Sottoporre a indagine la vita quotidiana significa esporsi al rischio di una semplice ricognizione dei luoghi in cui essa si manifesta, perdendosi nella molteplicità delle cose e degli eventi che, senza un’apparente continuità, caratterizzano ciò che “incontriamo” e che decretiamo come “reale” nel vissuto di tutti i giorni. Non è questo il caso del bel libro di Enrica Lisciani-Petrini, docente di filosofia teoretica all’Università di Salerno, che, attraverso cinque capitoli, svela il paradosso di ogni ontologia della realtà in cui la descrizione risulti inseparabile dai criteri – mai logicamente “completi” – della sua razionalizzazione. In questo senso, Lisciani-Petrini adotta, per così dire, il procedimento freudiano di inversione dell’analisi come un metalinguaggio per introdurre il tema del “quotidiano”. Quest’ultimo si presenta infatti, in primo luogo, nelle diverse figure della follia: la vertigine anonima e impersonale del caso che attraversa la nostra vita (Büchner, Berg), l’estraneità sinistra ed enigmatica di ciò che è apparentemente disponibile e “banale” nel quotidiano (Schnitzler), lo sdoppiamento equivoco in cui si risolve il rapporto tra l’identità personale e la sua proiezione immaginaria (Kubrick) e, infine, la psicopatologia della vita quotidiana, assunta però ora come linguaggio-oggetto per raccontare il proprio “io” (Freud).
A quest’indagine dal basso, in cui i contrasti del quotidiano appaiono – per dirla con Jaspers – nel quadro dei “fenomeni soggettivi della vita psichica”, Lisciani-Petrini fa seguire una seconda parte in cui tali contrasti, vissuti come conflitti nella loro radicale insuperabilità, subiscono una trasposizione categoriale che ne consente non tanto una soluzione, ma un più riposto tentativo di comprensione, ad esempio attraverso il gergo heideggeriano dell’autenticità, oppure nella dimensione “critica” (Lukács e Lefebvre) o in quella sacrale (Klee, Debussy, Leiris). Ma è nell’ultima parte, dedicata alle “invenzioni del quotidiano”, che si realizza quel pensiero in atto contenuto nel sottotitolo del libro e volto a evidenziare come “la fine della vita eroica” costituisca il dipanarsi di ogni illusione riguardo ad ogni tentativo di rintracciare, a fondamento della realtà, una sfera ontologica di senso univocamente determinata. Riferendosi a Simmel, l’autrice osserva infatti che «la vita è un flusso che travolge ogni forma costituita, ma al contempo non può estrinsecarsi che nelle forme via via prodotte»; ne risulta che tali forme sono sì «logicamente autonome e atemporalmente valide, ma non più vitali e dalle sembianze vagamente mortifere». Questa fine delle illusioni rappresenta però solo il lato teoretico della fenomenologia della vita quotidiana, poiché la capacità inventiva, sebbene legata a un soggetto senza più identità, ne mette invece in risalto il complementare lato operativo, come dimensione virtuale di possibilità di esistenza che costituisce la condizione dell’alterità. Ma per comprendere il significato più profondo delle indagini sviluppate dall’autrice, non basta metterne in evidenza lo schema generale; occorre anzi entrare nel dettaglio dei molteplici riferimenti – non solo filosofici – che il testo presenta a sostegno della sua tesi di fondo.
In Vita quotidiana confluiscono temi di ricerca che Lisciani-Petrini ha costantemente indagato nel corso della sua ricca attività filosofica: dalla riflessione sul pensiero e sull’arte tra Ottocento e Novecento, all’indagine teoretica delle nozioni di “vita”, “morte”, “corpo”, “soggetto”, “identità”, “persona” e “impersonale”, motivi ora impiegati per individuare le qualità che definiscono la dimensione ordinaria del vivere. Si tratta di un ambito di esperienza che la tradizione filosofica tende spesso a trascurare, relegandolo nell’irrilevante, nell’ovvio e nel banale. A tal proposito, Lisciani-Petrini individua due atteggiamenti responsabili di questa rimozione: da un lato, la dimensione quotidiana della vita viene superata ed elevata alla vita dello spirito; dall’altro, essa viene accolta, ma immediatamente “purificata” dal suo carattere informe e inqualificabile. In controtendenza con l’impostazione del pensiero filosofico moderno, l’autrice intende mettere in discussione alcune tradizionali categorie di decifrazione della realtà vissuta, come quella di «soggetto individuale e personale» – punto nevralgico del libro – che, escludendo dalla riflessione tutto ciò che è materiale e corporeo, trasforma la realtà di tutti i giorni nel suo opposto, ossia in qualcosa di straordinario ed eroico.
