Capire cosa si intenda oggi per pensiero post-umano non è affatto semplice: esso ha ambigue somiglianze con altri movimenti filosofici, ed è inoltre declinato in vari modi da autori diversi. Come mette bene in evidenza in questo breve libro Leonardo Caffo, il postumanesimo, nella versione che ne dà l’autore, è distinto dai richiami all’ecologia, dalla critica moderata dell’antropocentrismo e dalle tendenze a superare l’umano solo per ambire a risultati più-che-umani, come nel caso del superomismo nietzschiano e del transumanesimo.
Il postumanesimo parte senz’altro da premesse anti-antropocentriche: l’uomo avrebbe volontariamente creato una discontinuità tra sé e il resto dei viventi, che avrebbe permesso alla nostra specie di prosperare a scapito di milioni di animali innocenti, necessarie vittime della nostra espansione la cui sofferenza viene sistematicamente ignorata. L’autore quindi traccia una trattazione tripartita, sviluppata su tre assi concettuali: a livello etico, a livello metafisico e a livello scientifico. Questi sono i tre assi su cui si svolge il filo della trattazione di Caffo, andando a costituirne una ideale pars destruens, preludio ad una proposta innovativa che l’autore vorrebbe avanzare come spiraglio su un futuro non solo post-antropocentrico ma anche genuinamente post-umano.
L’autore inizia il paragrafo sull’etica antispecista, evitando la critica del pensiero di quegli autori che hanno teorizzato lo specismo a livello filosofico: come giustamente afferma l’autore, molti non hanno sentito parlare di Cartesio o Heidegger eppure sono specisti comunque. Gli specisti hanno per Caffo una caratteristica comune, ovvero “recintare” la propria specie all’interno di categorie etiche privilegiate, escludendone l’animale. A volte, l’uomo riconosce anche di essere in continuità con gli altri animali, ma a questo punto tendiamo ad associare tale continuità con l’animale non-umano in termini di bestialità: come per Nietzsche, essere animali vuol dire lasciare libero corso agli istinti di dominio, alla voglia di prevaricare, alla violenza e all’egoismo.
L’autore ricusa decisamente sia il superomismo di Nietzsche, fallace perché forma estrema di antropocentrismo, sia l’animalismo morale di chi mostra tenerezza e pietà per gli animali ma rifiuta di abbandonare la propria posizione privilegiata. L’antispecismo di Caffo è più radicale, negando validità alla difesa etica della superiorità umana e al suo statuto morale privilegiato. Accusando l’umano di provare felicità in una narrativa che lo rende speciale e centrale nel mondo, Caffo propone una contro-narrativa più amara ed al contempo più adatta alla felicità umana, in cui l’umanità accetterà di guardare alla violenza su cui si fonda il nostro benessere e finalmente ne supererà i limiti. Per distruggere il sostrato di antropocentrismo sedimentato da secoli, ecco che al primo colpo inflitto all’antropocentrismo ne segue un secondo, stavolta sul versante metafisico.
L’autore inizia il secondo capitolo individuando il corrispettivo metafisico dello specismo etico, ovvero il geocentrismo, peculiare forma di antropocentrismo in cui l’uomo mette sé stesso al centro dell’universo. Pur confutato in astronomia, il geocentrismo rimane attuale come visione del mondo filosofica. Ne è un esempio la teoria della conoscenza di Kant, di cui Caffo sbeffeggia la “rivoluzione copernicana”: il pensatore tedesco vorrebbe prendere a modello Copernico ma risulta invece piuttosto tolemaico. Kant ha infatti posto epistemologicamente l’uomo al centro del mondo: rendendo il mondo una costruzione dei nostri apparati trascendentali, Kant equipara il mondo “per noi umani” al mondo per tutti, poiché non è l’oggetto a dare forma alla nostra conoscenza ma noi a dare forma a lui. Per Caffo, porre al centro l’uomo come soggetto conoscente non è altro che perpetuare il geocentrismo.
