Siamo corpotempo, siamo finitudine e passione, siamo bisogno e azione, siamo trasformazione e costanza. La Grecità arcaica comprese bene questa complessità e la espresse nelle forme del mito, dell’epica, della riflessione filosofica. In Omero è «documentabile la presenza di un concetto unitario del sé, sia pure distribuito in una molteplicità di istanze. Il soggetto incorporato è infatti dotato di una forma (eidos)
e di una struttura (demas) sufficienti a individuarlo, ferma restando l’evanescenza delle frontiere del sé, non coestensive al corpo fisico ma funzionali alla costituzione di un campo di coscienza integrato che ingloba agenti demonici e divini» (p. 11). Poeti e pensatori delle origini compresero la corporeità dentro il più vasto ambito dell’essere, della sua identità e differenza. Videro quindi «nel corpo una dimensione mobile dalle frontiere incerte, abitata da una pluralità di potenze demoniche localizzate in specifiche regioni anatomiche» (7).
Tutto questo si pone subito al di là di ogni dualismo e di ogni riduzionismo, categorie parziali e invalidanti. Vedere nell’umano una dualità significa infatti impoverire la ben più ampia ricchezza del corpo, il quale è certamente organismo ed è anche dinamismo spaziotemporale consapevole di sé. Platone non limita l’analisi del corpo alla sua individualità separata e lo inscrive piuttosto nell’orizzonte dell’anima del mondo, dell’energia che intride la materia. Aristotele ritiene «che non è il corpo nella sua materialità a costituire l’essenza del vivente, ma il corpo vivo a cui l’anima conferisce la propria forma, sicché un corpo privo di vita sarebbe un corpo umano o animale solo per omonimia come una mano di bronzo o di legno» (28-29). Lezione ripresa dalle più attente riflessioni contemporanee sulla corporeità, le quali vanno oltre il dualismo trascendente delle filosofie cristiane e oltre il riduzionismo quantitativo delle filosofie meccanicistiche.
Per Schopenhauer il corpo è il luogo di tutte le tendenze che spingono l’umano a esserci e a volere. Nietzsche ne fa l’intero delle nostre persone. Secondo Bergson «il corpo costituisce uno snodo fondamentale tra spirito e materia perché, posto all’interazione tra il ricordo puro e la percezione pura, garantisce il radicarsi della memoria nel mondo delle cose» (150).
«È alla fenomenologia tuttavia che si deve il riconoscimento dell’importanza del corpo e dell’esperienza che ne facciamo come condizione del radicarsi del soggetto umano nel mondo, e del suo ruolo costitutivo nella percezione sensibile, nell’azione e nell’incontro con gli altri» (9). Per la fenomenologia, infatti, il corpo è un tema privilegiato d’indagine, dato che ciò che si manifesta appare in primo luogo ai sensi. La distinzione husserliana di Körper e Leib riprende quella aristotelica e la inscrive nella complessità delle moderne indagini fisiologiche e psicologiche, sino a giungere alla scienza cognitiva incarnata e alla neurofenomenologia di Dreyfus e Varela, «che si riconosce nella tesi fondamentale secondo cui la mente non è un sistema isolato e conchiuso in se stesso, ma va indagata nelle relazioni che la legano al corpo e all’ambiente biologico, sociale e culturale in cui l’organismo è situato» (203).
Alcune analisi contemporanee sembrano tornare a forme drastiche, per quanto non immediatamente evidenti, di dualismo. Così il ‘corpo senza organi’ di Deleuze e Guattari contrapposto al corpo come ‘macchina desiderante’. Così la distinzione troppo netta tra sesso e genere come «dimensioni radicalmente dissociate: al primo Butler assegna una rilevanza solo residuale, mentre il genere assume un ruolo preponderante in quanto produzione di una performance che i singoli attori sono chiamati a interpretare, che lo sappiano o meno» (188). La Gender Theory è una posizione che radicalizza platonismo e storicismo. È infatti una teoria che attribuisce uno degli elementi fondamentali dell’identità umana e animale – la differenza tra i sessi – al semplice effetto di opzioni culturali, di costume, di credenze ideologiche, filosofiche, religiose. È una teoria che dissolve esplicitamente la differenza a favore dell’identità. L’antimaterialismo culturalista nasce dall’ostilità verso la struttura biologica dei corpi umani e animali, tanto che il corpo cessa semplicemente di essere il fondamento del vivente per diventare un fantasma al quale sostituire la potenza delle strutture mentali collettive.
In realtà, il sesso biologico determina sin dall’inizio l’essere femmine/donne o maschi/uomini, senza che questo vincoli poi le preferenze sessuali. La libertà erotica non disconosce infatti la struttura biologica ma ne esalta le potenzialità. Pensare il corpo, comprenderlo, gestirlo, non è dunque possibile al di fuori di una prospettiva che sia insieme biologica e
culturale. Negare tale evidenza esprime un dualismo metafisico e antropologico che
va superato alla luce del fatto che «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem», corpo io sono in tutto e per tutto, e nient’altro (Nietzsche, Così parlò Zarathustra, parte I, «Dei dispregiatori del corpo»). È attraverso la corporeità – e non soltanto mediante la socialità – che l’umano esplica la propria naturale tendenza a continuare a esserci.
Il corpo è quindi soprattutto conatus esse conservandi, che si esprime nelle forme complesse e dinamiche individuate da Spinoza, per il quale «nel momento in cui siamo e sappiamo di esserne la causa adeguata l’affetto si converte in azione, in caso contrario lo subiamo e ne siamo sopraffatti. In modo analogo, la mente raggiunge i suoi massimi poteri in proporzione al grado di adeguatezza delle sue idee» (95) che sono sempre idee corporee. Infatti «mens humana est ipsa idea sive cognitio corporis humani quae in Deo quidem est» (Ethica, parte II, prop. 19) ed è per questo che il corpo umano è intessuto di memorie, intenzioni, relazioni, comprensione, temporalità.