Tale rovesciamento di prospettiva si verifica per la prima volta già in età moderna, con la nascita della metropoli e l’emergere di un nuovo soggetto, la folla anonima e impersonale. Sebbene la filosofia del Novecento abbia contribuito a mettere in evidenza alcuni caratteri della quotidianità, secondo Lisciani-Petrini è l’arte ad aver portato per la prima volta ad espressione la «dimensione materico-corporea» che caratterizza in modo emblematico il moderno ambiente metropolitano. Il carattere anticipatorio riconosciuto all’arte rispetto alla speculazione filosofico-teoretica fa sì che il libro segua un’andatura «volutamente non canonica» (p. 9). L’indagine prende quindi le mosse dalla descrizione di alcune opere d’arte, i cui principali risvolti filosofici sono discussi nell’ultimo paragrafo di ogni capitolo (1. Storie di quotidiana follia; 2. Inautenticità/autenticità; 3. Critica della vita quotidiana; 4. Il sacro nella vita quotidiana; 5. Invenzioni del quotidiano. La fine della vita eroica). «Del resto» – spiega Lisciani-Petrini – «è esattamente così che, nella vita di tutti i giorni, le cose avvengono: spesso è assistendo a un lavoro teatrale, guardando un film, leggendo un libro, ascoltando una musica, o osservando un quadro che ci sentiamo interpellati da un problema, investiti da una domanda, che solo in seguito il pensiero riflesso riuscirà a definire nei suoi contorni speculativi» (ibid.).
L’adozione di questa prospettiva incentrata sull’arte, cui si affianca la riflessione filosofica di Freud, Heidegger, Lukács, Lefebvre, Leiris, de Certeau, Blanchot e Foucault, si riflette, dunque, anche sulla struttura del libro. I capitoli che lo compongono hanno infatti l’obiettivo di realizzare un «pensiero in atto» che, svolgendosi a diretto contatto con l’esperienza artistica, riproduca il dinamismo della vita quotidiana. Nel complesso, l’argomentazione si sviluppa secondo un metodo che l’autrice definisce «simmeliano», volto cioè a «rompere e superare i tradizionali steccati disciplinari facendo interagire ambiti e parametri differenti», ma anche a «perlustrare fenomeni apparentemente di superficie, talora persino insignificanti, ma capaci di restituire in filigrana le interrelazioni e il volto di un’epoca» (ibid.). Attraverso l’intreccio di arte e filosofia, ogni parte del testo introduce nuove tematiche incentrate sulla vita quotidiana, dischiudendo un graduale percorso di emancipazione del pensiero dalle tradizionali opposizioni categoriali – come quella tra personale e impersonale, o autentico e inautentico – in direzione di una configurazione più adatta a cogliere i molteplici aspetti dell’esperienza vissuta.
Così impostato, il libro traccia un preciso «decorso genealogico», che mostra come il tema della vita quotidiana sia «dapprima emerso e poi sia andato gradualmente imponendosi» (p. 10). Tale tema diventa un esplicito oggetto d’indagine solo nel Novecento, in particolare con Freud, che esprime il bisogno di riflettere sulla normalità della vita quotidiana senza ricorrere a visioni ideali o a norme predefinite. Successivamente, anche Heidegger riconosce la necessaria appartenenza dell’uomo alla dimensione quotidiana, revocando la tradizionale opposizione tra «autenticità» e «inautenticità» che, almeno a livello di Essere e tempo, sembrava connotare negativamente il quotidiano. Sulla medesima lunghezza d’onda si pongono inoltre Lukács e Lefebvre, la cui «critica della vita quotidiana» enfatizza gli aspetti materiali e storici della realtà di tutti i giorni, in contrapposizione all’ideologia e allo stato di alienazione da essa alimentato, che fa talvolta coincidere l’immanenza della vita con il sacro. In tale contesto critico, emerge la figura intellettuale di Leiris, il quale coglie la vita quotidiana in se stessa, nei suoi aspetti più concreti e ordinari, senza sublimazioni trascendenti. A contribuire a questo rovesciamento di prospettiva sono, infine, de Certeau e – con un tono ancor più definitivo – Blanchot, che allude alla «fine dell’eroe» dischiudendo, così, la possibilità di cogliere le qualità positive della vita quotidiana mediante rilievi critici che, in ultima istanza, si ritrovano anche in Foucault, con la sua riflessione sulle cosiddette «vite senza fama».