La critica di Caffo è profonda: osservando la relazione tra specismo etico e metafisica antropocentrica l’autore nota come quest’ultima, in quanto visione del mondo che pone l’uomo dotato di ragione al centro, autorizza l’esclusione di chiunque non ne sia dotato dalla sfera morale. La trasformazione copernicana mette l’uomo in periferia, lo decentra e lo pone in relazione con gli altri esseri viventi. Ad accelerare questo processo contribuirà la teoria darwinista, che infatti è a fondamento del terzo asse argomentativo, quello scientifico.
Il capitolo dedicato inizia proprio definendo il creazionismo come terzo ingrediente della ricetta antropocentrica. Esso ha uno scopo analogo a quello del geocentrismo: se il geocentrismo pone l’uomo al centro di un ideale cerchio, il creazionismo serve a spiegare come ci sia arrivato, lì, al centro. L’idea di una creazione “ad immagine e somiglianza” è il principale bersaglio polemico di Caffo. Il darwinismo decentra nuovamente l’uomo, dopo il primo colpo ricevuto dallo scossone copernicano, e non solo lo pone in continuità con ogni altra forma di vita, ma addirittura lo rende soggetto ad ogni legge naturale che regola la vita degli animali. L’idea dell’impermanenza della nostra specie nel vasto scenario della storia naturale può essere all’inizio perturbante, ma il senso di unione ecologica che ne deriva è il lascito positivo di questo spostamento “alla periferia” dell’uomo.
Una volta decostruito il concetto di uomo contrapposto all’animale e averne mostrato il triplice fondamento etico, metafisico e scientifico, l’autore propone un itinerario verso il futuro scandito in sette tappe. Il primo dei sette paragrafi programmaticamente dedicati a sette temi diversi che compongono tale pars construens inizia con una proposta piuttosto scioccante: umani e postumani sono due specie diverse. Non metaforicamente: umano e postumano sono due specie in senso biologico. Sembrerebbe la versione filosofica del noto fumetto Marvel X-Men, ma l’autore la difende grazie al ricorso alle teorie biologiche di Ernest Mayr sulla speciazione. Umani o presunti postumani non presentano differenze organiche forti, sono ancora tra loro interfecondi, e la loro prole fertile, ma poichè adattati diversamente all’ambiente, diversamente in relazione con gli altri esseri viventi, con diversi tipi di alimentazione, i postumani non sono più umani, e secondo l’autore sono già tra noi.
Dalla speciazione in corso emergono nuove trasformazioni positive, prima di tutto etiche: la Body oriented ethics (Boe) sostenuta dall’autore prende le mosse dall’argomentazione di Rawls, dove le caratteristiche dei singoli individui, una volta calato il velo dell’ignoranza, diventano ininfluenti. In questo caso, esse diventano ininfluenti perché conta solo avere un corpo, i cui limiti inviolabili sanciscono il confine della liceità di ogni azione morale. L’autore, nel paragrafo che segue, prosegue richiamando l’attenzione del lettore alla questione metafisica, anch’essa ormai rinnovata e adattata alla nuova specie.
Nel solco del realismo speculativo e della Object oriented ontology (Ooo), l’autore vede una contrapposizione tra umanesimo e realismo autentico. Per Caffo, che come abbiamo visto non apprezza la rivoluzione di Kant, unico realismo vero è quello che si rifiuta di identificare l’oggetto nel mondo con il collegamento che c’è tra il nostro pensiero ed esso. Tuttavia, pur condividendo queste critiche al “correlazionismo”, Caffo va oltre il realismo speculativo, introducendo un elemento ermeneutico nel realismo, per cui è vero che differenti forme di vita percepiscono il mondo diversamente, ma ciò è possibile perché esiste qualcosa di reale alla base, come fondamento dell’interpretazione. Si potrebbe concedere all’autore l’uso del termine “forma di vita” in senso wittengsteiniano, ma la serrata critica di ciò che Caffo chiama “antirealismo umanista” e la sua affermazione per cui “per essere realisti è necessario mettere in crisi l’antropocentrismo” sembrano alludere qui a diverse specie animali.
