Questo bel libro di Carlo Brentari, docente di Filosofia e linguaggi della modernità presso l’Università di Trento, colma anzitutto un vuoto nella letteratura scientifica del nostro paese intorno ai temi della biologia filosofica. Si tratta infatti della prima monografia in lingua italiana interamente dedicata alla vita, alla figura e alla produzione scientifica del naturalista estone Jakob von Uexküll (1864-1944) – se si eccettuano gli scritti, che non possono certo essere rubricati entro tale forma, di Monica Bassanese su Heidegger e von Uexküll (Pubblicazioni di Verifiche, Trento, 2004) e i due saggi introduttivi, rispettivamente di Felice Mondella (1967) e Marco Mazzeo (2010-20132), alle traduzioni italiane del volumetto divulgativo di Uexküll, composto nel 1934 in collaborazione con Georg Kriszat, dal titolo Streifzüge durch die Umwelten von Tieren und Menschen (letteralmente: «scorribande attraverso gli ambienti degli animali e degli uomini», ma più agevolmente reso, nell’ultima versione, come Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili, a cura di M. Mazzeo, Quodlibet, Macerata, 2010-20132).
Il merito della monografia di Brentari è duplice: da un lato, mediante accurate conoscenze biologiche, egli sottrae l’opera uexkülliana a quella svalutazione e finanche derisione a cui, soprattutto nel nostro paese, essa è stata sottoposta da una parte importante della comunità scientifica – è il caso, ad esempio, dell’etologo Giorgio Celli che, oltre a definire Uexküll un «visionario come tutti i baltici» (sic!), non si cura nemmeno di trascriverne correttamente il nome, che diventa per lui “Huexküll” (cfr. G. Celli, Konrad Lorenz. L’etologo e i suoi fantasmi, Bruno Mondadori, Milano, 2001, pp. 87 sgg.) –; dall’altro sa cogliere adeguatamente il côté filosofico della sua concezione ambientale, in particolare per quanto riguarda l’influenza kantiana sulla “costituzione soggettiva” dell’esperienza.
Il volume si dispiega in sei capitoli. Molto utili – oltre ai capitoli centrali d’interesse teoretico-scientifico – sono il primo, su “Vita e formazione”, in cui Brentari mette a frutto la sua frequentazione dello Jakob von Uexküll Centre di Tartu (Estonia) e del Konrad-Lorenz-Institut di Altenberg (Austria) che gli consente di disporre di fonti di prima mano e del contatto diretto con il materiale d’archivio; e l’ultimo capitolo, su «Influenze e interpretazioni», in cui si configura una dettagliata e inedita “storia della critica” che spazia dalle intersezioni con l’antropologia filosofica tedesca (Scheler, Plessner, Gehlen, Cassirer) alle acquisizioni delle tematiche uexkülliane da parte delle maggiori correnti filosofiche e psicologiche del Novecento (Heidegger, Lacan, Merleau-Ponty, Deleuze e Guattari), fino alle riflessioni sulla conoscenza della vita (Lorenz, Canguilhem) e alle più recenti riabilitazioni «biosemiotiche» (Sebeok) della dottrina del naturalista estone. Ma il vertice del libro è raggiunto – come detto – nella sua parte centrale, in cui Brentari, partendo dall’inquadramento di Uexküll all’interno del dibattito tra meccanicisti e vitalisti (Cap. II: “Alle origini della teoria ambientale”), fissa la genesi del concetto di “ambiente” (Umwelt) e ne esamina la composizione (Cap. III: “Il mondo-ambiente”; Cap. IV: “La struttura della Umwelt”) per concludere con un’illustrazione dell’importantissima semiologia animale (Cap. V: “Ambiente e significato”) che Uexküll sviluppa in uno dei suoi ultimi e più densi saggi, la Teoria del significato (Bedeutungslehre) del 1940. Il volume si chiude con una ricca bibliografia di circa trenta pagine in cui, oltre a raccogliere tutta la letteratura primaria, si fornisce anche un quadro esauriente e dettagliato della letteratura secondaria, sia su Uexküll, sia in riferimento alla sua produzione scientifica.