Venendo al nucleo più teoretico del libro, per Lisciani-Petrini si tratta anzitutto d’indagare l’«inafferrabilità» e l’«inqualificabilità» della vita quotidiana. Tale operazione comporta – come detto – l’assunzione di una nuova prospettiva che muove «dal basso» e che permetta di comprendere il senso in cui la vita quotidiana moderna ha assorbito «ogni individuo nell’anonimato, nella massa della “folla”, corrodendo dall’interno il paradigma soggetto-persona» (p. 12). Come sottolinea l’autrice, l’aspetto nevralgico della categoria di soggetto, introdotta in età moderna da Locke, consiste nella separazione tra un piano personale e trascendente e uno impersonale ed immanente. È questa scissione ad aver innescato, infatti, un «processo di personalizzazione» sempre più radicale, per cui all’individuo moderno è subentrato, oggi, l’«individuo ipermoderno», chiuso nella propria autoreferenzialità a tal punto da compromettere ogni rapporto dialettico con l’Altro. Se la nozione moderna di soggetto esprimeva un contrasto dell’Io con la società, con lo Stato o con la Legge, il soggetto ipermoderno, invece, trasforma completamente l’alterità in un’istanza che minaccia di spersonalizzarlo. A partire da questo stato patologico, si tratta di formulare un diverso pensiero dell’impersonale, che, anziché esprimere un’istanza contrapposta al soggetto, espliciti la dimensione precategoriale che lo costituisce come tale (pp. 44-45, nota).
Nel primo capitolo, Storie di quotidiana follia, la riflessione sulla vita quotidiana è dunque introdotta dalla descrizione di alcune opere d’arte che riproducono la dimensione anonima e banale dell’uomo comune. In particolare, sono il Woyzeck di Büchner e il Wozzeck di Berg, il Doppio sogno di Schnitzler, e, infine, Eyes Wide Shut di Kubrick a sottolineare la ripetitività, l’ordinarietà e l’impersonalità di tale dimensione, focalizzandosi soprattutto sugli aspetti più ambigui della vita di tutti i giorni. Nell’ultimo paragrafo, la descrizione del carattere anonimo e impersonale della vita quotidiana è suggellata dal richiamo alle opere di Freud, in particolare dall’Interpretazione dei sogni e la Psicopatologia della vita quotidiana. Sebbene la psicoanalisi si serva della nozione di soggetto personale, l’attenzione per gli aspetti impersonali della quotidianità ne incrina i principali presupposti. Con Freud si verifica, infatti, un «rovesciamento prospettico ed ermeneutico», per cui a tutto ciò che fino ad allora era stato rimosso dalla riflessione scientifica e filosofica – come il sogno, inteso come un mero «processo somatico», frutto dell’indebolimento delle forze della veglia – viene riconosciuta una dimensione anonima che sfugge al controllo dell’identità personale soggettiva. In questo modo, diviene esplicito «non solo il dispositivo di separazione che è all’origine stessa della costituzione della persona, ma soprattutto quanto per converso questa sia inscindibilmente vincolata a quello sfondo da cui crede di emanciparsi» (p. 42).
Tale rilievo, da cui consegue un primo «decentramento» del soggetto tradizionalmente inteso, è reso possibile dall’osservazione del materiale della quotidianità, rimosso, censurato e infine dissimulato attraverso particolari «meccanismi psichici», resi espliciti da esperienze comuni come il sogno, il desiderio, la dimenticanza o l’errore. Nell’Interpretazione dei sogni Freud evidenzia, ad esempio, come il «contenuto onirico latente» del sogno sia rivestito da un «contenuto onirico manifesto», che trae i propri elementi dai fenomeni più insignificanti della vita quotidiana. È proprio nella realtà di tutti i giorni che si cela, dunque, il contenuto più significativo per comprendere i motivi che inducono l’Io a rimuovere ciò che è spiacevole e a rendere evidente, in ultima analisi, «che la nostra “persona” è alla lettera una maschera sotto la quale si nascondono, quasi sovrapposte le une alle altre, diverse figure dentro le quali la nostra individualità soggettiva si scompone e si frantuma, rompendo il perimetro della persona univoca che crediamo o pretendiamo di essere» (p. 46). Questi aspetti, che Freud sviluppa anche ne Il Perturbante, mettono dunque in rilievo la presenza di un sostrato impersonale che costituisce il soggetto personale e individuale e che diviene esplicito attraverso l’osservazione degli aspetti più familiari – e, per ciò stesso, perturbanti – della quotidianità.