Suggerendo che diverse specie concepiscano il mondo diversamente da noi, Caffo parrebbe un estimatore di Jakob von Uexküll, ma pochi paragrafi dopo l’autore se la prenderà proprio con il biologo teorico della Umwelt, troppo “antropocentrico”. Caffo sostiene che forme di vita diverse diano del mondo interpretazioni diverse, ma che tra di esse è possibile stabilire quale interpretazione sia più corretta. Tale affermazione a riguardo della percezione del mondo degli altri animali è problematica. Bernard Williams, in un articolo contenuto nel suo Comprendere l’umanità, si mostrava perplesso all’idea che la scienza umana funzionasse così bene solo grazie ad adattamenti cognitivi specie-specifici, chiedendosi se la fisica elaborata da altri animali fosse potenzialmente diversa dalla nostra. Non voglio pensare che Caffo avanzi la proposta di instaurare dialoghi filosofici con altre forme di vita animale (o di discutere teorie scientifiche con altri animali), ma in caso contrario mi risulta difficile comprendere la portata della sua apertura all’ermeneutica nel confronto con l’interpretazione avanzata da altre forme di vita (della cui concezione del mondo, vedasi Thomas Nagel, sappiamo comunque ben poco).
Il quarto paragrafo tratta di architettura postumana. In esso l’autore tratta dell’architettura declinata in chiave postumana, con un’enfasi sulla produzione di nuovi spazi e sul riuso di spazi abbandonati per sperimentare nuove forme di convivenza meno dannose ed invasive. Rifacendosi alla teoria che chiama “anticipazionismo”, l’autore dichiara che non si può semplicemente accelerare il declino dell’economia capitalista e delle modalità di sfruttamento e di consumo tipiche di Homo sapiens (come vorrebbero le teorie “accelerazioniste”), bensì iniziare a creare spazi postumani già prima che la specie precedente subisca la sua fine. L’estinzione di Homo sapiens è un monito al Postumano contemporaneo, l’esempio di ciò che succede ad una specie che non ha saputo integrarsi senza prevaricare sulle altre nel comune ecosistema. L’interesse dell’autore per l’architettura ben si sposa con la sua riflessione teorica: gli spazi postumani, avanguardie oggi ma veri e propri modi di abitare domani, saranno dunque la materializzazione concreta del proposito ecologista che sta alla base del nuovo pensiero.
L’autore a questo punto attacca l’etologia sperimentale, deridendo il pregiudizio di chi (come von Uexküll) pretende di comprendere la cognizione dell’animale senza risultare in ingenue umanizzazioni dell’animale. Rifacendosi a Nagel e alla sua riflessione sulla mente del pipistrello, Caffo critica alla base, in quanto antropocentrici, tutti i tentativi di inferire il funzionamento della cognizione animale. Lo stesso Caffo voleva però poche pagine prima aprirsi a nuove forme di vita per abbattere l’“antirealismo umanista” (ma quali forme di vita? Quelle la cui visione del mondo ha appena dichiarato inconoscibile?). Inoltre, la critica di Caffo è etica, non epistemologica, anche se inizialmente come tale è proposta. L’etologia “sperimentale”, contrapposta ad un’etologia “ecologica”, che osserva l’animale nel suo ambiente (ma che Caffo non spiega perché dovrebbe essere immune dalle critiche alla comprensione del comportamento animale che egli ha lanciato poco prima), è per Caffo da condannare per motivi morali, in quanto crudele (e allora perché intraprendere critiche metodologiche?). Oltretutto, l’autore si è ampiamente appoggiato agli studi sulla cognizione animale per dimostrare che l’animale ha un linguaggio, forme di ragionamento e un’autocoscienza. Ma pare che Caffo adesso dichiari che tutte quelle ricerche siano evidentemente infondate. Sembra che Caffo, preso dallo zelo di criticare l’antropocentrismo specista e di “accelerare il processo di speciazione e dunque di estinzione di Homo sapiens”, incorra in molte contraddizioni.
