XXIX, 1, 2019: Salomon Maimon: alle origini dell’idealismo tedesco. A cura di Luigi Azzariti-Fumaroli e Lidia Gasperoni
“Salomon Maimon, uomo dalla vita bizzarra, fatta di alti e bassi, grandiosa e miserabile. Era rabino, con un certo gusto per le fughe, morì in grande miseria”. Nel 1956 Gilles Deleuze presentò con perfetto stile tacitiano agli studenti del liceo Henri IV di Parigi colui che Marcus Herz, rivolgendosi a Kant nell’aprile del 1789, aveva sì annoverato “fra i più rozzi ebrei polacchi”, ma che al tempo si era affrettato a definire fra i pochissimi che avessero con acutezza e sagacia letto la prima Critica, apportando, col suo Versuch über die Transzendentalphilosophie, un contributo di grande rilievo alla discussione di alcune delle principali questioni lì messe a tema. Incoraggiato dallo stesso Kant, Maimon (pseudonimo di Shlomo ben Yehoshua assunto in omaggio a Maimonide, la cui opera lo influenzò in misura decisiva) fu già presso i suoi contemporanei considerato un Außenseiter, che, penetrato come di soppiatto nell’architettura argomentativa kantiana, ne ribaltava alcuni dei principi cardine, anzitutto ponendo in evidenza la impossibilità di realizzare il passaggio dai concetti e dalle proposizioni trascendentali universali che si riferiscono all’esperienza in generale a quelli che invece si riferiscono ad esperienze particolari. Ancor maggiore sorpresa suscitò il tentativo compiuto da Maimon di superare la dicotomia kantiana fra intelletto e sensibilità, chiamando in causa un “intelletto infinito” quale principio reale su cui fondare la conoscenza. Basti a testimoniarlo la lettera che Fichte inviò a Reinhold nella primavera del 1795, e nella quale egli sostenne che grazie al Versuch il criticismo kantiano sarebbe stato “completamente rovesciato”, sebbene la cosa non risultasse ancora manifesta a quanti si ostinavano a giudicare il pensiero di Maimon con malcelata sufficienza o con beffardo sospetto; e tuttavia – egli ne era sicuro – “i secoli futuri” gli avrebbero reso giustizia.
Invero, a causa di una forma di scrittura che suole procedere – lo notò Ernst Cassirer, fra i primi a recuperare Maimon all’attenzione della storiografia – per giustapposizione ed enumerazione dei più disparati concetti, la fortuna ha poco arriso al pensiero di Maimon, almeno fino al Novecento, quando, complice anche il suo promuovere tanto un’ibridazione di Kant con scoperti elementi spinoziani quanto un costruttivo scetticismo, esso è stato assunto fra le fonti di quel pensiero della differenza e della ripetizione che è sorto da una messa in discussione della tendenza, impostasi a partire da Kant, di fare delle “idee” trascendenti (lo spazio, il tempo) l’orizzonte del campo immanente al soggetto.
Fin dal fondamentale studio del 1929 di Martial Gueroult – al quale diversi dei contributi raccolti in questo fascicolo non a caso si richiamano – si tende a guardare alla riflessione di Maimon come quella che, forse più di ogni altra in età postkantiana, ha cercato di chiarire come l’idea appaia un sistema di nessi, di rapporti differenziali. La nozione di “differenziale di coscienza” attesta, in particolare, il fondamentale ruolo che lo scetticismo empirico di Maimon gioca nell’eziologia di una drammatizzazione concettuale, che ha quale esito – ha scritto Alexis Philonenko – un principio che ci porta a giudicare illusorio il reale, nella misura in cui, con la messa in crisi dell’idealismo non soltanto di matrice kantiana, non è dato più discernere ciò che è prodotto (logicamente) da noi e ciò è prodotto dall’oggetto.
Da questo punto di vista tornare a riflettere sull’opera di Maimon, con acribia filologica e storiografica, ma anche con l’intento di approfondirne alcuni snodi teorici, sembra ubbidire in primo luogo alla necessità di approfondire la portata di un pensiero senza più l’attrito che la realtà esercita. Al contempo, l’“immergersi à corps perdu, se corpo esprime la somma delle peculiarità”, nel pensiero di Maimon, prendendone in esame alcuni degli aspetti più salienti, non può trascurarne le intersezioni con altre esperienze filosofiche; e ciò d’accordo pure con la vocazione propria della filosofia di Maimon di essere un Koalitionssystem: una teoria che si compone di elementi eterogenei. L’eclettismo è del resto una delle cifre dominanti del suo pensiero e corrisponde – com’egli stesso osserva – dall’aver constatato che tutti i sistemi filosofici contengono qualcosa di vero e, per certi versi, sono egualmente applicabili. L’affermazione della illusorietà del reale, legata alla nozione di differenziale e a sua volta connessa alla centralità che in Maimon assume l’immaginazione trascendentale, non può peraltro che condurre a un’assoluta esuberanza teoretica, sostenuta da una decisa inclinazione al commento.
