Quando si legge un libro come quello che qui intendiamo recensire, un testo molto interessante e oltremodo esauriente sulla filosofia della logica e della matematica in Husserl, la domanda che ci si pone è: perché la filosofia della logica e della matematica in Husserl non sono al centro del dibattito attuale in logica e filosofia della matematica?
Si tratta di una questione ricorrente sollevata dai saggi che sviluppano analisi precise e dettagliate su un pensiero, quello husserliano, fatto oggetto di una damnatio memoriae che nulla ha a che fare con ragioni filosofiche o epistemologiche, ma che si rivela esser molto eloquente per ciò che concerne la comprensione (e il rifiuto) delle egemonie o dei paradigmi intellettuali.
La questione accompagna tutta la lettura del testo, e la motiva, in ultima istanza, proprio perché il fatto stesso di sceverare nella sua complessità e nella sua ricchezza l’approccio husserliano alla logica e alla matematica lascia emergere la sua grandezza e la sua inesauribile ricchezza.
Autori come C. Ortiz-Hill o J.-J. da Silva, che studiano l’argomento da anni, si sono dovuti confrontare con tale ricchezza e, allo stesso tempo, con l’immensa povertà di un’egemonia filosofica che ritiene non dover fare i conti con la fenomenologia e, più in particolare, con la fenomenologia della matematica, unicamente a partire da un’opposizione (più o meno immaginaria, più o meno costruita ad hoc) tra Husserl e Frege. Altri autori, come G. Rosado-Haddock, D. Lohmar, M. Hartimo o R. Tieszen hanno recentemente mosso critiche e sollevato questioni analoghe sul silenzio calato sul pensiero husserliano unicamente per ragioni squisitamente extra-filosofiche.
Ciò che i due autori del libro sottolineano, in modo molto perspicace, è tuttavia che la filosofia husserliana, e la filosofia della logica e della matematica in particolare, è “vittima” di una duplice damnatio memoriae. Da un lato troviamo la summenzionata rimozione analitica che, partendo dalla successione Frege-Russell-Wittgenstein-Quine, ha fatto il vuoto di qualsiasi ipotesi eterogenea a una presunta coerenza di approccio (logico e rigoroso) alla filosofia; dall’altra, la cancellazione continentale (o ermeneutica) che, partendo dalle critiche heideggeriane e levinassiane al razionalismo husserliano, ha lasciato per molti anni sotto silenzio il vero nocciolo della fenomenologia: la logica e la filosofia della matematica come campo di descrizione dell’emergenza di evidenze non percettive ma strutturali.
E il sempre maggior interesse per questo aspetto del pensiero husserliano sembra allo stesso tempo indicare una crescita di interesse per la fenomenologia della matematica in filosofia, un interesse che, presso i matematici, non si è mai sopito.
Husserl, com’è noto, proviene da una formazione matematica e di questa conoscenza matematica informa non soltanto la sua filosofia della matematica ma la fenomenologia stessa: “la via che mi ha condotto alla fenomenologia fu essenzialmente determinata dalla Mathesis universalis”. Ma Husserl non è un matematico che qualcuno potrebbe definire refrattario o marginale, il che potrebbe motivare il disinteresse del dogma fregeano. Husserl è al centro dell’età d’oro della filosofia della logica e della matematica che va da Riemann e Cantor – molto eloquenti, a riguardo, le lettere di Cantor su Husserl pubblicate in Appendice I – fino a Gödel, alla crisi dei fondamenti e all’intuizionismo di Weyl. Sarebbe prima di tutto sufficiente leggere alcuni paragrafi dei Prolegomena zur reinen Logik per accorgersi di come le idee della matematica del tempo caratterizzino ab primis fundamentis il progetto fenomenologico stesso: l’idea della Mannigfältigkeitslehre, elaborata da Riemann ma sulla quale anche Cantor lavorò a lungo, rappresenta la base stessa della concezione del progetto fenomenologico come teoria delle forme di teorie presentata, appunto, nelle Ricerche logiche.
Sul panorama all’interno del quale il pensiero husserliano viene formandosi e inizia a delineare la propria fisionomia, si diffonde il primo capitolo, On Husserl’s Mathematical Apprenticeship, in cui si mette bene in luce non solo la formazione matematica stessa di Husserl, ma anche la transizione del suo pensiero matematico. Due capitoli analizzano in modo particolare il valore del simbolico o del simbolismo delle espressioni matematiche nella filosofia della matematica di Husserl. Il primo, Beyond Leibniz, Husserl’s Vindication of Symbolic Mathematics, proprio in relazione a Leibniz; il secondo Incomplete Symbols. Dependent Meanings and Paradox, si concentra sullo statuto del rapporto tra espressione simbolica e idealità associata, in particolare all’interno della struttura teorica delle Ricerche logiche.
