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50. Recensione a: Roberto Terzi, Evento e genesi. Heidegger e il problema di una cosmologia fenomenologica, Mimesis, Milano 2016, pp. 400. (Diego D’Angelo)

Con la sua seconda monografia (dopo Il tempo del mondo. Husserl, Heidegger e Patočka, uscita per Rubbettino nel 2009), Roberto Terzi da un lato conferma e dall’altro restringe il campo della sua indagine. Se il primo volume, infatti, metteva in dialogo tre figure cardine del pensiero novecentesco, il saggio che verrà discusso si concentra in maniera pressoché esclusiva sul pensiero di Martin Heidegger. Inoltre, il concetto di tempo, che là costituiva l’orizzonte a partire dal quale analizzare il problema del mondo, risulta qui essere lasciato fuori questione. Invece, l’interesse dell’autore si concentra quasi esclusivamente sul tema del mondo, confermando così il nucleo centrale attorno a cui ruota la riflessione di Terzi. Un’apertura si può però notare proprio in relazione al modo in cui il tema del mondo è affrontato: soprattutto il concetto di “genesi” porta all’elaborazione di quella che si potrebbe chiamare una “genealogia del mondo”, cioè ad una genealogia cosmologica. L’esplicitazione delle strutture di tale genealogia cosmologica costituisce il fulcro concettuale di quest’opera.
Si tratta, come dice l’autore stesso, di mettere in luce, in questo modo, alcune strutture “impensate” (p. 383) della filosofia heideggeriana. Chiaramente, il concetto di genesi, di matrice husserliana, non gioca per Heidegger un ruolo centrale, e anche il concetto di “cosmologia” sembra più essere erede della speculazione di Eugen Fink. Ma è proprio questa lettura decostruttiva (se si può chiamarla così), a costituire l’elemento innovatore del presente volume. Il risultato è l’elaborazione di un “rapporto circolare e abissale […] tra io, mondo, essere e genesi, tra ontologia, cosmologia e genealogia, tra genesi, origine e trascendentale” (p. 382).
Questa direzione di ricerca viene sviluppata in una serie di analisi oltremodo dettagliate di alcuni testi heideggeriani che ruotano attorno al concetto di mondo. Inizialmente, suggerisce l’autore, Heidegger si muove lungo le linee di una descrizione fenomenologica del mondo, soprattutto nei testi degli anni ’20. A partire dalle lezioni del Kriegsnotsemester del 1919 la problematica della mondità del mondo e del suo “mondeggiare” (die Welt weltet) viene in messa in luce con pregnanza. D’altra parte, in particolare dopo Essere e tempo, il mondo “regna” (waltet): nel momento in cui il concetto di “evento” diviene una figura centrale nel pensiero heideggeriano, l’essenza del mondo (ossia il modo in cui questo attivamente e dinamicamente si mostra) viene concepito come un regnare (in particolare, ci si riferisce qui al corso di lezioni del 1929/1930 Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – Finitezza – Solitudine). Il mondo si fa mondo (mondeggia) in modo storico, cioè nella dinamica di un divenire. Esso “accade di volta in volta in diverse figure storiche” (p. 24). La formula tautologica (il mondo che mondeggia, il mondo che si fa mondo) non è dunque vuota, ma indica che il mondo non è nulla al di là del suo farsi storico e costituisce l’autentico luogo del trascendentale (pp. 25-26, cfr. pp. 51-52, dove l’idea del mondo come luogo del trascendentale viene fatto valere già per il primo Heidegger). La prima parte del testo di Terzi è interamente concentrata su questa disamina, di fatto interamente immanente, di testi heideggeriani, seguendo il principio di fornire “un’interpretazione fenomenologica del pensiero di Heidegger” (p. 18) giustamente e lodevolmente lontana da qualunque “mimetismo della scrittura heideggeriana” stessa (p. 19). Questa interpretazione segue, come già detto, l’idea di una cosmologia fenomenologica (p. 21).