La sua potrebbe definirsi un’attitudine alla “Geistesabwesenheit”, intesa sia, letteralmente, come assenza del pensiero dalla realtà oggettiva, sia come quella peculiare stavaganza che – secondo Feurbach – sembra connotare l’idealismo come maniera di vivere: fra il rischio del disprezzo per la realtà e la comicità della sua involontaria distanza dalla vita. Ma forse si tratta solo di ciò che si addice alla teoria: l’invisibilità, il non avere spazi identificabili e orizzonti circoscritti, né sicuri contorni. Il movimento delle idee mima, in Maimon, l’erranza di un pensiero il cui compimento sembra essere la dislocazione. Questa non è però da far risalire soltanto alla impossibilità per il concetto di determinare attraverso se stesso il suo oggetto e quindi alla funzione svolta dall’immaginazione produttiva; e neppure sembra possibile risolvere tutto in uno scetticismo che – come ha scritto Hegel alludendo forse, secondo l’autorevole suggerimento di Valerio Verra, proprio all’opera di Maimon – “non costituisce un oggetto particolare di un sistema, bensì è esso stesso il lato negativo della conoscenza dell’assoluto e presuppone immediatamente la ragione come il lato positivo”. Piuttosto, la dislocazione che percorre gli scritti di Maimon pare corrispondere ad una forma di “deissi fantasmatica” che allude soltanto a immagini e a pensieri che non forniscono alcun ausilio indicativo, in quanto tutti dislocati in un universo di finzioni. Maimon sviluppa un “metodo delle finzioni” per mezzo del quale un oggetto mutevole viene esaminato secondo una regola, come se pervenisse al più alto grado del proprio mutamento, come cioè se, a un tempo, fosse e non fosse il medesimo oggetto. Lo sviluppo del concetto di finzione – appena accennato da Deleuze quando pone sullo stesso piano Maimon e Novalis – tiene quindi conto delle implicazioni proprie della immaginazione come Einbildungskraft. Il “metodo delle finzioni” parrebbe infatti rispondere alle esigenze proprie di una capacità immaginativa che, in segreto accordo con lo “Spiritus phantasticus” di Bruno, oltre a fungere da strumento di conoscenza sia un repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà, ma che avrebbe potuto essere. Sicché il gesto dell’interprete può accordarsi unicamente alla variabilità del possibile: solo il presupporre la verità sotto il segno dell’ipotesi fa infatti sorgere “l’atto di pensare nel pensiero”, come ciò che nasce, quasi per effrazione, dal fortuito.
Indice
(cliccando sul titolo si può leggere l’abstract)
Luigi Azzariti-Fumaroli, Lidia Gasperoni, Presentazione
Paul Franks, From Quine to Hegel: Naturalism, Anti-Realism and Maimon’s Question Quid Facti
Christoph Asmuth, Salomon Maimon und die Transzendentalphilosophie ganz grundsätzlich
Gideon Freudenthal, Overturning the Narrative. Maimon vs. Kant
Luigi Azzariti-Fumaroli, Uno schlemiel trascendentale. Salomon Maimon fra momenti di vita e movimenti di pensiero
Daniel Elon, Skepsis und System. Salomon Maimons Versuch über die Transzendentalphilosophie und Gottlob E. Schulzes Aenesidemus in chiastischer Gegenüberstellung
Meir Buzaglo, Salomon Maimon and the Regular Decahedron
Gualtiero Lorini, Verità, linguaggio e coscienza in Salomon Maimon
Luca Guidetti, Kant e Maimon: prolegomeni a una topologia del tempo
Gaetano Rametta, Filosofia trascendentale e ontologia della differenza in Salomon Maimon
Lidia Gasperoni, Immaginare approssimando. L’(im)possibilità di un’estetica nella filosofia di Salomon Maimon
Maria Caterina Marinelli, Maimon’s Implicit Influence in the Eigne Meditationen über ElementarPhilosophie of Fichte
David Hereza Modrego, Die Transformation der Frage “quid juris?” bei Kant zu Maimons “Satz der Bestimmbarkeit”