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76. Recensione a: J.-P. Sartre, L’età della ragione, trad. it. di O. Vergani riv. da P.M. Bonora, premessa di P. Caruso, Bompiani, Milano 2017, pp. 363. (Federico Tinnirello)


La filosofia deve sempre parlare della libertà. Questa è la convinzione che muove Jean-Paul Sartre a scrivere una trilogia di romanzi, denominata I Cammini della libertà, che si propongono di costruire un’analisi filosofica del problema della libertà. L’età della ragione, pubblicato nel 1945, costituisce il primo romanzo di questa trilogia, e la sua centralità e profondità filosofica nell’itinerario sartriano costituisce il transito definitivo verso la filosofia esistenzialista.
Sarte non era nuovo alla produzione letteraria, già nel 1938 aveva pubblicato La Nausea e Il muro, nei quali il filosofo francese aveva enucleato le sue iniziali riflessioni sulla libertà e la contingenza. Questo romanzo, invece, non costituisce più un inizio, ma la piena maturazione di un pensiero «per il proprio tempo» (Ortega y Gasset).
Sartre, all’interno di questo romanzo, sviluppa filosoficamente il nesso fra “situazione” (termine tecnico del pensiero di Sartre) e libertà in cui i vari personaggi si trovano – come ogni uomo – imprigionati, e da cui devono cercare di scappare non risolvendo la situazione, cosa di per sé impossibile, quanto piuttosto cercando di viverla immergendosi in essa.
Sergio Moravia spiega questo concetto affermando che «la situazione designa il complesso dei dati e delle strutture che condizionano l’uomo in quanto soggetto agente» (Introduzione a Sartre, Laterza, Roma-Bari 1983, p. 78). L’uomo è la sua situazione, e l’esercizio della libertà è proprio questa trasformazione della situazione nella contingenza della propria esistenza; come dirà meglio Sartre ne L’essere e il nulla, «non c’è libertà che in una situazione e non c’è situazione che mediante libertà» (L’essere e il nulla, il Saggiatore, Milano 2008, p. 560).
Sartre, nella narrazione, si concentra sulla problematizzazione dei personaggi, mettendone in evidenza stati d’animo, impressioni e riflessioni su sé stessi e su ciò che li circonda, oltre a mettere in risalto le relazioni interne fra di essi. Il romanzo, dunque, non può essere ridotto a puro testo “psicologico”, non per un disinteresse dell’autore per la disciplina in sé (ricordiamo dei testi di psicologia pubblicati da Sartre negli anni ’30, L’Immaginazione e Idee per una teoria delle emozioni), quanto per l’innovativo uso della fenomenologia husserliana all’interno di una produzione letteraria.
Nella filosofia sartriana è impossibile scindere la riflessione sulla libertà dalla fenomenologia: la preoccupazione per tematiche esistenziali e per la libertà come proprium dell’uomo deriva dallo studio della filosofia di Husserl, che Sartre aveva approfondito durante un soggiorno a Berlino nel 1934, oltre che da suggestioni schellinghiane. Sartre ha compiuto un’operazione filosofica di prim’ordine riguardo al problema della libertà e questo romanzo ne è una testimonianza emblematica.
Il filosofo francese ha spostato il problema della libertà, che a partire da Kant era divenuto un problema concettuale, dalla dimensione del trascendentale a quella dell’esistenza, concezione che troverà una sua sistematizzazione filosofica nel saggio L’essere e il nulla, pubblicato da Sartre nel 1943 e scritto in contemporanea con questo romanzo; questo denota, nella riflessione sartriana, un’inesauribile connessione fra letteratura e filosofia.
Tutti i personaggi, che Sartre non delinea con tratti precisi, ma che modella nel corso dell’intreccio attraverso l’analisi e il racconto delle loro vicende quotidiane, fanno emergere la complessità delle situazioni in cui sono immersi. Essi vivono in un contesto di crisi, non esistenziale, ma storica e biografica, attori di una tragedia pienamente realizzata.
Il protagonista è Mathieu Delarue, professore di filosofia trentaquattrenne e alter ego dello stesso Sartre, uomo che vuole essere pienamente libero, colui che «si era detto: sarò un uomo libero, o meglio, non si era detto niente, ma era questo che voleva dire ed era una sfida» (p. 69), una sfida che travolgerà sé stesso e gli altri.
Ma il professore è messo a dura prova dalla gravidanza inaspettata dell’amante Marcelle, ed è lì che la libertà di Mathieu viene messa alla prova, dove la sua situazione emerge come tragicità dell’esistenza e dove la contraddizione non può rimanere insoluta, ma deve trovare una risoluzione.
È questo il significato del titolo del romanzo: «l’età della ragione» è la coappartenenza di libertà e responsabilità, che non è pura necessità, come si usa dire citando la famosa frase sartriana della condanna dell’uomo alla libertà.