Ma veniamo al contenuto del libro e ai suoi risvolti filosofico-teoretici. Sin dall’inizio Brentari sottolinea la presenza, sullo sfondo delle teorie biologiche di Uexküll, della Critica della ragion pura di Kant, la quale, depurata da ogni aspetto teleologico, serve a evidenziare «le modalità cognitive che danno forma all’ambiente percepito delle diverse specie animali» (p. 11), modalità, dunque, a loro volta differenti e perciò soggettive, sebbene non in senso meramente empirico – come se il singolo animale possa ritagliarsi una sorta di “mondo privato” all’interno del “mondo comune” della natura – ma trascendentale, cioè costitutivo di quell’unico mondo in cui l’animale si trova inserito attraverso una determinata struttura biologica che gli permette, solo entro limiti ben definiti, d’interagire con gli altri esseri viventi. Si tratta, per così dire, di un apriori soggettivo o, meglio, di una compagine relazionale che Uexküll chiama «piano di costruzione» (Bauplan) e che gli consente di recuperare la nozione di “scopo” emendando la declinazione analogico-soggettiva (inferenziale) conferitagli dal giudizio riflettente della Critica del Giudizio – per cui esso appare come una sorta di proiezione all’esterno di uno stato d’animo interno – con l’obiettivo di far invece emergere il senso figurale, e perciò soggettivo-trascendentale, che la finalità assume nella «totalità strutturata (Ganzheit) propria dell’organismo vivente» (p. 59). Seguendo il libero gioco – per usare un’espressione di Kant – che si dà tra il “meccanismo” dell’intelletto a livello di ragion pura e il “finalismo” dell’immaginazione a livello di teoria estetica, Brentari ripercorre correttamente lo sviluppo della biologia ambientale uexkülliana dagli esordi allo Hauptwerk costituito dalla Biologia teoretica del 1920, senza peraltro lasciarsi influenzare dalle incertezze che condizionano il rapporto tra la prima e la terza Critica kantiana, ma utilizzando anzi la dialettica che sottende lo scambio tra meccanismo e finalismo allo scopo di focalizzare l’attenzione su quegli elementi che, sia in Kant sia in Uexküll, fungono da attrattori di ogni tendenza esplicativa del vivente: vale a dire le nozioni di schema e di “forma oggettuale”, mediante cui si dispiega la relazione di «corrispondenza non mimetica» tra realtà esterna e mondo interiore (pp. 93-95).
In cosa consista tale non-mimeticità, che allontana Uexküll da qualsiasi piatta riproposizione dell’isomorfismo adeguazionistico, è ben espresso da quel funtore, al tempo stesso percettivo e operativo, che egli definisce come “contro-mondo” (Gegenwelt), in cui vengono «rese le caratteristiche rilevanti del mondo esterno» per l’animale. Si tratta di un criterio di rilevanza formale attraverso cui il soggetto vivente produce le proprie immagini percettive dell’esteriorità: ad esempio, le forme aperte e le forme chiuse sono due schemi che l’ape ha a disposizione per distinguere quegli oggetti del mondo esterno (i fiori) che sono fonte di nutrimento da quelli che invece non lo sono (p. 94). Si noti che gli schemi non sono semplici rappresentazioni, ma degli autentici attivatori funzionali – un aspetto, questo, che lo schematismo kantiano aveva già intravisto introducendo gli schemi nella parte applicativa della ragion pura, vale a dire nell’Analitica dei principi, ma che non aveva poi saputo sviluppare in ragione del mancato approfondimento del lato linguistico-semiologico con cui le forme della sensazione si presentano nel mondo interiore dell’animale. Infatti – nota Brentari – la risposta che Uexküll dà al problema del “rispecchiamento” del mondo nel contro-mondo dell’animale «è uno degli aspetti più affascinanti della [sua] concezione dell’ambiente, vale a dire il fatto che tra soggetto e realtà esterna vi è un rapporto semiotico, di interpretazione o addirittura di traduzione, il cui risultato è l’ambiente specie-specifico stesso» (p. 96). Da questo punto di vista, si potrebbe sostenere che Uexküll cerchi di rendere coerente l’impostazione trascendentale in una direzione esattamente opposta a quella dei neokantiani classici: anziché risolvere le aporie del corrispondentismo estendendo il campo noetico in modo da ricomprendere l’ambito estetico ed eliminando così l’intuitivo a favore del categoriale, egli amplia il piano estetico-intuitivo invertendo di segno il trascendentale, che da sfondo metalinguistico diventa una nuova figura semiotica.