Il doppio carattere della vita quotidiana è oggetto d’indagine del secondo capitolo, Inautenticità/autenticità. «Se c’è un mito duro a morire» – scrive Lisciani-Petrini – «è quello secondo il quale la vita sarebbe spaccata su due livelli e caratterizzata da una costitutiva doppiezza» (p. 54), e cioè dall’inautenticità della dimensione quotidiana, simbolo di alienazione, negatività e menzogna, da un lato, e dall’autenticità della «vita qualificata» in senso spirituale e trascendente, sinonimo invece di verità e di libertà da tutto ciò che è materiale, corporeo e finito. A mettere in discussione quest’opposizione sono ancora una volta gli artisti. Nella fattispecie, il riferimento è ai Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke, allo Spleen di Parigi di Baudelaire, ai drammi musicali di Schönberg, e, infine, a Sussurri e grida e Scene da un matrimonio di Bergman, opere accomunate dal fatto di sottolineare l’ambivalenza e la doppiezza della vita quotidiana, nonché la sua irriducibilità a uno dei poli della scissione. Ciò viene discusso anche da Heidegger, che, nei corsi friburghesi degli anni 1919-1923 – in particolare in Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele e in Ontologia. Ermeneutica dell’effettività – introduce la nozione di «effettività» (Faktizität) per esprimere la dimensione temporale e quotidiana che costituisce l’Esserci. Secondo Lisciani-Petrini, tale nozione corrisponde alla dimensione impersonale della vita quotidiana, la cui tematizzazione ha la caratteristica di rovesciare «in forme di improprietà (=inautenticità) ogni tentativo di accesso autentico ad essa» (p. 85). In altre parole, anziché sublimare l’ambivalenza della vita quotidiana in una nuova forma di autenticità, Heidegger coglie il carattere insuperabile dell’inautenticità nella dimensione quotidiana, riconoscimento che, tuttavia, tenderà ad indebolirsi nella fase più matura del suo pensiero, facendo spazio ad un linguaggio sempre più “eroicizzato”.
Nel terzo capitolo, Critica della vita quotidiana, Lisciani-Petrini adotta una nuova prospettiva, focalizzandosi sugli aspetti materiali della vita quotidiana. Il riferimento è, in questo caso, a Berlin Alexanderplatz di Döblin, alla fotografia di Grosz e ad Ascesa e rovina della città di Mahagonny di Brecht, alla cui osservazione segue, nell’ultimo paragrafo, il richiamo alle riflessioni di Lukács e di Lefebvre. Rilevante è anzitutto la posizione di Lukács, che, riprendendo la lezione vitalistica di Simmel e integrandola con la prospettiva materialistica di Marx, osserva come la causa dell’alienazione della vita moderna sia da rintracciare nella società capitalistica borghese. Benché l’attenzione riservata ai motivi storici e materiali dell’esistenza sia alla base di una nuova rappresentazione della quotidianità, l’allusione a una «grande forma» – la società comunista, contraddistinta dal lavoro non alienato e dal ruolo centrale svolto dall’arte e dalla scienza – comporta ancora una visione eroicizzata della vita, ora sublimata in un ideale trascendente. Anziché riconoscere la lezione di Heidegger, la prospettiva di Lukács è volta, perciò, a superare l’inautenticità del quotidiano in una nuova forma di autenticità. A questa impasse si sottrae, invece, Lefebvre che, criticando la tradizionale scissione tra un piano materiale e immanente e uno spirituale e trascendente, ricollega il soggetto personale alla dimensione «transindividuale» ed «extrasoggettiva» – e dunque interpersonale – che lo costituisce, offrendo così la possibilità di un suo radicale ripensamento.
Attraverso l’individuazione dell’autenticità nell’inautenticità, o dello «straordinario» nell’«ordinario», si apre la nuova tematica affrontata dal quarto capitolo, Il sacro nella vita quotidiana. La vita quotidiana è qui riprodotta anzitutto a partire dalla Recherche di Proust, dall’«angelo qualsiasi» di Klee e dalle composizioni di Debussy, a cui l’autrice fa seguire la disamina delle opere di Leiris. «Proust, Klee, Debussy» – nota Lisciani-Petrini – «ci hanno aperto una visione per la quale l’unica possibile esperienza del sacro è racchiusa nel dinamismo effettivo del reale, persino nello scorrere quotidiano delle cose e di noi stessi» (p. 169). Da questo punto di vista, la vita quotidiana viene colta per la prima volta in se stessa, senza sublimazioni spirituali o trascendenti che si oppongano al suo carattere concreto e materiale. Ciò viene evidenziato soprattutto dagli scritti di Leiris, il quale tematizza il «sacro» della vita quotidiana facendolo corrispondere agli elementi più banali e comuni della realtà di tutti i giorni. A differenza di Bataille e Caillois, in Leiris il sacro non viene né mitologizzato né secolarizzato, ma descritto «come un trascendente nell’immanenza […] come qualcosa, al tempo stesso, fuori e dentro il mondo» (pp. 176-177). Nella sua indagine della vita quotidiana, Leiris individua il «movente» della dimensione del sacro nella sua configurazione immanente e impersonale, mettendo fuori gioco, nella loro superficialità, le tradizionali opposizioni categoriali connesse al soggetto moderno.