Penultimo tema trattato è quello delle dicotomie logiche, frutto di secoli di pensiero “umanista”. Unendo logiche non classiche e saggezza orientale (il cui impatto è chiaro in tutto il volume), l’autore muove all’assalto delle “geografie cartesiane”, ovvero quelle visioni del mondo in cui è legittimata la dicotomia che distingue nettamente uomo da non-uomo. L’autore nota giustamente come proprio qui si situi la differenza tra pensiero transumano e pensiero genuinamente postumano: il primo esaspera la dicotomia tra umano e non-umano aumentando (o volendo aumentare) il divario che intercorre tra le caratteristiche dell’umano e tutto ciò che umano non è, mentre il postumano tali differenze le sfuma, ponendole in un continuum. La rivoluzione delle logiche non classiche ben si presta dunque a dare nuovi strumenti concettuali al postumano, ma anche a ridefinire i nostri concetti di identità binaria ed esclusiva, già attaccati da Donna Haraway ed altri.
Collegato al sesto paragrafo per affinità tematica è il settimo paragrafo, che tratta del tema dell’ibridazione. Contrariamente ad alcune ricezioni artistiche, ma anche filosofiche e letterarie, del concetto di ibridazione, il postumanesimo di Caffo rifiuta di ricondurre tale idea all’innesto. Esso, sostiene infatti l’autore, è un’ibridazione tra parti, in cui si riconosce un intero formato da assembramenti di parti già note. Nessuna categoria viene scardinata: l’uomo-cavallo, così come il cyborg, non scardinano alcuna categoria logica e concettuale. L’ibrido è invece qualcosa di simile al mulo, come racconta Caffo, irriducibile ad uno degli insiemi di partenza: esso non è né asino né cavallo, ma qualcosa di totalmente nuovo. Il postumano ibridato non sarà dunque materialmente ibridato ad altri corpi, cosa che comunque Caffo né condanna né esclude, bensì sarà una specie che rifugge le attuali categorie tassonomiche binarie, unendo in sé rivoluzione logico-concettuale e cambiamento di specie.
Nella conclusione del volume, Caffo, declina la sua proposta in un “Progetto”. L’autore propone un ideale di microcomunità, forma di aggregazione sociale dell’era post-umana. Combinando suggestioni anarco-comuniste con il pensiero di Thoreau, Caffo delinea la microcomunità facendo di essa un centro di aggregazione egualitario, auto-sufficiente, ecologista e non gerarchico, pur avendo una divisione di ruoli ben definita. Tuttavia, Caffo rimarca il fatto che, in accordo con il suo “anticipazionismo”, lo scopo di queste microcomunità oggi non può essere quello di sovvertire l’ordinamento socio-economico attuale, bensì di attuare una resistenza simbolica. Il modello di vita postumano arriverà ad essere diffuso prima di tutto tramite l’esempio simbolico delle vite alternative di chi sceglie di essere postumano. Il paragrafo conclusivo vede infatti Caffo citare Wittengstein, secondo il quale “un libro deve stabilire la separazione fra coloro che lo capiscono e coloro che non lo capiscono”, con la chiara intenzione, esplicitata dall’autore, di “rompere la quarta parete” e di rivolgersi ai suoi lettori. La filosofia è infatti intesa da Caffo come modo di ragionare su come vogliamo stare al mondo per poi agire: l’intento di cambiamento del postumano è dunque la realizzazione pratica della riflessione filosofica senza la quale essa rimane sterile.