Ora, questa trasformazione può avvenire solo a condizione che il linguaggio dei segni, così evidenziato, si ponga come un nuovo piano espressivo di carattere eminentemente connotativo, consentendo all’intuizione del mondo di offrirsi – per così dire – come l’unica prospettiva legittima in base alla quale perde di senso ogni distinzione tra “mondo interno” e “mondo esterno”. Tale piano di connotazione, prodotto dell’interazione tra la funzione denotativa (referenziale) dei segni e la funzione costitutivo-trascendentale (operativa) degli schemi (p. 107), si esplicita nelle cosiddette qualità sensoriali, le quali possono essere distinte in “qualità contenutistiche”, ovvero nelle «classi di contenuti come la forma, il colore, la temperatura, la solidità», e in qualità spazio-temporali (segni locali, segni direzionali, segni di momento, segni di movimento), prerefigurando in tal modo il viraggio dell’estetica kantiana nel senso fenomenologico dell’“apriori materiale” (p. 132). Ma anche senza bisogno di individuare simili corrispondenze o anticipazioni, è evidente che l’identificazione di specifiche qualità spaziali e temporali – per cui spazio e tempo non appaiono, semplicemente, come forme pure dell’intuizione, ma come intuizioni vissute della loro stessa materia, rendendo così indispensabile il passaggio tematico dalle forme dell’intuizione alle forme della sensazione – risulta comprensibile solo all’interno di quello “schema trascendentale” che Uexküll pone a fondamento della sua «articolata teoria dell’azione animale» (p. 137), vale a dire del circuito funzionale (Funktionskreis). Si tratta di una raffigurazione tutt’altro che meramente realistico-semantica o, come dice Brentari, denotativo-mimetica del mondo percettivo dell’animale: quest’ultimo non è, infatti, in rapporto con oggetti, cose o eventi della realtà, ma con tonalità oggettuali (p. 172), cioè insiemi di segni con i quali esso intrattiene una relazione interpretativa. Solo così si spiega la struttura circolare che lega percezione (il “mondo percettivo”) e azione (il “mondo operativo”), esprimendo al tempo stesso la complementarità tra forma e contenuto dell’esperienza. Da ciò consegue che, tanto per gli animali quanto per gli uomini, non esistono cose che “attendono” un’interpretazione, ma solo segni posti in una ben determinata connessione significativa. Ora, questa connessione non si sviluppa mantenendo inalterati i suoi punti di riferimento “ontologici” (il soggetto, il mondo fisico ecc.), ma si presenta di volta in volta come un sistema totale, in cui cioè – in un senso non distante dalla filosofia della natura che fa da sfondo alla monadologia leibniziana – il rapporto tra ermeneutica e semantica è, per così dire, a somma zero. Il problema della comprensione del mondo animale da parte dell’uomo non è pertanto strutturalmente diverso dalla comprensione del mondo “estraneo” degli altri uomini, a tal punto che si potrebbe riferire alla teoria ambientale uexkülliana l’osservazione di Wittgenstein: «Ma se si dice “Come faccio a sapere che cosa intende? Vedo soltanto i suoi segni”, io rispondo: “Come fa lui a sapere che cosa intende? Anch’egli ha soltanto i suoi segni”» (The Big Typescript, 1. 18).
Una volta battuta in breccia ogni ambiguità genericamente “vitalistica” e chiarito che «secondo Uexküll, nella sua teoria della conoscenza Kant avrebbe trascurato le forme e priori della percezione» (p. 128; forse sarebbe meglio dire “forme della sensazione” – NdR), l’indagine di Brentari si svolge in modo coerente a questa giusta chiave di lettura estesiologica, pur non mancando di evidenziare come, «per rendere ragione della coerenza tra le strutture a priori degli organismi e la realtà», Uexküll ricorra spesso – in un senso certo più metafisico-leibniziano che trascendentale-kantiano – all’«azione efficace di quel fattore naturale» che «rimane tuttavia inconoscibile» (p. 135). Brentari è però sempre attento a non fare di questo aspetto metafisico il vero asse dell’indagine naturalistica uexkülliana, e anche quando pone in rilievo il “bilanciamento” contenutistico-platonico con cui Uexküll corregge lo schematismo kantiano (pp. 143 n. 65, 214 sg.), non intende con ciò rinunciare al filo conduttore semiologico, ma concepisce anzi il platonismo mediante il quale si presenta «l’immaterialità dei fattori formatori (impulsi e regole)» (p. 155) come il completamento semantico del «processo semiotico materiale» che guida la «riproduzione della materia organica» (p. 157). È infatti solo nella teoria del significato che si realizza la «costituzione trascendentale degli ambienti animali» (p. 190), poiché in Uexküll «emerge in più punti la tematica del significato inteso come fenomeno ambientale» (p. 195). Si tratta di un «radicale ripensamento del concetto stesso di oggetto» che rende giustizia non solo della teoria ambientale del naturalista estone, ma anche della troppo sbrigativa liquidazione del platonismo biologico in un senso idealistico-spiritualistico. In quanto espressione di una tonalità oggettuale, l’oggetto è un «portatore di significato (Bedeutungsträger)» (p. 199) così come le idee platoniche sono strutture, cioè forme che svolgono una funzione paradigmatica: «Il significato, o meglio i significati di cui l’oggetto è potenziale portatore divengono così parte integrante dei circoli funzionali in cui il soggetto è inserito. La struttura complessiva dell’oggetto […] non ha per gli animali che la funzione di una contro-struttura [Gegengefüge] che tiene assieme gli elementi significanti dell’oggetto» (p. 201).
La «sinfonia aperta» con cui si presenta la «composizione modulare» vivente ci permette, in ultima istanza, di giungere «a quello che è forse il nucleo più profondo della biosemiotica ambientale di Uexküll: le specie biologiche sarebbero dei testi o codici originari, in se stessi immateriali e atemporali, che esprimono parte del loro significato in ognuno dei rapporti contrappuntistici che intrattengono con gli altri testi e con l’ambiente» (p. 205). I segni di tempo e di spazio, di movimento e di direzione, significano l’immaterialità e l’atemporalità di quei particolari “contenuti” ambientali che si connettono ai loro “mondi chiusi”: si tratta di una modificazione semantica che contrassegna tutta la logica del vivente.
(Luca Guidetti)