Tuttavia, la vita quotidiana emerge in pieno solo laddove essa sia stata del tutto spogliata della sua presunta sacralità. Ciò è quanto accade nell’ultimo capitolo, Invenzioni del quotidiano. La fine della vita eroica. Qui, la fotografia di Evans e la sua rappresentazione della vita metropolitana, la musica jazz di Benny Goodman, Charlie Parker, Miles Davis e John Coltrane come forma espressiva che nasce dal contesto quotidiano, e, infine, il fenomeno della moda descritto da Simmel, introducono agli aspetti impersonali, sensoriali e corporei della quotidianità, la cui rivalutazione sancisce la fine della concezione eroicizzata della vita e del soggetto. Quest’aspetto emerge, in ultima istanza, attraverso la prospettiva di de Certeau, Blanchot e Foucault. Mentre de Certeau, ne L’invenzione del quotidiano, pur riconoscendo nella quotidianità della vita un motivo di alienazione, coglie la necessità di ritornare – contro una cultura alienante, spettacolarizzante e iperpersonalizzante – al dinamismo «microculturale e impersonale» che la contraddistingue, Blanchot sottolinea il carattere doppio della quotidianità, prossima a ciascuno di noi eppure difficile da cogliere, notando come ciò dipenda anzitutto dalla dimensione impersonale e anonima che essa dischiude. Per Blanchot, la vita quotidiana può essere colta in se stessa solo facendone un’«esperienza radicale», irriducibile a una comprensione esclusivamente razionale e soggettiva. Ciò sancisce la «fine dell’eroe», e cioè della stessa riflessione filosofica in quanto modellata su un paradigma soggettivistico, personalistico ed individualistico. Questi aspetti vengono sottolineati anche da Foucault, che ne La vita degli uomini infami interpreta le qualità immanenti della dimensione quotidiana come parte di una più complessa «microfisica del potere» che destituisce la vita del soggetto della sua presunta gloria.
Lisciani-Petrini si serve di quest’accurata indagine delle forme artistiche, culturali e filosofiche della modernità per alludere a un nuovo modo d’intendere la vita quotidiana, volto a far incontrare la dimensione personale e trascendente con quella impersonale ed immanente, riconoscendo nella tradizionale categoria di soggetto un «punto del tutto virtuale», come risultato dei processi vitali e impersonali che lo attraversano. Tale riconoscimento permette infatti di dischiudere una «nuova forma di soggettività impersonale» che, nel valorizzare la progressiva e reciproca ibridazione del soggetto agli altri e alle cose – intesa non come una semplice relazione di “apertura”, ma come un autentico innesto nell’alterità –, si riveli più adeguata a cogliere le problematiche del presente, evitando al tempo stesso di ricadere in quella «spersonalizzazione uniformante» che, sempre più spesso, è connessa alla pervasività delle moderne tecnologie. In altri termini, si tratta di prendere atto che tali dinamiche hanno dato origine a «forme di soggettività instabili ed ibride», irriducibili al soggetto tradizionalmente inteso e alle opposizioni categoriali ad esso associate. Così, combinando una minuziosa descrizione dell’esperienza artistica con una profonda indagine concettuale, Lisciani-Petrini restituisce al soggetto individuale il carattere quasi anonimo che contraddistingue la realtà quotidiana, mostrando come le forme di vita qualificata scaturiscano anzitutto da una dimensione apparentemente priva di forma e di qualità. Senza escludere il vissuto, da cui la riflessione filosofica trae la propria forza formatrice, diviene perciò possibile delineare una nuova prospettiva “comprendente” in grado non solo di cogliere i problemi dell’attualità, ma anche di sviluppare nei loro confronti un atteggiamento non dualistico, nel tentativo di realizzare una più ampia corrispondenza tra il pensiero e la vita.