Mathieu, nel corso del romanzo, si trova a dover ridiscutere i propri principi di libertà, a rivedere la sua biografia e il suo esser uomo: non si tratta più di poter dire «esser libero. Essere causa di sé stessi, poter dire: io sono perché lo voglio; essere l’inizio di me stesso» (p. 69).
È questa la transizione verso l’engagement, verso un intellettuale che esercita la libertà come esercizio del dubbio per potersi impegnare nella vita sociale e pubblica. In questo romanzo è lo stesso Sartre che si rimette in discussione, la sua non è più un’«estetica di posizione», ma diventa la presa di coscienza di un’attiva partecipazione politica alle vicende del proprio tempo.
Il personaggio che scuote le convinzioni di Mathieu durante un dialogo è Brunet, il quale tenta di convincere il protagonista ad iscriversi al Partito Comunista Francese, attraverso cui Mathieu potrebbe entrare pienamente nella trama della storia, perché «è un rischio che uno si assume. Ormai nulla può togliere alla mia vita il suo significato, nulla può impedirle di essere un destino» (p. 150).
Solo rinunciando alla libertà, come mancanza di posizioni, la propria vita può assumere un senso che sia radicato pienamente nella storia, una vita che sia la trama di un destino che ognuno di noi si costruisce; in questo si realizza la propria libertà: nell’essere ognuno la propria biografia, la propria storia e non nella conservazione della libertà come assoluta indecisione.
Si tratta per Mathieu di un ripensamento totale, in cui «la mia libertà? Mi pesa: sono anni che sono libero invano. Muoio dalla voglia di barattarla una volta per sempre con una certezza» (p. 152); l’intero romanzo è un percorso verso questa certezza che sarà la presa di coscienza di essere nell’«età della ragione»: il riconoscimento dei suoi torti, dei suoi sbagli e la conversione ad una rinuncia alla sua libertà per la responsabilità verso il mondo e verso gli altri.
Gli altri personaggi non giungono all’«età della ragione», come i due fratelli Boris e Ivich, il primo allievo di Mathieu e la seconda studentessa di medicina, entrambi affascinati dal giovane professore di filosofia e ancora ancorati a posizioni nichilistiche. I due fratelli ancora immaturi e indecisi sul proprio destino si perdono in amori confusi come quello di Boris per Lola, cantante blues, e il fugace bacio di Mathieu a Ivich, finché i due decideranno di non vedersi più.
I co-protagonisti insieme a Mathieu sono Marcelle e Daniel, i cui destini sono intrecciati in una relazione fra i due, che Mathieu scoprirà alla fine del libro. L’intreccio di esistenze è provocato dalle insoddisfazioni delle proprie situazioni, e la lontananza di questi due personaggi dell’età della ragione è l’assenza della messa in discussione della loro personalità.
Daniel sposa Marcelle «perché le sono amico» (p. 358), dirà, e non per vero amore, e Marcelle, incapace di una decisione definitiva per la sua vita, caccia via Mathieu dalla sua esistenza per continuare a essere anche lei libera. Sono personaggi incompleti, che Sartre non definisce, facendo emergere come risposta al senso dell’esistenza una vacuità che non può essere sconfitta.
Il confronto con Antoine Roquetin, protagonista della Nausea, è obbligato. La nausea affligge ancora l’animo di questi personaggi che, mancando la loro responsabilità verso gli altri e verso la storia, si lasciano consumare da quel senso di annichilimento che travolge la loro esistenza in un puro vortice privo di senso.
L’«età della ragione» è l’acquisto di senso della propria vita, l’appropriazione di sé dopo aver sconfitto l’estraneità di sé stessi, quel sentirsi «svuotato: c’era dinnanzi a lui un’immensa collera, una collera disperata, egli la vedeva, avrebbe potuto toccarla» (p. 141).
È la presa di posizione netta di fronte alla storia l’unica forma di superamento della collera che Mathieu prova dopo il bombardamento di Valencia da parte dei franchisti, ogni esistenza è una guerra tragica con la propria situazione perché ogni individuo è «responsabile della guerra come se l’avessi dichiarata io, non potendo vivere nulla senza integrarlo nella mia situazione, impegnarmi completamente in essa e lasciarle la mia impronta, devo essere senza rimorsi né rimpianti come sono senza scuse, perché dal momento del mio nascere all’essere, porto il peso del mondo da solo, senza che nulla né alcuno possa alleggerirlo» (L’essere e il nulla, pp. 630-631).
Mathieu, insieme agli altri protagonisti del romanzo, non può più dire «io non posso, io non c’entro, sto a Parigi» (p. 142), ma può e deve essere libero solo nell’esercizio della responsabilità in relazione ai problemi che il proprio tempo gli pone davanti, perché solo così si può realizzare – con coraggio – un mondo giusto e diverso.

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