Di notevole interesse, tanto dal punto di vista della collocazione della filosofia della matematica di Husserl quanto della storia delle correnti e delle posizioni in filosofia della matematica all’inizio del secolo scorso, sono i capitoli che esplorano la relazione molto stretta tra la filosofia della matematica di Husserl e la filosofia hilbertiana della matematica. Husserl on Axiomathization and Arithmetics rintraccia tutta l’evoluzione del pensiero husserliano, a partire da Lotze fino all’adesione a una visione hilbertiana della matematica. Questa viene esplorata, in maniera più dettagliata, in Husserl and Hilbert on Completeness and Imaginary Elements. Questo contributo, sebbene si concentri sulla conferenza tenuta da Husserl nel 1901 presso la Società Matematica di Gottinga su invito dello stesso Hilbert, coglie e sintetizza la problematica del pensiero husserliano in relazione ai numeri immaginari, la cui fissazione concettuale pone non pochi problemi a una visione della matematica, come quella husserliana, che non si libera del simbolico ma che, di fronte appunto all’esperienza dei numeri immaginari, si pone il problema dell’intuizione matematica. Al riguardo, è sintomatico che una filosofia come quella di Husserl – che è già in nuce trascendentale – si confronti con il problema dei numeri immaginari, soprattutto se si considera che il pensiero trascendentale di Kant (si veda la lettera a Rehberg del 25 Settembre 1790) manifesta l’impossibilità per il trascendentale di segno criticistico di render conto dei numeri immaginari come oggetti d’intuizione (sebbene formale). La ragione di ciò attiene al fatto che il pensiero di Husserl, fissatosi nella grammatica speculativa delle Ricerche logiche, si confronta con la natura intuitiva dei numeri immaginari senza volerli però degradare a entità puramente simboliche, né voler assumere, a tal riguardo, posizioni intuizionistiche. L’equidistanza sia dalle posizioni fregeane sia da quelle intuizioniste brouweriane mostra la difficoltà dell’impresa husserliana di pensare la matematica in termini d’intuizione formale e d’intuizione categoriale, attraverso la sedimentazione di livelli di formalità che si strutturano con l’habitus (anche mediante operazioni puramente simboliche), senza per questo cadere nello psicologismo né nella riduzione della matematica a un puro calcolo simbolico.
Il rapporto di distanza da Frege e dall’intuizionismo “classico” viene molto ben approfondito in un’altra serie di contributi che decodificano la necessità, appunto, di mantenere, dalla parte di una fenomenologia della matematica, una posizione intermedia, equidistante e di cercare un equilibrio quanto mai difficile da ottenere.
I rapporti concettuali ed epistolari tra Frege e Husserl (che, se si vuole, percorrono tutto il testo, essendo la critica fregeana all’origine della damnatio memoriae della fenomenologia della matematica) vengono esplorati, in modo più esplicito in due contributi Tackling Three of Frege’s Problems: Husserl on Sets and Manifolds e Frege’s Letters in cui si delineano i punti problematici e il rapporto epistolare tra Frege e Husserl, non esclusivamente in ambito filosofico-matematico.
A partire da questa contestualizzazione storico-teorica, il testo si allarga tuttavia ad altri temi che permettono di pensare non solo la filosofia della matematica di Husserl ma di inserire una fenomenologia della matematica in generale all’interno di una costellazione di problemi che interessano lo statuto stesso dell’esperienza matematica in quanto tale.
Qual è, ad esempio, lo statuto di “indipendenza” dell’oggettualità matematica in relazione all’atto psichico del suo coglimento? Questo problema centrale – il problema della stabilità intuitiva di un atto di coglimento di oggettualità matematiche provviste (da punto di vista fenomenologico) di statuto intuitivo – era quello che interessava Gödel e che ha avvicinato progressivamente Gödel al pensiero di Husserl. Molti contributi di notevole interesse non solo storico ma anche teoretico, mostrano come nella fenomenologia della matematica di Husserl vi sia in gioco molto più di una questione locale: Reference and Paradox, Gödel and Transcendental Phenomenology, On Fundamental Differences between Dependent and Independent Meanings rappresentano tre saggi che non gettano luce solo su una tensione interna a qualsiasi discorso fenomenologico (Husserliano o post-husserliano) sulla matematica, ma che aprono a delle vie di esplorazione teorica di un approccio al “matematico” che si libera dal simbolico, o da un platonismo ontologico classico, per esplorare giustamente in che modo, anche dal punto di vista di una sedimentazione cognitiva o di reiterazione di metafore concettuali, si configuri l’esperienza intuitiva di strutture formali cosiddetta “mind-indipendent”.
Ciò che Claire Ortiz-Hill e Jairo José da Silva mostrano, con i saggi contenuti in questo libro, non è solo, direttamente, la ricchezza del pensiero husserliano in relazione alla matematica e alle strutture formali in generale, ma la possibilità di ritrovare una via di interrogazione, di imboccare quella strada non presa (road not taken) che l’incuria delle egemonie e della propensione per le vie maestre non ha tuttavia privato del suo valore.
È forse questo il motivo per il quale i cosiddetti working mathematicians, nonostante l’egemonia della filosofia analitica della matematica, si sono sempre più interessati ad Husserl che non i filosofi della matematica: la strada non presa, ci permettiamo di dire, è quella del coglimento dell’oggettualità ideale (mind-indipendent) e della loro descrizione nei termini, appunto, dell’esperienza “originariamente offerente”. Piuttosto che orientarsi ad una fondazione ultima della matematica, o alla riduzione della matematica a calcolo simbolico e alla visione riduttiva (che ne consegue) dell’esperienza matematica come realizzazione di un tal calcolo, una fenomenologia della matematica apre la strada di una conoscenza dell’esperienza matematica e, per così dire, dell’incarnazione [embodiement] delle strutture matematiche nella conoscenza “umana”.
Al di là dei saggi estremamente dettagliati ed eruditi del libro, al di là della ricchezza di contenuti che esso presenta, sussiste un messaggio generale estremamente educativo per coloro che vogliono cimentarsi con la fenomenologia e con un pensiero della matematica o del matematico [das Mathematische] in generale.