Il passaggio dalla prima alla seconda sezione del volume rappresenta dunque anche il passaggio da una prospettiva di rilettura immanente (anche se fortunatamente non per questo anche stilisticamente aderente) ad Heidegger stesso ad un’interpretazione originale e dotata di una propria forza teoretica. Una volta mostrato che il mondo è essenzialmente il suo “farsi mondo”, cioè che il mondo sorge in diverse figure storiche, il passo genuinamente creativo dell’autore consiste nel chiedersi come funzioni, fenomenologicamente, questo “sorgere”. Per questo egli ricorre al concetto di genesi: si tratta di descrivere da un lato la “genesi del mondo in quanto tale nella sua correlazione con l’io” (p. 220, e all’idea di correlazione si tiene senz’altro fermo fino alla fine del libro, cfr. p. 380), e dall’altro la “genesi delle differenti figure di mondo”, un discorso che è assente dai testi dello stesso Heidegger. “L’apertura del mondo è già sempre presupposta, senza essere mai indagata nella sua costituzione, nel suo divenire ovvero nella sua origine trascendentale” (p. 27). Effettivamente è in questa seconda parte che il contenuto più originale viene presentato dall’autore, e dunque in questa recensione ci focalizzeremo su di essa. È infatti e innanzitutto evidente che mettere l’accento sul mondo e sulla sua trascendentalità ammonta ad un rifiuto di qualunque lettura soggettivistica di Heidegger. Il mondo è il luogo della trascendentalità e della fenomenicità (p. 221), e non il soggetto. Si può dunque ancora parlare di correlazione, sembra implicare l’autore, solo a patto di uno spostamento d’accento, che non cade dal lato del soggetto come soggetto costituente, ma del mondo come costituentesi (o, forse meglio, generantesi). Il mondo viene prima: dal punto di vista cosmologico, l’indagine consiste non nello spiegare come l’esserci trascenda il suo essere verso il mondo, ma come si possa “tornare all’esserci a partire dal punto di vista del mondo” (p. 225).
Il soggetto visto dal punto di vista del mondo, o – per dirla diversamente – il soggetto come mondo, è il corpo. Esso soprattutto è parte del mondo, come avrebbe poi detto anche Maurice Merleau-Ponty. “L’iscrizione effettiva dell’esserci nel mondo” è impensabile senza corpo (p. 229), il quale – come si sa – costituisce uno dei punti più classici dell’“impensato” heideggeriano. Terzi si concentra dunque sul corpo (e sul suo concetto correlativo, la terra, die Erde) come “condizioni dell’istituzione di ogni mondo storico e dunque dell’accadere di ogni significato” (p. 236).
Ma la proposta dell’autore è ancora più radicale. Non solo bisogna invertire i termini di qualsiasi lettura soggettivistica di Heidegger, dando un primato al mondo sull’esserci, ma la cosmologia diviene prima philosophia in quanto l’ontologia stessa è possibile solo all’interno della cosmologia. Ossia, la questione dell’essere (vero motore della filosofia heideggeriana) va dispiegata all’interno della questione del mondo (p. 264). Questo passaggio, tuttavia, ci pare azzardato, poiché dire che l’ontologia va esplicata all’interno della cosmologia significa dire che non c’è essere senza mondo, ossia che il mondo non è essere, non è. E questo, ovviamente, non nel senso triviale che non sia un ente, ma nel senso heideggeriano di essere al di là di ogni possibile rapportarsi a qualcosa (sich verhalten zu etwas). Questo sarebbe anche sostenibile, dato che l’autore cerca dichiaratamente di veder sorgere la correlazione stessa, ossia il “rapportarsi” stesso e il manifestarsi del fenomeno, per cui diventa impossibile anteporre la correlazione al tentativo di vederla sorgere. Ciononostante, presupporre un mondo senza essere richiederebbe almeno un’analisi approfondita del concetto di nulla (nichts) e del rapporto col concetto di “caos” nelle lezioni su Nietzsche, un confronto che però non ha luogo nel testo. Rimane così enigmatico come pensare davvero un carattere non-ontologico del mondo; allo stesso modo, rimane fuori questione il problema, se il primato della cosmologia sia davvero mostrabile fenomenologicalmente o non rimanga, piuttosto, un’idea di difficile realizzazione.