In conclusione, il volume di Caffo, che risente fortemente della forma in cui è scritto (programmatica, quasi un manifesto), è interessante e acuto nella sua decostruzione dell’antropocentrismo e nella sua disamina dell’impatto delle rivoluzioni etiche, metafisiche e scientifiche sul pensiero filosofico. A tal proposito la ricostruzione di Caffo è senz’altro decisamente efficace nel notare come il pensiero sia stato lungamente sviato dalla mancata considerazione dell’animalità. La sua tripartizione della trattazione e la sua argomentazione sono decisamente robuste, tuttavia la sua critica sembra condannare senza appello il pensiero pre-postumano. Come alcune femministe radicali (si pensi ad Adriana Cavarero ed alla sua Comunità Diotima), che ritengono necessario ripartire da una filosofia “al femminile” sgravandosi da millenni di pensiero viziato dal sessismo maschilista, anche i postumanisti come Caffo sembrano ritenere necessaria una cesura netta rispetto al pensiero “umanista”, ritenuto, potremmo dire ironicamente “umano, troppo umano”. La pars destruens del volume si presenta come una piacevole, a volte provocatoria, storia del pensiero rivisitata in chiave de-antropocentrizzatrice. Non altrettanto si può dire della proposta ricostruttiva che segue alla distruzione dei pregiudizi antropocentrici. La teoria della speciazione postumana si distingue da altre proposte del genere per la sua enfasi sul postumano non come obiettivo futuro ma come realtà attuale. L’autore non si limita ad analizzare un cambiamento di costumi e stili di vita, bensì teorizza un cambiamento epocale nella storia dell’uomo, ritenendolo già in atto.
Una prima criticità riguarda però lo statuto dell’animale come paziente morale. A volte, il pensiero di Caffo, giustificando manovre che pretendono di fare l’interesse di ogni forma di vita e dimenticando che siamo noi (umani) a stabilire quali sono gli interessi delle altre specie, in accordo con una nostra ecologia (umana), sembra non accorgersi della propria umanità, che non basta ricusare filosoficamente per eliminare da sé: definirsi antispecisti non basta a scavalcare l’ostacolo dell’unilateralità del discorso morale, in cui gli animali, letteralmente, non hanno voce. Caffo vorrebbe uscire dall’antropocentrismo considerando anche il punto di vista dell’animale, ma è altrettanto pronto a separare l’animale dall’uomo (rendendoli mutualmente “oscuri” l’uno all’altro) quando la sua teoria morale lo impone. Questa dialettica continua di avvicinamento all’animale e di allontanamento da esso è per molti versi la criticità maggiore del libro.
In un volume, intitolato Della critica, il sociologo francese Luc Boltanski mostra come uno dei modi più diffusi di saldare la propria riflessione critica a pretese normative super partes sia il richiamo ad un’antropologia filosofica, intesa come una concezione di ciò che l’umano è e dovrebbe essere per mantenersi umano. Applicando tale prospettiva al nostro caso, emerge come il postumanesimo di Caffo sia un’etica ecologista che muove da un’idea normativa di come dovrebbe essere il rapporto con l’ambiente e le altre forme di vita. Sulla base di questa concezione antropologica, l’autore critica alcune aberrazioni che contravvengono alla sua idea di umanità, ma lo fa sempre ragionando sull’uomo, da uomo e rimanendo saldamente attaccato ad una filosofia umanista. Il pensiero di Caffo, che si vorrebbe postumano, rimane a mio avviso pienamente nell’ambito antropologico, inteso come riflessione sull’umano: le altre forme di vita, qui chiamate a correggere la deformazione antropocentrica, hanno ruoli marginali. L’animale è sfruttato come strumento argomentativo per criticare la condotta umana, ma difficilmente assurge a vero protagonista, mentre il postumano risulta essere in quest’ottica (forse molto feuerbachiana) un modo escogitato dall’uomo contemporaneo per parlare innanzitutto di sé e di come vorrebbe essere.