democratico” che circonda il filosofo romano. Mentre riemerge il suo passato di pittore, e si impone un bilancio critico del fascismo, prosegue un’intensa attività in ambito editoriale, in veste di consulente, curatore e traduttore per le edizioni Mediterranee. Negli anni Sessanta Evola si accredita come guru dei giovani missini dell’ala spiritualista. Nasce a Genova il Centro di Studi Evoliani fondato da Renato Del Ponte, che promuove il pensiero evoliano con monografie, articoli e conferenze. Sempre Del Ponte dà vita alla rivista di studi tradizionali «Arthos», a cui si affianca la casa editrice Arktos di Giovanni Oggero – entrambe le iniziative editoriali sono tuttora in attività.
Con Finis Coronat Opus (1969-1974) Scarabelli accompagna gli ultimi anni di vita del filosofo. Colpito da un edema polmonare nel 1971, Evola vede aggravarsi le sue condizioni di salute. Dopo la morte della madre, a occuparsi di lui è Maria Antonietta Fiumara. È lei a accompagnarlo alla sua scrivania martedì 11 giugno 1974. Mette mano alla macchina da scrivere, nel tentativo di comporre un’ultima riga. Poi china la testa. Solo un mese prima aveva compiuto settantasei anni. La volontà di vedere le proprie ceneri calate in un crepaccio sul versante italiano del Monte Rosa che guarda al Lyskamm, si compie grazie a Pierre Pascal, Eugenio David, compagno di scalate del filosofo, i fratelli Squinobal e Renato Del Ponte. “La valle è coperta da un enorme mare di nubi ed il tramonto è magnifico. Julius Evola, come ha voluto, riposa nei ghiacci eterni!” (p. 589).
In Vita avventurosa di Julius Evola. Una biografia Scarabelli ha puntualmente ricostruito la vicenda del “cattivo maestro” della Destra tradizionale, inserendo il fatto biografico in ampie campiture storiche e filosofiche. Il volume, oltre ad essere uno strumento prezioso per gli studiosi del pensiero evoliano e un contributo di sicuro interesse per chiunque ambisca a conoscere lo spaccato di un’epoca e i suoi retroscena, risponde in pieno a un’esigenza che data ormai da diversi decenni: quella di disporre di una biografia di Evola che fosse critica – scientifica nel rigore e nel metodo – e non “mitologizzante”, ma appunto per questo nemmeno demonizzante. Non ultimo, il bel lavoro di Scarabelli dimostra che una vita e la sua biografia contengono in sé molta più avventura di quanta possa risultare dalla superficie apparentemente inscalfibile del pensiero più adamantino.
(10 gennaio 2025)