Dopo questa disamina dal punto di vista cosmologico, comunque, Terzi si rivolge appunto alla questione della genesi, che è prima di tutto genesi del mondo e del suo rapporto con l’esserci (meglio si direbbe però a questo punto “genesi del mondo e dell’esserci al suo interno”). In apertura di questo quinto e ultimo lavoro, due note (pp. 292-293) mettono le carte in tavola: ciò che seguirà è debitore in particolare a Jacques Derrida e a Carlo Sini – due figure a cui non si poteva non pensare già nel momento in cui l’autore si chiedeva, nelle prime pagine del libro, da dove sorgesse l’apertura del mondo. E, mi pare, è in particolare la genealogia delle pratiche di Carlo Sini a fornire qua la matrice metodologica a partire dalla quale si sviluppa l’interrogazione.
Il tema delle genesi viene analizzato lungo quattro assi. Da un lato, la questione della genesi dall’io, dall’altro il problema del rapporto tra linguaggio e mondo; in terzo luogo, l’autore confronta mondo umano e mondo animale; in quarto luogo, si tratta di mostrare la genesi del mondo storico analizzando il rapporto tra mito e filosofia. A fronte dei risultati raggiunti in queste analisi, la genesi delle categorie filosofiche, la genesi dell’atteggiamento scientifico e il tema della “storia dell’essere” heideggeriana vengono brevemente trattati.
Una critica ci pare qui necessaria. Alla luce della sterminata letteratura su Heidegger di antica e recente memoria, e non da ultimo anche dato l’estremo interesse che il concetto di mondo ha suscitato, si può dire a ragion veduta che discussioni e analisi dei testi heideggeriani non sono mancate. Le analisi di Terzi si distinguono certo per chiarezza concettuale e profondità d’analisi, nonché per il lodevole e riuscito tentativo di discutere e interpretare Heidegger senza scimmiottarlo – essendo, questo scimmiottamento, un flagello di immani proporzioni che affligge buona parte della ricerca contemporanea sul filosofo di Meßkirch. Al di là però di questi innegabili meriti, la parte più feconda e originale della trattazione inizia a dispiegarsi proprio con il quinto capitolo e con l’introduzione esplicita e tematica del concetto di genesi. Il risultato è che meno di un quarto del libro è di fatto dedicato all’apporto teoretico veramente originale. Inoltre, queste ultime pagine promettono troppo e mantengono poco. Come mostrato, l’autore affronta molti temi differenti (genesi della scienza, del mondo storico, dell’io…) in relativamente poco spazio, contentandosi sostanzialmente di puntare il dito su possibili temi d’indagine. Temi che ci paiono estremamente fruttuosi, e il suo interesse è certamente aumentato proprio dal tentativo di integrare il concetto di genesi nella filosofia heideggeriana soprattutto alla luce della domanda “come si genera l’apertura al e del mondo?” Ma questa linea di ricerca è più suggerita che perseguita con concrete analisi fenomenologiche.
Com’è evidente, sviluppare una proposta teoretica che reinserisce una struttura concettuale potente (come l’idea di genesi) all’interno di una impostazione filosofica altrettanto potente come quella heideggeriana, promette conclusioni di notevole portata sistematica. Rimane pertanto da augurarsi che all’autore riesca, in opere successive, di mantenere l’eleganza, la sobrietà e la chiarezza (doti oggi rarissime) dispiegate nell’analisi immanente e di coniugare queste doti ad una dose sostanziale di coraggio teoretico che lo porti ad esprimere tesi nuove e personali. Se si tratta di un lavoro preliminare ad un’opera teoretica autonoma, Evento e genesi promette grandi cose.

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